8 Ottobre 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, cinquantunesima parte – Fabio Calabrese

Finalmente ci lasciamo alle spalle il 2020, un anno che certamente ricorderemo per la pandemia di covid19, ma anche per il fatto di aver raccolto una messe di informazioni straordinaria per quanto riguarda la nostra eredità ancestrale. Al momento in cui scrivo, siamo agli sgoccioli dell’anno quasi completamente trascorso, tuttavia, calendario alla mano, non è difficile vedere che difficilmente potrete leggerlo prima di marzo: le “code” dell’anno trascorso ci tengono impegnati per tutto il periodo invernale.

Come avete visto negli articoli precedenti, anche stavolta vorrei dare spazio alle argomentazioni e alle domande di chi legge, in quella che vorrei considerare una ricerca della verità sulle nostre origini condotta insieme.

Diversi fra voi mi hanno manifestato una certa sorpresa per il fatto che in una città dalle dimensioni tutto sommato modeste come Trieste risiedano l’autore di Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta (Gianfranco Drioli), il curatore di MANvantara (Michele Ruzzai) e, buon ultimo, l’autore di Alla ricerca delle origini.

C’entra probabilmente la storia affatto particolare di Trieste tra le città italiane, la lunga passione irredentista prolungatasi fino al 1918, la ferita impossibile da chiudere lasciata dall’occupazione slavo-comunista tra aprile e giugno 1945, i nove lunghissimi anni tra il 1945 e il 1954 in cui l’italianità di Trieste è stata continuamente in forse, ma su un piano più concreto e immediato c’entra il fatto che fra noi tre si è creata una bella sinergia.

Ultimamente Drioli mi ha girato una comunicazione di un suo corrispondente che solleva un paio di questioni piuttosto interessanti in seguito alla lettura del mio libro Alla ricerca delle origini. Questo lettore scrive:

Tribù amazzonica con lineamenti australoidi: (da pagina 190). La prossima lettura che avevo in programma era proprio “Chi siamo e come siamo arrivati fin qui” di David Reich (tra l’altro nella prima riga del libro dice di essere stato allievo dello spesso citato Luca Cavalli-Sforza). Ebbene questo studioso è colui che ha riscontrato che indios amazzonici sono geneticamente imparentati con gli australo-melanesiani. Però questa parentela è inesistente con i nativi del nord America. Come può essere avvenuto tutto ciò? Da quale parte è avvenuta l’emigrazione, dall’Australia o dall’America?”.

Questa questione è un bel busillis, e io non ho potuto fare altro che registrare l’incertezza dei ricercatori a questo riguardo. Sappiamo che la storia del popolamento delle Americhe prima di Colombo, in base ai dati peraltro lacunosi di cui disponiamo, di tipo archeologico, linguistico e genetico, è piuttosto complessa. Sappiamo che il grande doppio continente è stato popolato da almeno quattro distinte migrazioni: la prima, molto antica, è stata quella dei paleo-americani (fuegini), poi cacciati dagli Amerindi fino all’estremità meridionale del continente, la seconda quella degli Amerindi veri e propri, che si suppone avvenuta circa 12.000 anni fa, la terza quella dei Na-dene, di circa 8.000 anni fa, un gruppo di cui fanno parte, oltre ai Navajos, diverse popolazioni del nord del continente, come gli Athabska e i Tlingit, la quarta, la più recente, quella degli Esquimesi o Inuit.

Recenti ricerche genetiche hanno evidenziato una parentela con gli australoidi di alcuna tribù amazzoniche, e si parla di un’ulteriore migrazione avvenuta dall’Australia verso le Americhe, non si sa come né quando, e si è giunti a parlare di “migrazione fantasma”. Se consideriamo le due “specie fantasma” che sarebbero state individuate nel DNA degli africani e in quello dei nativi delle Isole Andamane, vediamo che i fantasmi nell’albero genealogico della specie umana, stanno cominciando a diventare un po’ troppi.

Altra questione di importanza fondamentale:

“Megalitismo: ritengo riduttivo tentare di spiegare la costruzione di immense opere architettoniche con “solo tanta ingegnosità e tanto lavoro” (pagina 39). La cura degli allineamenti astronomici, delle proporzioni (spesso entrano in causa il numero aureo e il pi-greco), la precisione ai punti cardinali e soprattutto l’incapacità tecnica attuale dei nostri sofisticati e potenti mezzi non riuscirebbero a replicare tali costruzioni”.

Ammettiamolo in tutta sincerità, non sappiamo con quali tecniche siano stati eretti i circoli megalitici, o del resto le piramidi o i moai dell’Isola di Pasqua, tuttavia questo non è un motivo per introdurre scorciatoie “ufologiche” o simili. Questo è un punto riguardo al quale ho espresso più volte il mio pensiero, ma, data l’importanza del tema, sarà bene tornare a ribadirlo: noi sappiamo che oggi è in atto un piano, il piano Kalergi per cancellare la popolazione bianca dell’Europa e dell’America del nord attraverso l’immigrazione e il meticciato. Poiché questa realtà non può essere negata, ecco allora l’invenzione di complottismi inverosimili tipo “i governi ci nascondono i contatti con gli UFO” o “i governi ci nascondono che la Terra è piatta”, per gettare nel discredito l’intera categoria delle teorie del complotto. Non dobbiamo dimenticare che ci confrontiamo con un nemico che controlla il sistema mediatico, e che non è solo molto potente, ma anche molto furbo.

C’è da prendere nota di un commento di Michele Ruzzai alla quarantaduesima parte, il mio ultimo articolo pubblicato nel 2020, anche perché, se gli interventi del nostro amico non sono frequenti, rivelano sempre una competenza, una conoscenza delle tematiche relative alle origini umane, davvero invidiabili.

Michele scrive: “In merito ai ritrovamenti palestinesi di Qesem, e anche a proposito del “dimenticatoio” nel quale vengono lasciate le notizie scomode per la teoria “Out of Africa”, segnalo l’articolo “Scoperte da prendere con le pinze” di Tiziana Moriconi, pubblicato sul numero di aprile 2011 della rivista “Sapere” (di impostazione scientifica e non certo sensazionalistica) che riferiva, in quel sito, essere stati rinvenuti anche otto denti databili a 400.000 anni fa e le cui caratteristiche morfologiche ricadevano pienamente nel campo di variabilità di Homo Sapiens Sapiens. Un colpo mortale per l’OOA dal momento che il ritrovamento africano più antico, peraltro connotato da alcuni segni di arcaicità e situato in un’area praticamente mediterranea, è quello marocchino di Jebel Irhoud che si aggira attorno ai 300.000 anni fa. Ma ovviamente, a meno che non mi sia sfuggito, di quei denti non si è più sentito parlare… Strano, no?

Riguardo alla scoperta di Qesem, io riferivo che l’esame con la termoluminescenza dei campioni di selce ritrovati ha mostrato che essi erano stati riscaldati per “ammorbidirli” durante la lavorazione. Se ciò era stato fatto da Homo sapiens, significa che esso era presente nell’area mediterranea molto prima di quanto contemplato dall’Out of Africa, se invece l’artefice è stato erectus, allora vuol dire che questo antico uomo era tutt’altro che il bruto scimmiesco che ci viene presentato, e il dubbio viene a cadere sulla stessa teoria evoluzionista. In entrambi i casi, la vulgata, la teoria ufficiale, il dogma che ci viene imposto sulle origini della nostra specie, ne esce con le ossa rotte.  

Onestamente, non sapevo degli otto denti prettamente sapiens risalenti a ben 400.000 anni fa. Essi costituiscono una chiara, lampante smentita dell’Out of Africa. Se si lasciassero parlare i fatti, se si basassero le teorie su di essi, la teoria dell’origine africana sarebbe stata abbandonata da tempo, ma così non è, rimane sempre in funzione come nota anche Michele, il muro di gomma, il dimenticatoio in cui vengono fatte cadere le scoperte che contrastano con la versione delle nostre origini che ci si vuole imporre a ogni costo. Dove c’è libertà di pensiero, si adattano le teorie ai fatti, dove c’è oppressione e dogmatismo, sono i fatti che devono adattarsi alle teorie, a essere censurati e rimossi quando non sono compatibili con esse, e appunto, la democrazia è un sistema oppressivo e dogmatico.

Veniamo finalmente alle notizie vere e proprie di questo nuovo anno, cominciamo con il numero di “The Archaeology Magazine” di gennaio-febbraio 2021, dove troviamo una notizia piuttosto sorprendente riportata da un articolo di Andrew Curry: in Germania, nel piccolo villaggio di Poemmelte, l’archeologa dell’Università di Halle Franziska Knoll avrebbe individuato le tracce nientemeno che di un “cugino continentale” di Stonehenge risalente a 4.000 anni fa.

A differenza del famoso monumento britannico, non si trattava di una struttura megalitica, ma di una sua replica lignea che ha lasciato perciò tracce assai meno visibili, i resti interrati delle basi dei pali di legno che la componevano, tuttavia le somiglianze costruttive con il monumento britannico fanno pensare che gli antichi Germani che l’avrebbero eretto, abbiano voluto replicare quest’ultimo.

Secondo la Knoll, il complesso di Poemmelte sarebbe stato il più vasto dell’Età del Bronzo finora scoperto nell’Europa centrale. Nei pressi del Woodhenge che era probabilmente un santuario, sono stati scoperti finora i resti di 65 abitazioni, il che induce a pensare che si trattasse di un insediamento importante.

Viene spontaneo aggiungere un’osservazione: se questi antichi Germani hanno voluto replicare Stonehenge, devono averlo visto e visitato, e questo ci rimanda a un’Europa preistorica nella quale erano possibili spostamenti su grandi distanze, probabilmente molto meno selvaggia e barbarica di quanto ci è stato finora raccontato.

Un ulteriore punto va sottolineato: Poemmelte si trova nella Sassonia-Anhalt, una regione che fino al 1990 faceva parte della DDR, la Germania comunista, dove, come in tutta l’Europa dell’est e in Unione Sovietica queste ricerche erano di fatto proibite.

L’abbiamo dovuto notare altre volte: il passato, le radici storiche sono ciò che il senso dell’identità dell’uomo, ciò che il comunismo ha sempre cercato di cancellare.

Oggi, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e dei regimi comunisti dell’est, l’Europa orientale e la Russia si stanno rivelando uno scrigno di tesori archeologici ancora in gran parte da esplorare.

Qui verrebbe a proposito citare due notizie riportate da “The Archaeology News Network” che per la verità risalgono ancora al mese di dicembre 2020, ma che finora avevo trascurato perché ormai di notizie simili ne abbiamo parecchie e vengono a formare una casistica piuttosto lunga: il ritrovamento di due mummie di animali le cui carcasse sono rimaste congelate nel permafrost, e che oggi lo scioglimento dello stesso a causa del globale innalzamento delle temperature riporta alla luce. Il 21 dicembre la pubblicazione ci la notizia del ritrovamento di una carcassa di lupo nello Yukon, e il 31 quella di un rinoceronte lanoso in Siberia (poiché è chiaro che lo scioglimento del permafrost riguarda le regioni settentrionali sia dell’America che dell’Eurasia). La scoperta siberiana si rivela particolarmente preziosa non solo perché il rinoceronte lanoso è un animale oggi estinto, ma perché ci domostra che creature di grande taglia come rinoceronti, mastodonti e mammut non avrebbero potuto vivere nelle regioni artiche se 10-12.000 anni fa il clima di queste regioni non fosse stato del tutto diverso da quello attuale, non tanto per il freddo, ma per la scarsità di vegetazione (oggi consistente in radi licheni) che avrebbe reso impossibile a queste creature trovare cibo a sufficienza.

Se all’epoca le regioni artiche presentavano un clima ben diverso e più favorevole alla vita, anche umana, di quello attuale, allora il mito iperboreo acquista un’insperata credibilità storica.

Il riscaldamento globale è un fenomeno indubbiamente negativo, ma almeno lo scioglimento del permafrost porta alla luce indizi che ci consentono di comprendere sempre meglio il nostro passato.

Sembrerebbe che in questo periodo qualcuno voglia portarsi molto avanti col lavoro, forse per chiudere questo periodo reso nero dalla pandemia di covid19 più in fretta possibile. Difatti un sito inglese, “Megalithomania” ci propone su Youtube un viaggio virtuale nella Sardegna megalitica da tenersi addirittura dal 18 al 25 settembre prossimi, in coincidenza con il prossimo equinozio di autunno, visitando nell’isola “piramidi (quella di Monte d’Accoddi, suppongo), megaliti e giganti”. Riguardo ai giganti, innanzi tutto le statue gigantesche di Mont’e Prana, ma ci promette anche la visione di due scheletri umani giganteschi recentemente ritrovati sull’isola (sappiamo che nelle leggende del folclore sardo si parla spesso di uomini dalle proporzioni abnormi, ne ha recentemente parlato anche Roberto Giacobbo a “Freedom”).

Dal 25 al 29 settembre il tour dovrebbe spostarsi in Corsica, altra isola che presenta interessanti fenomeni di megalitismo ben poco conosciuti. Per quanto riguarda i megaliti in senso stretto, questo viaggio virtuale dovrebbe soffermarsi in particolare sul ben poco conosciuto complesso megalitico di Monte Baranta. Quest’ultimo è un vasto complesso pre-nuragico che si trova nella Nurra, regione della Sardegna nord-occidentale non distante da Alghero e risalirebbe all’Età del Rame, tra il 2500 e il 2200 avanti Cristo.

Non ci resta dunque che aspettare il prossimo equinozio autunnale, sperando che per allora l’infausto capitolo della pandemia sarà definitivamente chiuso e sia possibile fare viaggi non soltanto virtuali.

C’è da dire che la seconda grande isola italiana, l’antica Ichnussa, è un vero scrigno di tesori archeologici ben poco conosciuti ed esplorati, l’abbiamo visto diverse volte. Alcuni hanno addirittura proposto l’identificazione della Sardegna con Atlantide, anche se questo in realtà non significa molto, perché al presente sono ben pochi i luoghi del nostro pianeta di cui qualcuno non abbia proposto l’identificazione con la leggendaria isola platonica.

L’altra constatazione che viene spontanea, anche se ci fa ben poco onore, è che come sempre, sembrano essere gli stranieri più interessati al nostro remoto passato di quanto lo siamo noi, e questo è grave, perché solo la consapevolezza della grande eredità che abbiamo alle spalle può darci la forza e la volontà di lottare per dare un futuro ai nostri discendenti.

NOTA: Nell’illustrazione, fauna dell’Età Glaciale. Se all’epoca le regioni artiche erano popolate da animali di grossa taglia, come mammut e rinoceronti lanosi, dovevano presentare un clima e un ambiente ben diversi da quelli attuali e ben più favorevoli alla vita, anche umana, e questo rende ben più credibile di quanto si ritenesse in passato il mito iperboreo.

1 Comment

  • Daniele Bettini 4 Aprile 2021

    Vi faccio questa sorpresa di Pasqua : I Segreti dell’Atlantide di Andrew Tomas

    https://it.scribd.com/document/497498005/I-Segreti-dell-Atlantide-Tomas

    I Segreti dell’Atlantide di Andrew Tomas
    E’ un Testo del 1976 ma ancora valido e fondamentale per chi vuole avere una panoramica generale della questione Atlantidea e che presenta già tutti gli imperdibili Tòpoi della questione :

    Punti interessanti da rimarcare :
    pag 37 Tiwanaku
    40 Il Manu di Atlantide in India
    60 Origini Atlantidee di Babilonia e Sumer
    62 Ermes Toth e le tavole di Smeraldo
    64 il Mito di Oannes
    66 Quetzalcoatl , Viracocha simili ad Oannes e ad altri Miti babilonesi
    88 Elettra figlia di atlante , l’elettricità già utilizzata dagli Atlantidei
    144 Perchè i miti diventano realtà

    Da integrare con
    https://it.scribd.com/document/393368717/Le-4-Eta-dell-Umanita-Georgel
    Il fondamentale testo di Gaston Georgel sulle origini delle Razze Umane dal punto di vista della tradizione. 5 ciclo cosmico negli Edda 25 il mulino di Fròdhi 93 spostamento polo freddo 137 migrazione Poli 145 I Giganti 146 Atlantide 180 L’origine dei Negri, Neanderthal Lemuria 183 i 5 Elementi nelle Razze Umane e lo scatenamento dei cataclismi 187 Raggi e Cerchi di Evoluzione dal polo e espansioni iperboree 190 Il cerchio aureo 192 Il cerchio di evoluzione Atlantideo 194…e i celti 203 Le ere Zodiacali
    Con tabella cronologica finale delle Ere fondamentale.

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