8 Giugno 2025
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centosessantanovesima parte – Fabio Calabrese

Continuo questa serie di articoli sempre usando il gruppo facebook “MANvantara” del nostro Michele Ruzzai come blocco di appunti. Certamente ciò consente di snellire grandemente il lavoro, ma è anche chiaro che non tutti i post che compaiono in questo gruppo sono adatti alle finalità di questa serie di articoli, e la selezione del materiale che ciò comporta obbliga ad agire su tempi più lunghi. La centosessantasettesima parte, ad esempio, ha riguardato i mesi di novembre e dicembre 2024 e gennaio 2025, ma questo paradossalmente è un vantaggio, perché, come avete visto, mi ha permesso di lasciare spazio ad articoli di altro tipo, premesso il fatto che mettersi a rincorrere tutte le notizie archeologiche che compaiono su ogni genere di fonti, si è dimostrata un’impresa disperata quanto inutile.

La centosessantottesima parte, cioè l’articolo di questa serie immediatamente precedente a questo, ha riguardato solo il mese di febbraio, ma si è trattato di un caso particolare, infatti  una buona parte dell’articolo è dedicata a varie cose che hanno caratterizzato questo mese, oltre a ribattere e smontare la critica davvero maligna e prevenuta che Massimo Polidoro ha fatto al lavoro di Felice Vinci, di cui vi avevo comunque già parlato nell’articolo Chi ce l’ha con Omero nel Baltico già apparso su “Ereticamente” lo scorso 10 marzo, non ho potuto non menzionare due fatti che mi riguardano personalmente, ma, vi prego di credere, non per il desiderio di mettermi in mostra, ma perché riguardano strettamente la nostra azione politico-culturale: la presentazione dei miei libri Alla ricerca delle origini e Ma davvero veniamo dall’Africa?, che ho tenuto il 7 febbraio presso l’Associazione Culturale “Le pecore nere” di Trieste, e poi la notizia, giuntami davvero inaspettata, che il mio articolo  H. P. Lovecraft e Robert Howard: letteratura fantastica e visione del mondo, pubblicato su “Ereticamente” ancora nel 2012, è giunto finalista negli Stati Uniti all’Hyrkanian Award, premio assegnato annualmente dalla Robert Howard Foundation.

Per quanto riguarda il primo di questi due eventi, vi ho già relazionato in due articoli pubblicati su “Ereticamente” il 24 e il 31 marzo.

Per quanto riguarda il secondo, c’è da dire che esso esce chiaramente dalla tematica de L’eredità degli antenati, ma, a parte la mia soddisfazione personale, esso mette in rilievo lo spessore culturale del lavoro svolto in questi anni da “Ereticamente”, e non era proprio il caso di passarlo sotto silenzio.

Anche per il terzo ve ne ho parlato ampiamente nell’articolo Narrativa fantastica, una rilettura politica, trentanovesima parte, ma, come capite, non potevo non accennarne anche in L’eredità degli antenati, serie di articoli dove faccio un po’ il punto dell’andamento del periodo.

Capirete dunque l’eccezionalità, dovuta a un seguito davvero sorprendente di circostanze, dell’articolo di questa serie che ha preceduto quello che state ora leggendo.

Dunque, ora riprendiamo il nostro discorso a partire dal mese di marzo, sempre utilizzando “MANvantara” come blocco di appunti.

Il 2 marzo il link a un altro filmato, questa volta a “History Revived” ci mostra la ricostruzione di uno squarcio di vita degli antichi Pitti della Scozia. Anche in questo caso, ci sarebbe da dire che, sebbene si sia voluto avvolgere quest’antica popolazione in un’aura di mistero, costoro erano semplicemente quegli antichi scozzesi che non si sono sottomessi al dominio romano.

Il 4, un link a “Fanpage.it” riporta la notizia della scoperta ad Aars, nello Jutland settentrionale, in Danimarca, delle tracce di uno spettacolare woodhenge, un grande cerchio ligneo di età neolitica, circa 4.000 anni fa. Come era prevedibile, è stato subito accostato alle analoghe strutture preistoriche presenti nelle Isole Britanniche, e non si è mancato di parlare di una Stonehenge danese.

Io adesso metterei assieme due link, uno al sito del “National Geographic” del 5 marzo, l’altro a “Parsi Zoroastrian Worldwide” del 2, ma linkato l’8 in coincidenza con la Festa della Donna. Il primo riporta l’immagine – notissima – di una ragazza di etnia Kalash del Pakistan dallo sguardo intenso e dai magnetici occhi azzurri, l’altro quello di una giovane donna iraniana dai lineamenti sorprendentemente europidi. C’è da rilevare che queste immagini forniscono la riprova di un antico popolamento “bianco” dell’Asia, poi sommerso dall’esuberanza di altre etnie. È un discorso su cui sono tornato più volte.

Un’altra considerazione che mi sentirei di poter fare prima di proseguire, è quella che utilizzare “MANvantara” come blocco di appunti, si sta rivelando una scelta vincente, perlomeno permette di accedere con grande facilità a un gran numero di fonti, grazie all’ottimo lavoro fatto dai contributori del gruppo del nostro Michele Ruzzai, e che certamente meritano una maggiore cassa di risonanza, perché certamente, come in questo caso, senza “MANvantara” sarebbe stato difficile che andassi a esaminare l’attività di un gruppo, per di più non italiano, come quello dell’associazione parsi zoroastriana.

L’8, e stavolta la festa della donna non c’entra, troviamo un link al sito “Storia che passione”, che ci parla di uno studio genetico condotto dal Max Planck Institute for evolutinary Anthropology sui resti esumati dalle sepolture unne per svelare quello che resta uno dei più intriganti misteri dell’antichità. Chi erano in realtà gli Unni e da dove venivano?

Secondo l’ipotesi maggiormente corrente, almeno finora, sono stati identificati con una popolazione dell’Asia centrale, gli Xiongnu, che si sarebbe spinta da lì fino ai confini dell’Impero Romano. Alla base di questa ipotesi vi sarebbe una discutibile assonanza fra i nomi, ma soprattutto lo strabismo orientale, difetto visivo assai diffuso fra storici e archeologi, che li induce a pensare che tutto venga da oriente, ragion per cui ne ho sempre diffidato.

La ricerca dei genetisti del Max Planck Institute ha appurato che gli Unni erano di etnia piuttosto mista, ma con una componente europide nettamente predominante. Viene da pensare a bande di avventurieri e razziatori cui man mano si sono unite genti di origini disparate, fino a trasformarle in una vera e propria popolazione.

Il 12 troviamo un link a un articolo di “Starinsider” che ci pone un importante interrogativo, perché le civiltà dell’Età del Bronzo entrarono in crisi? L’Età del Bronzo copre una fascia temporale che va dal 3.300 al 1.200 avanti Cristo all’incirca. In questo periodo abbiamo un costante progresso, legato all’uso del metallo, delle società agricole che si erano formate durante l’età neolitica, in Medio Oriente, in Europa, in tutto il bacino del Mediterraneo, fino alle Isole Britanniche.

3.200 anni fa inizia quella che sembra una crisi globale. In alcuni casi, ad esempio in Egitto, messo in difficoltà dalle invasioni dei Popoli del Mare, si passa un brutto momento, ma altrove, come in Grecia, la civiltà micenea crolla completamente.

La crisi fu dovuta in parte al fatto che la scoperta del ferro diede ad alcune popolazioni barbare, come i Popoli del Mare contro gli Egizi, un’inaspettata superiorità militare, ma la cosa fu legata anche ad altri fattori, come l’esaurimento delle materie prime, il rame e lo stagno che servivano per il bronzo, ma anche oro e avorio, e fattori naturali come un prolungato periodo di siccità e terremoti.

Un altro link a un articolo di “Nature” ci dà una notizia che molti (noi no) troveranno sorprendente. Secondo una ricerca genetica condotta da un team guidato da David Reich, genetista della Harvard Medical School di Boston, un’analisi dei DNA nordafricani ha rivelato che il Maghreb orientale, l’area delle attuali Algeria e Tunisia, è stato colonizzato da popolazioni provenienti dall’Europa tra 6.000 e 10.000 anni fa.

Abbiamo qui la prova di un movimento di popolazioni dall’Europa all’Africa, cioè esattamente contrario a quanto ipotizzato dalla “teoria” dell’origine africana.

Anche stavolta però sarà il caso di allontanarsi dal “blocco di appunti” rappresentato da “MANvantara”, infatti non è possibile passare sotto silenzio un articolo apparso su “Ancient Pages”. Quest’ultimo, di Ellen Lloyd del 13 marzo, tratta una questione della quale mi sono occupato più volte, ossia l’ipotesi proposta tanto da Graham Hancock quanto da Felice Vinci, che la nostra non sia la prima civiltà globale, ma che altre possano averla preceduta in quell’enorme arco di tempo che copre almeno il 95% della storia umana e che chiamiamo preistoria.

La Lloyd scrive:

Quando ci addentriamo nella nostra storia antica, scopriamo notevoli parallelismi tra culture geograficamente distanti tra loro.

Queste antiche società, apparentemente scollegate, costruivano strutture architettoniche simili, usavano simboli comuni e praticavano rituali religiosi comparabili nella loro vita quotidiana. Tali prove suggeriscono che le civiltà preistoriche potrebbero aver condiviso un corpo universale di conoscenze scientifiche e tecnologiche.

Queste antiche somiglianze globali sono forse i resti di un’antica civiltà onnicomprensiva che ha influenzato tutte le culture successive? Potrebbe esserci stata una civiltà primordiale che è servita da progenitrice per tutte le società ancestrali?

È un interrogativo con cui storici e archeologi, anche quelli di formazione più accademica, potranno evitare sempre meno di fare i conti.

Tornando a “MANvantara”, metto insieme due post, uno del 16, l’altro del 19, entrambi non riportano notizie nuove ma ci parlano di cose che ho già trattato su queste pagine, il primo, il ritrovamento nel kurgan siberiano di Pazyryk del corpo di una giovane donna, probabilmente di alto rango, forse una sciamana, nota come principessa Ukok, l’altro del grande totem risalente a 12.000 anni fa noto come idolo di Shingir, che ci prova che con ogni probabilità lo sciamanesimo siberiano è la più antica religione del mondo ancora oggi praticata.

Lo studio dei resti umani conservati nei kurgan siberiani sembra darci una prefigurazione del destino che ci attende, infatti, senza che la facies culturale muti un gran che, noi vediamo la progressiva sostituzione di un tipo umano caucasico con uno mongolico. E’ probabilmente la stessa cosa che accadrà a noi, mentre la nostra impronta biologica è destinata a essere cancellata dalla sostituzione etnica, abbiamo la lievissima soddisfazione di sapere che probabilmente lasceremo una tenue traccia culturale.

Tuttavia, vi rendete conto di quale sia il problema con questo genere di cose. Oltre a post non attinenti alle finalità de L’eredità degli antenati, compaiono spesso notizie datate, e allora viene il dubbio se riportarle o no, quando offrono il destro a questioni importanti o interessanti.

Un post del 18 ci parla della fortezza scandinava dell’Età del Ferro di Eketorp, sull’isola di Öland, dall’insolita forma circolare. L’Età del Ferro scandinava pose le basi per la successiva età vichinga. Qui abbiamo a che fare con un concetto che per noi latini è difficile da mandare giù. Quella che chiamiamo età antica ha senso solo nell’ambito greco-latino mediterraneo, e per l’Europa settentrionale si può dire che non esistette, e assistiamo a un passaggio immediato dall’Età del Ferro al medioevo.

Ora usciamo di nuovo da “MANvantara”, per darvi una notizia che è stata riportata da un comunicato ANSA del 14 marzo, ma che è stata poi ripresa da diversi media. Nel 2022 nella Sierra de Atapuerca in Spagna sono stati ritrovati i resti di uno zigomo e di parte del cranio di un Homo risalente a 1,8 milioni di anni fa. Dopo due anni di lavoro di ricostruzione, sono ora stati presentati al pubblico. Non si tratta di antecessor, molto simile al sapiens moderno i cui resti erano già stati ritrovati nella stessa località, ma di un tipo più antico, probabilmente erectus. Viene spontanea un’osservazione. Quanto più proseguono le ricerche, tanto più si scopre essere antica la presenza umana sul nostro continente, e la “teoria” dell’origine africana appare sempre meno probabile.

Ultimamente sono stato contattato dal giornalista Ruggero Marino che, avendo appreso dalla lettura del mio articolo Chi ce l’ha con Omero nel Baltico, scritto in difesa di Felice Vinci, del mio interesse per le ricerche storiche che sfidano l’ortodossia dominante, ha ritenuto di farmi partecipe di una sua personale ricerca storica, che trovate anche sul suo sito www.ruggeromarino-cristoforocolombo.com  ve la riassumo in breve, anche se non escludo di dedicare a essa in futuro un articolo più ampio.

In sostanza, si tratta di alcuni retroscena poco conosciuti o addirittura censurati dell’impresa di Cristoforo Colombo. In poche parole, la scoperta dell’America sarebbe stata appoggiata e finanziata da papa Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo, appartenente guarda caso alla nobile famiglia genovese dei Cybo. La somiglianza dei ritratti del papa e del navigatore insinua un sospetto. Colombo era forse figlio di Innocenzo.

Esiste tuttavia un sospetto. Quella di Colombo fu realmente una scoperta? Le coste dell’America si trovano riprodotte già in una “impossibile” mappa del 1473. Si tratta di un argomento su cui dovremo tornare in modo più approfondito.

Prima di congedare questo articolo, vediamo di evidenziare cosa è emerso stavolta di rilevante dal nostro punto di vista. Comincerei dalla scoperta spagnola di Atapuerca, essa ci dimostra che il nostro continente era popolato da esseri umani fin dagli albori dell’umanità. 1,8 milioni di anni sono molto vicini a quel limite di 2 milioni, oltre il quale non è riconoscibile nulla che possiamo chiamare umano. Ciò rende sempre meno credibile la favola dell’origine africana che, nonostante tutte le smentite della ricerca, continua a esserci imposta come dogma.

Aggiungerei la ricerca della Harvard Medical School di Boston che ci dà la riprova di una migrazione preistorica, sia pure molto più recente, avvenuta dall’Europa all’Africa, e non in senso contrario.

Cito due altri fatti, il discorso sui Kurgan ci rimanda a un antico popolamento europide dell’Asia centro-settentrionale poi cancellato dall’espansione delle genti mongolidi. Poi, la ricerca del Max Planck Institute sugli Unni che ce li rivela in gran parte europidi. In poche parole, la storia remota dell’Europa, ma direi dell’Eurasia, ce le rivela più europee, bianche di quel che forse finora avremmo supposto.

L’articolo di Ellen Lloyd su “Ancient Pages” ventila poi l’ipotesi dell’esistenza di un’antica civiltà globale, ipotesi avanzata anche da altri, fra cui il nostro Felice Vinci. Il motivo per cui essa è snobbata dalla “scienza” ufficiale, è il fatto che essa cozza contro il dogma progressista.

Ma noi stiamo accumulando prove sempre più tangibili e numerose che la “verità” impostaci dalla “scienza” ufficiale, democratica e “politicamente corretta” non somiglia per nulla alla realtà dei fatti.

NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra l’immagine di un guerriero pitta, al centro, dal sito “Parsi Zoroastrian Worldwide” una donna iraniana dai lineamenti marcatamente “europei”, a destra, da “Storia, che passione”, un guerriero unno.

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