7 Ottobre 2024
Società

Metaverso. La Matrix che viene? Roberto Pecchioli

Metaverso, l’innovazione tecnologica promossa da Mark Zuckerberg è una grande rivoluzione informatica ed economica che avrà ricadute profonde sulla percezione del mondo di milioni di persone. Va conosciuta, analizzata per farsene un’idea e tentare di formulare un giudizio. L’ uomo occidentale non si pone più domande: accetta di modificare la sua vita e la sua visione del mondo in nome della novità, programmaticamente positiva. Consumatore obbediente e compulsivo, segue la corrente e non aspetta che di partecipare al grande gioco proposto da Zuckerberg: metaverso, ovvero qualcosa che va oltre l’uni-verso e oltre il pluri-verso in cui tecnologie informatiche e politeismo dei valori hanno trasformato le nostre esistenze.

Le istituzioni sono in ritardo sulla corsa di Big Tech: abbozzano o sono in altre faccende affaccendate. Ciononostante, è necessaria una riflessione fatta soprattutto di domande, come interrogativo è il titolo proposto. Poche certezze: il metaverso di Zuckerberg diventerà parte della nostra vita, con il rischio per l’uomo comune di non essere più capace di distinguere il reale dal virtuale. La grande rete, i media sociali, l’interazione a distanza, lo stesso concetto di amicizia da remoto tra sconosciuti (amici su Facebook) pongono già interrogativi assai seri. In più, l’estensione della solitudine: tra didattica a distanza, telelavoro, distanziamento epidemico, la relazione concreta tra gli esseri umani diventa l’eccezione. Il metaverso supera le esperienze vissute finora e rischia di diventare la Matrix che viene.

Facebook non si chiamerà più cosi per diventare Meta.Il brand allude al concetto di metaverso, l’universo virtuale alternativo dove ogni utente costruisce una vita parallela in cui interagisce con altre persone. Si raggiunge la realtà aumentata (concetto del transumanesimo) attraverso Oculus, uno speciale occhiale tecnologico per realtà virtuale. In questo modo, lo schermo non separerà l’utente dal suo mondo alternativo, ma verrà integrato nella sua realtà corporea e sensibile. 

Non è ancora dato di sapere se il metaverso di Zuckerberg implichi un potere di alienazione maggiore di quello di televisione, videogiochi, reti sociali. Viviamo in un’epoca in cui la libertà viene venduta a buon mercato, se in cambio si ottiene sicurezza, comfort o intrattenimento. Ciò è diventato chiaro in questi due anni di pandemia, sebbene noi occidentali abbiamo acconsentito al progressivo aumento di misure di sorveglianza sin dall’11 settembre 2001. Siamo addormentati da mezzo secolo, presi tra i vincoli della vita quotidiana e la tendenza a disinteressarci della cosa pubblica per concentrarci sui piaceri della società dei consumi.

Uno dei grandi problemi dibattuti dai filosofi è: che cosa c’è di autentico in ciò che chiamiamo realtà? George Berkeley rispose che nulla di ciò che vediamo e sentiamo esiste al di là della nostra mente. Domande di questo tipo destano stupore in coloro che non hanno familiarità con il tema, ma il metaverso sembra dare ragione al pensatore irlandese.

Grazie a film come Matrix dei fratelli Wachowski, abbiamo iniziato ad affrontare dilemmi oggi assolutamente pertinenti. Un romanzo del 1992, Snow Crash, racconta di esseri umani che creano uno spazio virtuale in cui rifugiarsi da una realtà insopportabile. Può sembrare distante e distopico, ma è quello che già capita quotidianamente utilizzando Internet e le reti sociali. La creazione di mondi di fantasia e la capacità di immergerci in essi è ciò che ci distingue dagli animali; ci sono mille modi per farlo, leggere, dipingere, parlare, guardare film, ascoltare musica, essere creativi. Un esempio di realtà parallele sono i giochi di ruolo.

Il metaverso si prepara a oltrepassare tutte queste esperienze. Il rischio è rimanere intrappolati in un labirinto simile all’incubo di Brave New World, il “mondo felice” di Aldous Huxley. Immagina…che nel prossimo futuro quasi tutte le relazioni umane avvengano virtualmente. Non toccheremo o baceremo figli, fidanzate o amici. I nostri incontri sociali si svolgeranno attraverso il computer grazie agli occhiali “robotici” che ci trasferiranno in uno spazio virtuale dove incontreremo figli, mogli, amici o colleghi, naturalmente virtuali, rappresentati da un avatar, la copia in tre dimensioni.

Il metaverso di Zuckerberg non vuole essere un mondo fantastico, piuttosto una pseudo realtà alternativa in cui possiamo fare le stesse cose che facciamo nella vita sociale” aperta”, senza muoversi dalla stanza di casa nostra. I creatori assicurano che saremo in grado di proiettarci oltre i confini limitati dell’uni-verso e che ci sentiremo davvero presenti sia fisicamente sia mentalmente. Non è vero: continueremo ad essere ospiti di questo pianeta; non saremo in un universo alternativo e ingrandito, soltanto sul divano senza alcun contatto fisico, per di più oggetto di sorveglianza panottica. Eppure, molti crederanno alla realtà del metaverso, immaginando di comunicare, interagire con il resto dell’umanità e vivere altre vite, più piene, più belle, più soddisfacenti di quella “vecchia”.   

Il nostro ambiente virtuale si riempirà di persone, luoghi, oggetti che non esistono e tuttavia sembreranno autentici. Cammineremo lungo la riva di una spiaggia senza sentire la brezza marina, né avvertire sulla pelle il calore del sole. Pranzeremo in un ristorante di Parigi, ma non assaggeremo il foie gras (virtuale), bensì il panino con la mortadella preparato nel piccolo mondo antico. Crederemo di ballare un valzer con la donna dei nostri sogni in una lussuosa sala viennese, noi che non invitiamo neppure il vicino di pianerottolo per un caffè. Sarà tutta una bugia. Una bugia virtuale, perché la realtà fisica non può essere evitata e l’uomo resta (ancora) un animale sociale.

Si può vivere una realtà immaginaria come quella narrata nel film La vita è bella di Roberto Benigni, in cui una famiglia ebrea è rinchiusa in un campo di concentramento e il padre riesce a convincere il figlioletto che si tratta di un gioco. Vuole proteggerlo dall’orrore, dalla tragedia e dalla morte che lo circondano. L’abile manipolazione della realtà si rivela una poesia d’amore paterno. Il metaverso di Zuckerberg non ha nulla di poetico: l’uomo di Facebook sta cercando di ampliare il suo impero, ottenere ulteriori informazioni sulle nostre vite e alimentare un nuovo colossale affare dalle immense ricadute antropologiche.

Tuttavia, è vano ripetere che è meglio vivere una realtà modesta e insoddisfacente che immergersi nella finzione con un casco, destinato a diventare prima una propaggine del nostro corpo (e della nostra anima) e poi a diventare il nostro “vero” io, il meccanismo fatato che trasforma il rospo in principe. Il problema- che diventerà dramma e talvolta tragedia- sarà tornare indietro, alla condizione iniziale, ovvero reale. Non ha torto qualche critico che paragona il Metaverso a Matrix. In effetti è peggio, poiché nel film le persone non erano condizionate ad accettare la loro schiavitù, ma vivevano dentro incubatrici dalla nascita alla morte. Trascorrevano le loro vite come nella caverna di Platone, la realtà virtuale era all’interno della mente senza possibilità di scelta.  Oggi moltissimi abbracciano con entusiasmo le loro catene.

Il Metaverso mira a creare una versione virtuale di quasi tutto, dalle interazioni sociali all’ l’istruzione, al commercio e all’intrattenimento. I più critici ipotizzano, non senza ragione, che l’inerzia dei recenti eventi sia stata influenzata da scenari elaborati dagli ideologi dell’élite globale, come quelli del Forum di Davos. Quelle forze non si fermeranno davanti a nulla per plasmare in profondità l’umanità. La crisi pandemica è stata sfruttata per attuare il programma di mantenere le persone imprigionate nelle loro case con il pretesto di prevenire un’altra pandemia e farci diventare “ecologici” per salvare il mondo.             

Mangeremo insetti e carne artificiale nelle pause dell’esistenza virtuale. La realtà alternativa (alt-realtà) diventerà un sostituto per quasi tutte le forme di vita quotidiana. Le implicazioni sono profonde e meritano una riflessione.  Mano a mano che l’uomo si fonde con la macchina, diventa dipendente dal Metaverso. Chi ne ha il controllo (Zuckerbereg, Silicon Valley, il Deep State americano e occidentale) acquisirà un semi monopolio sull’ umanità “gestita”, che sarà sfruttato per espandere il potere di sorveglianza. Il video promozionale sul Metaverso spiega che i modelli di Internet della Cose (IoT) eseguiranno la scansione degli interni delle case di tutti. Saranno sempre connessi, ascoltando, osservando e archiviando tutto, per non parlare di alcune azioni che saranno segnalate da algoritmi di intelligenza artificiale.     

Il famigerato Grande Reset o Quarta Rivoluzione Industriale prevede la sostituzione di parte dell’umanità con le macchine. Ai più potrebbe essere fornito un modesto reddito di base universale. Il resto della popolazione dovrà adattarsi alla nuova economia della robotica e dell’intelligenza artificiale. Sull’esito a lungo a lungo termine dei cosiddetti vaccini (in realtà terapie geniche) nulla sappiamo. Che qualcuno, lassù dove “si puote ciò che si vuole” ne sappia di più?          

Questo futuro distopico sembra uscito da un incubo – forse stiamo esagerando-  ma qui entra in gioco il metaverso per fabbricare il consenso. Ci riuscirà fornendo intrattenimenti, distrazioni piacevoli con i suoi pluri-versi in continua evoluzione. Il rischio è che diventi un’arma assoluta per sorvegliare l’umanità. Per molti, paradossalmente, vivere virtualmente diventerà un sollievo, l’ultimo rifugio, il paradiso artificiale per sfuggire l’inferno reale. Sarà la vittoria finale di chi sta cambiando il primate superiore della specie homo sapiens sapiens per ridurlo a un animale da allevamento a numero controllato, il cui habitat sarà una stanza piena di apparati tecnologici e i cui sensi verranno sostituiti – gli entusiasti dicono aumentati- dagli occhiali che introducono nel metaverso.

La maggior parte delle persone ignora che undici paesi d’ Europa già utilizzano tecnologie di riconoscimento biometrico per monitorare i cittadini, con il pretesto di garantire la loro sicurezza. Tutto questo inquieta qualcuno ma lascia indifferenti i molti che si sono abituati ad amare le catene virtuali, sino a diventarne dipendenti: gli uomini addomesticati di cui parlava Eduard Limonov. Con Zuckerberg, viaggeranno soddisfatti attraverso i metaversi utilizzando una tecnologia che, incidentalmente, raccoglierà informazioni da tutto ciò che ci circonda.

Gli alieni siamo noi, i pochi che non ci vogliono stare. La scomunica di Meta per violazioni dei suoi standard politicamente corretti equivarrà a distruggere il trasgressore che non sarà capace di vivere a lungo fuori dal nuovo villaggio globale, virtuale e aumentato. Il Forum di Davos ha avvertito che non avremo più privacy. La generazione che crescerà immersa nel metaverso imparerà a vivere sorvegliata e a non violare i criteri e l’etichetta imposta dai gestori (i padroni universali), ciò che porterà a un pensiero autocensurato fin dall’infanzia.

Forse il nostro destino è simile a quello degli abitanti della Città di Smeraldo del Mago di Oz, in cui si indossavano sempre occhiali a lenti verdi, il Mago viveva isolato nella sala del trono senza mai farsi vedere da nessuno e comunicava nascosto dietro una tenda o celato da sofisticati costumi. Nel libro per ragazzi di L. Frank Baum, un tornado trascina la protagonista Dorothy dal Kansas nella città del Mago. Dopo infinite peripezie, la ragazzina convince il Mago a costruire una mongolfiera per tornare alle sue grigie praterie. Alla fine però parte solo il Mago e Dorothy è costretta a restare a Oz. In cambio di un po’ di realtà e di un pizzico di indipendenza da Matrix, ci resterà solo la solitudine del vecchio Uni-verso.      

3 Comments

  • Antonio Bonifacio 26 Novembre 2021

    C’è poco da dire, Una lucida, agghiacciante esposizione delle “città che ci aspettano” e un dovuto applauso all’autore.
    Antonio Bonifacio

  • Lupo nella Notte 4 Dicembre 2021

    > La crisi pandemica è stata sfruttata per attuare il programma di mantenere le persone imprigionate nelle loro case con il pretesto di prevenire un’altra pandemia e farci diventare “ecologici” per salvare il mondo.

    Sarebbe stata davvero una bella fortuna, non c’è che dire, una spettacolare coincidenza sincronica nell’accezione piú squisitamente junghiana del termine. Ma direi che si possa fare anche uno sforzo di immaginazione, e ipotizzare che forse la crisi “pandemica” sia stata interamente realizzata per i fini illustrati nell’articolo. Dopodiché si può andare in cerca delle prove indiziarie che corroborano quest’ipotesi, partendo magari dal fatto che il pilastro sul quale tutto si fonda, la teoria del contagio batterico-virale, non è supportata da alcuna prova scientifica, Neanche mezza. E da lí, come piace dire a molti, “si apre un mondo…”

    > Sull’esito a lungo a lungo termine dei cosiddetti vaccini (in realtà terapie geniche) nulla sappiamo.

    Definirle “terapie” è fuorviante, poiché il concetto di terapia ha sempre un’accezione positiva, guaritiva. Nel caso dei sieri genici tuttora in corso di somministrazione, forzata per molti, obbligatoria per altri, parlerei piuttosto di “interferenza genica”, poiché l’interazione con i geni del “paziente” – e purtroppo di pazienza la gente sembra averne fin troppa, chi l’avrebbe mai detto, prima..? – è certo, e incerta, come si dice nell’articolo, è solo la modalità esatta in cui andranno a interferire. Ma che possano servire a “curare” alcunché è irrealistico.

  • Deianira 12 Dicembre 2021

    La ringrazio per l’articolo, che condivido in generale, anche se tengo riserve per quanto riguarda la questione dei vaccini, non essendo esperta in materia.
    Se non l’avesse visto, la invito a guardare Ready Player One, un film del 2018, che a mio giudizio rappresenta vividamente il nostro prossimo futuro. Platone ci invitava a rompere le catene, liberarci dalle illusioni e uscire dalla caverna per abbracciare la vera conoscenza. La nostra libertá. Il professor Umberto Galimberti, che descrive questa come l’etá della tecnica, avanza l’ipotesi dell’illusione della libertá, come una facoltá chimerica mai appartenuta alla natura umana, schiava molte volte di sé stessa. I miei figli sono giá dei fedeli servitori della tecnología e io un altoparlante sirena che ricorda delle necessitá della realtá vera. La mia é giá una battaglia persa, contro la societá – social – e le istituzioni (proprio il “sistema educativo”) che obbligano all’uso degli strumenti tecnologici in nome del progresso (cosí passo anche da antiquata).
    Peró la veritá é che il sangue mi ribolle perché qualcuno, che non ha volto, ha strappato la passione típica della giovinezza ai miei figli, che non lotteranno mai per una libertá che non hanno conosciuto, per un desiderio di conoscenza che non hanno soddisfatto, per un credo da verificare, stanziali (sul divano) senza meta. Il signore di Facebook, come l’ha chiamato, pretende dargliene una lui di meta, a intere generazioni di uomini che hanno scelto vivere come bruti, invece di seguire virtú e conoscenza. E vincerá. Non occorreva di certo frequentare Harvard per sapere che separandoci gli uni dagli altri in un’epoca storica di totale vuoto morale (perché secondo me é qua che risiede il vero problema), ci avrebbe tenuti tutti in pugno. Fagociterá tutto, ma non si aspetti che staró a guardare il mio amato mondo dall’aria netta e cristallina con i miei figli ancora vivi dentro, senza combattere. Siete in molti che scrivete e opinate in merito, che proponete domande per stimolare lo spirito critico e smuovere le coscienze. Personalmente lo apprezzo molto e mi fa sentire meno sola, peró quello che sarebbe davvero necessario per salvare l’umanitá, anche fosse quella di un solo uomo, é che la parola non sia fine a sé stessa, ma serva umilmente all’azione. Sono dell’idea che sia utile creare una resistenza, perché non c’é un’altro modo per difendersi, giá che non viviamo in democrazia. Tutte le rivoluzioni che hanno difeso i diritti umani sono partite dagli intellettuali. A partire da Socrate. Chiudo citando un’espressione dell’antico aramaico: avra k’adavra, ossia “creo ció che dico”. Diamo una forma alle nostre parole. Grazie.

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