Riprendiamo il nostro cammino nell’esplorazione dell’eredità ancestrale. Come ho fatto le volte scorse, anche stavolta seguirò la pista fornitami da “MANvantara”. La volta scorsa ci eravamo fermati agli inizi da aprile, e ora riprendo da lì.
Cominciamo con un link a un post di Luigi Bignami del 10 aprile. Nell’Inghilterra meridionale, a Flagstones, sono state scoperte la tracce di un circolo megalitico risalente a 5.200 anni fa, è più antico di Stonehenge, e si pensa che potrebbe essere stato il modello che ha ispirato la costruzione della stessa Stonehenge. Di certo, si può dire che quanto più si studiano queste affascinanti antiche costruzioni tanto più ci si rende conto di quanto sia antica la civiltà europea, e assai meno dipendente da apporti mediorientali di quanto comunemente si creda.
Il fatto di aver adottato “MANvantara” come “blocco di appunti” ha comportato nel mio lavoro alcuni interessanti mutamenti di prospettiva. In particolare, molti post sono di soggetto etnografico, dedicati a popolazioni marginali dell’Eurasia, marginali ma non per questo meno significative. In particolare, un post del 13 aprile ripreso da “Witty Historian” ci parla dei Kazaki e della tradizione kazaka dei Zheti Ata. Questo termine significa “sette antenati” e indica il numero di ascendenti che i giovani kazaki non devono avere in comune per potersi sposare. Ciò serve, non solo a evitare gli incroci fra consanguinei, ma è di estrema importanza nella società kazaza fondata su un sistema di clan, e i ragazzi kazaki devono imparare la lista degli antenati fin dall’infanzia.
Il 15 aprile troviamo il link a un articolo comparso su “The Voice of Sikkim” che tratta di un tema affascinante quanto controverso. Secondo la dottrina indiana ripresa dai pensatori tradizionalisti, la storia del mondo si dividerebbe in quattro età, e noi vivremmo attualmente nell’ultima, la peggiore, il Kali Yuga, ma questo non è tutto, perché questa dottrina ritiene anche che vi sia una successione quasi infinita di questi cicli di quattro età. L’articolo si concentra su quello che dovrebbe essere un relitto di un precedente Kali Yuga, un corpo mummificato ritrovato in una grotta del Monte Pedro (dove?). Scusate, ma non posso non considerare la cosa con scetticismo. Questa dottrina, infatti attribuisce al mondo un’età di 155 miliardi di anni, ma la ricerca scientifica moderna non ne concede all’universo più di 13,5 miliardi, alla nostra Terra solo 4,5 e ritiene che fino a un milione di anni fa su questo pianeta non vi sia stato nulla che sia possibile chiamare umano.
Lo stesso giorno troviamo ben cinque post dedicati al medesimo soggetto, la leggendaria navigazione di san Brandano, che sarebbe stato il primo europeo a raggiungere l’America attraverso l’Atlantico in età medioevale, partendo dall’Irlanda, e precedendo persino la spedizione vichinga di Leif Ericsson. Bisogna però ricordare che mentre sono stati trovati i resti dell’insediamento vichingo a L’Anse aux Meadows nell’isola di Terranova, almeno finora non vi sono prove archeologiche che supportino la leggenda di san Brandano.
Il 18 aprile un post ci parla di Snorri Thorfinnson, ma chi era? Era un bambino nato nell’insediamento vichingo di L’Anse aux Meadows a Terranova, la prima persona di origine europea nata nelle Americhe.
Un post del 22 parla di nuovo dell’idolo di Shigir, ma dato che ne abbiamo parlato in abbondanza le volte scorse, ora ve lo risparmio.
Il post seguente è stato linkato su “MANvantara” il 17 aprile, ma, dato che si riferisce alla pasqua, ve ne parlo adesso. E’ ripreso da “Calendario pagano” e ci parla di un’antica tradizione per la quale si esponevano nelle processioni piante di cereali o legumi biancastre perché fatte germogliare al buio. Si trattava in realtà di un residuo dell’antica festa primaverile pagana delle Adonie, dove queste piante rappresentavano il legame tra il mondo dei vivi e l’aldilà, la resurrezione della natura in primavera.
Noi vediamo spesso nelle più antiche tradizioni europee la sopravvivenza del paganesimo sotto un velo di cristianizzazione, ma è forse arrivato il momento che questo paganesimo sotterraneo che dopo due millenni continua a scorrerci nel sangue, esca allo scoperto.
A questo punto è forse il caso di inserire una riflessione che esce dalla traccia fornitaci da “MANvantara”. Oggi la Chiesa cattolica pare impegnata in una serie di tentativi disperati quanto grotteschi di recuperare l’antica presa che aveva sulla società europea sempre più secolarizzata. Ne diede un esempio davvero risibile per la sua inutilità il defunto pontefice Giovanni Paolo II, proclamando santi a raffica di mitragliatrice. Vi furono più canonizzazioni durante il suo pontificato che nei due millenni precedenti. Un esempio dello stesso genere è il moltiplicarsi degli anni santi o giubilei che dir si voglia, come è il caso di questo 2025.
Anno santo? Un destino beffardo ha deciso che quest’anno la pasqua coincida con un compleanno molto celebrato in Germania fra il 1933 e il ’45, e pasquetta con il natale di Roma.
Come se non bastasse, proprio in coincidenza con il natale di Roma, è avvenuta la morte del papa. Un papa, tra l’altro, che è stato uno di quelli che hanno maggiormente spinto per trasformare la religione in un generico “volemose bbene”, mettendo tra parentesi o elidendo la dimensione spirituale, oltre che un grande sponsor dell’immigrazione-sostituzione etnica. Non trovate leggermente sospetto il fatto che a sperticarsi in elogi per il papa defunto siano stati soprattutto anticlericali e presunti intellettuali di sinistra?
Io non sono tipo da gioire per la morte di nessuno, ma non chiedetemi di essere addolorato per la scomparsa di un leader di una religione nella quale non credo, nonché capo di un ridicolo staterello che non dovrebbe esistere.
Torniamo ora a seguire la pista di “MANvantara”.
E’ molto raro che “MANvantara” dia spazio alla recensione di un romanzo, e io stesso, all’interno di questa lunga serie di articoli, non ricordo di averlo mai fatto, ma stavolta pare proprio che ne valga la pena.
Il 24 aprile troviamo un link al sito “Freunde der / Amici della Via Claudia Augusta” che presenta una recensione del romanzo Fethanei, l’approdo perduto di Alessandro Beati. Sulle prime, sembrerebbe non differire da un comune romanzo di fantasy, ma in realtà Alessandro Beati, ex sindaco del comune di Vadena (Bolzano), Pfatten in tedesco, e storico per passione, in esso ha realizzato un’accurata ricostruzione del villaggio e approdo retico di Fethanei sull’Adige, un tempo importante snodo commerciale. Dei Reti, come di altre popolazioni dell’Italia preromana, sappiamo veramente poco, quindi ben venga il romanzo e soprattutto la ricerca che sottintende.
Il 28 aprile troviamo un link a un sito irlandese, “An Claìom Solais” che ci presenta una questione molto interessante. Sapevate che il più antico fenotipo irlandese ed europeo, oggi per la verità molto raro, non è rappresentato dai famosi capelli rossi, ma da pelle bianchissima, occhi azzurri e capelli neri? Il post linkato presenta appunto l’immagine di una giovane donna irlandese con tali caratteristiche. Siamo, in ogni caso, ben lontani dalla fola recentemente rilanciata, ed è una vergogna dirlo, dall’Università di Ferrara, secondo la quale i nostri antenati europei sarebbero stati neri addirittura fino a tremila anni fa, naturalmente senza prove di alcun genere, ma in ossequio al dogma out-of-africano.
Rimaniamo in ambito celtico, infatti il 29 aprile troviamo un link a un articolo del Centro Studi La Runa che è una recensione di due testi sui Celti, La grande storia dei Celti di Venceslas Kruta e I Celti, un popolo e una civiltà europea di Elena Percivaldi. Il testo di Kruta è un classico sul mondo celtico, cui è stato giustamente affiancato il lavoro della brava ricercatrice italiana, che a sua volta ci chiarisce che i Celti hanno lasciato in Italia tracce imponenti nella toponomastica, nel folclore, nelle tradizioni, che la loro non è una storia soltanto transalpina, ma anche nostra. A ogni modo ritengo sia importante mettere in luce questa antica cultura assolutamente europea, e in nulla debitrice a influssi mediorientali, e per questo ostentatamente ignorata da una storia ufficiale coi paraocchi e carica di pregiudizi.
Il 30 aprile abbiamo la notizia di una conferenza on line, tenuta su Facebook, Rumble, Telegram e 9MQ di Giorgio Stocco a Felice Vinci, Da Omero alla mitica Atlantide, storie della preistoria del mondo. Il nostro ingegnere ha qui ripresentato il contenuto dei suoi libri più recenti, I segreti di Omero nel Baltico e I misteri della civiltà megalitica. A parte l’ipotesi della collocazione baltica come ambiente originale delle vicende narrate nei poemi omerici, quella che è forse anche più innovativa e tranchant, è l’ipotesi dell’esistenza in un’epoca che per noi è preistorica data la scarsità delle informazioni di cui disponiamo, di un’antica civiltà globale, che Vinci sviluppa in I misteri della civiltà megalitica. Sono indicazioni per l’indagine sul nostro passato che l’ambiente accademico ufficiale farebbe bene a considerare con meno sussiego di quanto sia avvenuto finora, e ricordiamo anche come esempio di (voluta?) cecità, il recente, maldestro e grossolano attacco alle tesi di Vinci, di Massimo Polidoro.
Troviamo poi un link a un articolo su “Eurasia” che è una recensione di due libri dello studioso rumeno Vasile Lovinescu che firmava i suoi scritti con lo pseudonimo di Geticus, La Dacia Iperborea e La colonna traiana.
Nel primo è prospettata una tesi interessante, anche se probabilmente non disgiunta da una componente di nazionalismo romeno, ricordiamo infatti che l’attuale Romania corrisponde più o meno all’antica Dacia. Secondo l’autore, è precisamente in Dacia che gli Iperborei si sarebbero insediati nella loro migrazione verso sud, e trova una serie di riferimenti a questa affermazione nelle prove archeologiche, nel folclore, nelle tradizioni del popolo rumeno. Sorprendentemente, l’autore da anche un giudizio positivo dell’occupazione ottomana, che avrebbe protetto la Dacia-Romania dall’influsso disgregatore del laicismo occidentale.
Nonostante che la colonna traiana celebri proprio la conquista romana della Dacia, in La colonna traiana, l’autore fa di questo monumento un simbolo della regalità sacra tradizionale, nella quale potere civile e autorità spirituale si congiungono. Non mancano poi i riferimenti alla tradizione ghibellina medievale e a Dante, e qui si arriva a un punto sul quale tutti i cosiddetti tradizionalisti farebbero assai bene a riflettere.
Il ghibellinismo era destinato a essere in ultima analisi perdente, per la sua natura di compromesso, compromesso fra la tradizione imperiale di origine romana, e la religione levantina ed estranea all’Europa che ha invaso il mondo romano. E allora non sarebbe stato meglio rifiutare questa religione profondamente estranea e contraria allo spirito romano? E, aggiungo io, un tale rifiuto, non è forse oggi ancora più indispensabile?
La recensione si conclude con un link a un articolo sull’argomento di Claudio Mutti, studioso, come sappiamo, di notevole valore.
Sempre in questi giorni di fine aprile, ho ricevuto una comunicazione privata di Michele Ruzzai, che mi ha annunciato che la rivista spagnola di studi tradizionali “Mos maiorum” che già in passato ha ospitato diverse sue opere, sta per pubblicare un suo nuovo articolo di cui mi ha mandato copia: “Madre Africa”? Alcune riflessioni critiche sull’ipotesi “OOA”.
Per prima cosa, possiamo dire che con questa nuova pubblicazione il nostro amico consolida la sua posizione di autore di livello internazionale. Mi sono poi dedicato a un esame di questo lavoro, vasto e ben documentato, ricco di riferimenti e note, come lo sono perlopiù tutti gli scritti del Nostro, raggiungendo in questo caso l’ampiezza di quasi 1800 parole.
Come probabilmente sapete, io stesso sono autore di un testo sul medesimo argomento, Ma davvero veniamo dall’Africa? , è quindi stato assolutamente spontaneo fare un confronto fra lo scritto di Ruzzai e il mio. Devo dire che il suo supera il mio lavoro per ampiezza e accuratezza di documentazione, anche se mi fa l’onore di citarmi più volte.
Questo può sembrare strano, dato che il mio testo è stato pubblicato come libro (dalle edizioni Aurora Boreale), ma la cosa si spiega perché il tema delle presunte origini africane non è che uno dei diversi saggi che compongono il libro che, nel suo insieme, è una critica – non benevola – di tutta la cosiddetta “scienza” democratica, in realtà composta da imbrogli e mistificazioni.
Alla missiva di Michele è seguito un breve scambio epistolare, con cui gli ho chiesto se non ritenesse che fosse il caso di presentare il suddetto saggio anche su “Ereticamente”. Mi ha risposto di no, dato che esso è in sostanza una sintesi di cose già apparse sulla nostra pubblicazione.
Scelta corretta, indubbiamente, ma che non ci toglie il desiderio di vedere presto di nuovo la firma di Michele Ruzzai sulle nostre pagine.
Vorrei dirvi ancora due parole di conclusione. La scelta di servirmi di “MANvantara” come “blocco di appunti” per continuare a stendere la serie di articoli de L’eredità degli antenati mi ha semplificato enormemente la vita, ma presenta anche degli svantaggi. Prima di tutto, la scelta degli argomenti da trattare nell’ambito della più vasta tematica delle origini, non è esattamente quella che altrimenti avrei fatto io, e in particolare devo lamentare la minore attenzione prestata al mondo romano, di cui ad esempio nel presente articolo, ho avuto occasione di parlare soltanto in relazione a La colonna traiana di Vasile Lovinescu, e questa è un’omissione da non sottovalutare.
Specialmente oggi. Con la proclamazione del cosiddetto anno santo, la morte di papa Francesco, la sovraesposizione mediatica del conclave per la scelta del successore, c’è il fondato timore che la gente confonda sempre di più tra cattolicesimo e romanità. Occorre ribadire che la religione del Discorso della Montagna, di chiara origine mediorientale, è un elemento estraneo che si è infiltrato nel tessuto romano, italiano ed europeo, anche se ha abilmente riciclato tutto quanto della romanità le era possibile riutilizzare travisandone completamente lo spirito, proprio come Ercole che, dopo averlo ucciso, si è rivestito della pelle del leone Nemeo.
A chi nutrisse dei dubbi su questo punto, consiglierei la lettura dello splendido libro di Catherine Nixey Nel nome della croce:: la distruzione cristiana del mondo classico.
NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra, un libro che parla del leggendario viaggio di san Brandano, The Voyage di Bernard Haley, al centro, una ricostruzione delle feste Adonie secondo il Calendario Pagano, a destra, una giovane donna irlandese che incarnerebbe il più antico fenotipo europeo secondo “An Claìom Solais”.
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