3 Ottobre 2024
Primo Maggio Storia

L’agguato di Megliadino del 1° maggio 1922 – Pietro Cappellari

 

Cento anni fa, un crimine comunista dimenticato…

 

Il 1° Maggio 1922, la tensione in tutta Italia era alle stelle per via della consueta ricorrenza della festa dei lavoratori socialisti. L’ultima volta, nel 1921, si erano registrati scontri su vasta scala tra sovversivi e squadristi intervenuti per reprimere le manifestazioni massimaliste. Il bilancio era stato di venti morti, tra cui due fascisti. Per questo il 1° Maggio 1922 fu atteso come l’ennesimo “banco di prova” della sfida tra le due fazioni che si contendevano le piazze. Tuttavia, di acqua sotto i ponti ne era passata dal quel 1921. Il Biennio Rosso era – possiamo ora affermarlo – tramontato. Le organizzazioni della sinistra, messe in rotta dagli attacchi dello squadrismo, sebbene difendessero ancora importanti roccaforti, erano sfiduciate, male guidate, mancanti di una qualsiasi strategia. In poche parole, allo sbando. Nei dirigenti locali massimalisti cresceva la paura di doversi confrontare con gli squadristi e ciò li induceva a “moderare” le proprie azioni. Una sorta di “terrore preventivo” che fece del 1° Maggio 1922 una festa “a scarto ridotto”, ben lontana dalle massicce manifestazioni di un tempo, dagli annunci della prossima rivoluzione, dalla tracotanza, dalle minacce, dalle provocazioni in cui si esibivano di solito i sovversivi. Ed è per questo che, in molti centri d’Italia, il 1° Maggio trascorse senza destare preoccupazioni per le Autorità, anche se in alcune zone scoppiarono incidenti con tanto di morti e feriti. Il bilancio sarà, alla fine, di dodici morti, tra cui cinque fascisti.

È proprio il 1° Maggio 1922 che si registrò il cosiddetto agguato bolscevico di Megliadino S. Vitale (Padova), uno dei più gravi fatti di sangue che colpì il Partito Nazionale Fascista in quell’anno, che vide soccombere sotto il piombo bolscevico ben tre suoi militanti: Augusto Barbetta, Pietro Zogno e Luigi Barolo (deceduto il 2 Maggio per le ferite riportate).

La tensione a Megliadino salì alle stelle già nelle prime ore della mattinata del 1° Maggio, quando gruppi spontanei di socialisti avevano percorso il paese in corteo, agitando una bandiera rossa, cantando gli inni socialisti ed esibendosi in cori antifascisti. Il paese era una delle roccaforti del massimalismo:

 

[…] È uno dei siti più bolscevizzati della nostra provincia, dominato dal terrorismo rosso, quel terrorismo, impastato di vigliaccheria e di ferocia, che è stato applicato su larga scala nel Rodigino in tempi non lontani e che ha suscitato la legittima reazione. Di questo paesetto rosso si è occupata più volte la cronaca per le gesta brutali dei capoccia locali. È recente l’agguato teso all’agricoltore signor Paiola in seguito al quale furono arrestati gli esponenti genuini della ignoranza e della furfanteria locale, fra i quali il Consigliere provinciale socialista Luigi Vascon[1].

 

In risposta alle provocazioni antifasciste, erano subito intervenute le locali camicie nere per rispondere alla manifestazione sovversiva: l’ex-Sindaco socialista Silvio Guariento era stato isolato e bastonato. Però, sopraffatti dal numero, gli squadristi erano stati costretti a ripiegare e a chiamare rinforzi dai paesi vicini.

La cosa fu conosciuta dai massimalisti locali che si organizzarono per riceverli nel “migliore dei modi”.

Verso le 14:00 di quel 1° Maggio, da Este, partirono una settantina di fascisti in bicicletta, “per fare una dimostrazione di forza” a Megliadino e ristabilire la “parità” tra i contendenti. Si trattava essenzialmente di un’occupazione simbolica, non proprio una spedizione punitiva, in quanto gli squadristi – saputo dei posti di blocco dei Carabinieri Reali che avrebbero dovuto superare e ai quali sarebbero stati perquisiti – partirono disarmati.

La colonna squadrista procedette velocemente verso il paese, attraverso la campagna, raggiungendo senza intoppi la località Madonette, quando dall’Osteria “All’Anconese” di Giuseppe Zaglia – cognato dell’ex-Sindaco bastonato la mattina – i primi ciclisti vennero investiti da un nutrito fuoco di fucileria, sparato a brevissima distanza.

 

Il primo ciclista, tale Pietro Zogno di Rodolfo, da Ponzo, colpito alla testa cadde morto sul colpo; la stessa sorte toccò al secondo, Augusto Braghetta [sic; leggasi “Barbetta”] di Giovanni, da Vighizzolo di Este. Il terzo, Luigi Barolo fu Antonio, cadde ferito gravemente al dorso. Solo il quarto, tale Martinello, riuscì a fermarsi in tempo. Mentre i colpi continuavano, questi cercava di portare aiuto al Barolo che invocava soccorso e che tentava di trascinarsi fuori del tiro dei comunisti. Ma costoro, non ancora sazi di vittime, costringevano il Martinetto ad allontanarsi e ad abbandonare il compagno caduto, facendolo reiteratamente segno a fucilate.

Gli sparatori, fra i quali è stata notata una donna, approfittavano quindi del momento propizio per chiudere l’esercizio e darsi alla fuga scomparendo.

Il Braghetta [sic; leggasi “Barbetta”] presenta una ferita da proiettile di fucile al collo e ha avuto una scarica di grossi pallini alla faccia. Lo Zogno ha pure avuto la faccia deformata da una terribile scarica di pallini, la testa è quasi interamente staccata dal busto. Lo Zogno è stato colpito così vicino che gli si è perfino conficcato nelle carni lo stoppaccio della carica.

Il Barolo venne trasportato all’ospedale di Montagnana, dove oggi [2 Maggio] è spirato.

È accertata in modo indubbio la premeditazione[2].

 

Quando la notizia si sparse si verificò la mobilitazione di tutti gli squadristi della provincia che vollero vendicare i giovani compagni assassinati: Augusto Barbetta di 26 anni; Pietro Zogno di 18 anni; e il “modesto agricoltore” Luigi Barolo di 20 anni.

“L’orrenda strage dest[ò] vivissimo raccapriccio in tutto il Veneto” e, il giorno seguente, gli squadristi padovani effettuarono varie rappresaglie nella zona per vendicare la morte dei tre fascisti.

Le Autorità di Pubblica Sicurezza intervennero arrestando ventidue sovversivi di Megliadino S. Vitale, tra cui Luigi Cacco, Francesco Piovan, Antonio Ortolan, Angelo De Angelis, Serafino e Carlo Luise, Antonio Viola. Vennero spiccati mandati di cattura per i maggiori indiziati dell’agguato: il Consigliere provinciale Vascon e l’ex-Sindaco Guariento, entrambi resisi latitanti (secondo altre versioni Guariento era invece a casa in quanto febbricitante per l’aggressione subita la mattina). Infine, la Forza Pubblica procedette alla chiusura della cooperativa socialista dell’ex-Primo Cittadino, già devastata dagli squadristi intervenuti per la rappresaglia[3].

Il 3 Maggio, ad Este, le sezioni del PNF e i sindacati fascisti di tutto il Veneto parteciparono ai solenni funerali di Zogno e Barbetta, caduti nella tragica imboscata: “Le due bare ricoperte di fiori sono portate all’estrema dimora dai compagni squadristi. Pronunciano commosse orazioni funebri Ottorino Piccinato, Davy Gabrielli, Polazzo e Morisi. I funerali dell’altro fascista caduto a Megliadino, Luigi Barolo, hanno luogo imponenti a Casale Scodosia (Padova)”[4].

 

[…] Vi ha partecipato una folla enorme oltre alle numerosissime rappresentanze venute da fuori.

Le squadre fasciste e le rappresentanze sono andate ordinandosi sulla piazza della ferrovia [ad Este] alle 14. Fra la folla spiccavano le fiamme e i gagliardetti.

La camera ardente era allestita nell’ex fabbrica di busti in Via Principe Amedeo.

Alle ore 15 un fascista dà l’attenti per mezzo di una tromba. La folla si scopre mentre le salme escono dalla camera ardente portate a spalle dai compagni ch’erano con gli uccisi al momento dell’eccidio.

Il corteo si muove lentamente, tra due ali fittissime di pubblico.

Da molte finestre sventola il tricolore, altre sono pavesate a lutto e dappertutto si accalca la popolazione.

Sulle bare vengono gettati fiori.

L’ordine è affidato al Capitano dei Carabinieri De Innocentis; è presente il delegato di P.S. Dr. De Mita con una squadra di Agenti investigativi.

Vi è pure una squadra fascista così detta “dell’ordine” i cui componenti indossano le giubbe rosse.

Le salme sono seguite dai congiunti e dai parenti. Vengono quindi le Autorità, fra cui l’Avv. Anzolin, il Signor Mario Favaron e l’Avv. Calore per l’Assoc. Agr., l’On. Piccinato, il rappresentante il Municipio di Medaglino. Il Direttorio di Padova è rappresentato dal Polazzo e Cuzzeri.

Il corteo è aperto dalla banda municipale di Este.

Seguono le squadre e le rappresentanze: Squadra fascista agraria di Conselve; squadra fascista di Piove, di Monselice, di Este, di Montagnana, le rappresentanze fasciste e fasciste-agrarie di Casalserugo, S. Margherita, di Adige, Carrara, Pozzonovo, di Casale Scodosia, di Merlara, Vo, Tribano, Pernumia, Ca’ Oddo, Castelbaldo, Badia Polesine, Arre, Anguillara, Bagnoli, Mestrino, Bovolenta, Urbana, S. Vitale, Associazione Agraria del distretto di Este, Ponso, Fascio di Este, Fascio agrario di Montagnana, Fascio agrario di S. Margherita d’Adige, Fascio di S. Urbano, Megliadino S. Fidenzio, Conselve, Borbona, Saletto, Masi, Pojana Maggiore, Agoliaro, Noventa Vicentina, una rappresentanza del Fascio di Vicenza, di Venezia, del Polesine e molte altre.

Moltissime le corone di fiori dell’Agraria di Monselice, del Fascio di Monselice, del Fascio femminile di Monselice, dei Fasci Atestino di Saletto, di Casale Scodosia, Agraria Padovana, ecc.

Il corteo lentamente s’avvia per Via Principe Umberto e raggiunge Piazza Vittorio Emanuele ove sosta mentre le salme sono trasportate in Duomo per le esequie funebri.

Terminate le esequie le salme vengono trasportate sulla piazza. Le salme dei due giovani vengono quindi accompagnate all’ultima dimora e parlano l’On. Piccinato, il Comm. Calore, Celso Morisi, Polazzo e Stadey per i fascisti di Venezia[5].

 

Il 5 Maggio si costituirono due ricercati: Eugenio Vascon e la moglie dell’ex-Sindaco, Marina Guariento. Il titolare dell’osteria da dove era partito l’agguato, Giuseppe Zaglia, davanti all’evidenza dei fatti, ammise di aver sparato, ma sostenne solo per legittima difesa[6].

L’“Avanti!”, ovviamente, intervenne “per ristabilire la verità” e smentire “le partigiane versioni della stampa”, parlando di un assalto fascista all’osteria dello Zaglia che, aggredito, non poté far altro che sparare contro gli squadristi[7], ammazzandone, quindi, tre e riuscendo a tener a bada addirittura gli altri settanta che, a questo punto, si desume, desistettero dall’assalto e si dileguarono senza causare nessun danno alle persone asserragliate nell’osteria…

Il quotidiano socialista accusò la “reazione” di montare un caso, inventando l’agguato, e protestando contro l’arresto di una trentina di sovversivi di Megliadino S. Vitale che non erano presenti nel luogo ove era avvenuto il triplice assassinio: “Si vuole mettere assolutamente la mano addosso ai nostri migliori compagni, anche se questi erano ben lontani da luogo dove avvenne il fatto e s’arresta a casaccio”. “Non si giustificano quindi gli arresti in massa se questi non fossero provocati solo dal livore degli agrari, ai quali compiacentemente s’appoggia l’Autorità”[8].

Sulla scia di tutto ciò, l’Onorevole socialista Gino Panebianco, durante la seduta della Camera dei Deputati del 5 Maggio 1922, chiese lumi al Ministro dell’Interno «sui luttuosi avvenimenti di Megliadino».

Il giorno successivo, anche l’On. Angelo Galeno, sempre del PSI, fece un’interrogazione allo stesso Ministro, con una “formula” che mal celava dove si voleva andare a parare. Sorvolando sul triplice omicidio compiuto dai suoi compagni – il tutto liquidato con il termine «dolorosi fatti» -, il Deputato socialista chiese piccato sulla «mancata doverosa opera di prevenzione delle Autorità di Este e locali [contro la mobilitazione fascista] e sugli arresti arbitrari [degli esponenti del PSI] operati successivamente»…

L’8 Maggio, alla Camera dei Deputati, i socialisti tentarono di speculare sull’eccidio, accusando i Carabinieri di aver permesso il concentramento dei fascisti che si dirigevano su Megliadino, difendendo gli assassini che avevano agito solo per legittima difesa.

Tra i Deputati socialisti si distinse l’On. Giacomo Matteotti, che si associò al coro dei compagni chiedendo allo Stato «energia» nella repressione dello squadrismo. Matteotti attaccò il Governo, sostenendo che lo Stato permetteva ai fascisti di “tagliare le teste” dei socialisti. Vi fu chi gli rispose, riportandolo alla realtà dei fatti: «Ma se parliamo di morti fascisti! Buffoni!»[9].

 

Pietro Cappellari

(Da Vittorio Veneto alla Marcia su Roma. Il Centenario della Rivoluzione fascista,

Passaggio al Bosco, Firenze 2023, vol. IV)


NOTE

 

[1] I particolari del raccapricciante eccidio compiuto dai socialisti a Megliadino, “Il Popolo d’Italia”, a. IX, n. 108, 6 Maggio 1922.

[2] Tre fascisti assassinati in un agguato a Megliadino, “Gazzetta di Venezia”, a. CLXXX, n. 104, 3 Maggio 1922.

[3] Cfr. Indagini per l’eccidio di Megliadino S. Vitale, “Gazzetta di Venezia”, a. CLXXX, n. 105, 4 Maggio 1922; Echi dei fatti di Megliadino S. Vitale, “Avanti!”, a. XXVI, n. 108, 6 Maggio 1922.

[4] R.A. Vicentini, Il movimento fascista attraverso il diario di uno squadrista, Stamperia Zanetti, Venezia 1935-XIII, pagg. 214-216.

[5] I funerali ad Este, “Il Gazzettino”, a. XXXVI, n. 108, 6 Maggio 1922.

[6] Cfr. Circa l’eccidio di Medaglino, Vascon si è costituito, “Il Gazzettino”, a. XXXVI, n. 108, 6 Maggio 1922.

[7] Cfr. Dopo i tragici fatti di Megliadino S. Vitale, “Avanti!”, a. XXVI, n. 106, 4 Maggio 1922.

[8] Cfr. Ancora sulla tragedia di Megliadino S. Vitale, “Avanti!”, a. XXVI, n. 109, 7 Maggio 1922.

[9] Tentativo di speculazione socialista sull’assassinio di tre fascisti a Megliadino S. Vitale, “Gazzetta di Venezia”, a. CLXXX, n. 109, 9 Maggio 1922.

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