1 Marzo 2025
Politica

La scoperta dell’acqua calda: Trump si fa gli affari propri… – Umberto Bianchi

Le ultime proposte su Gaza del neoeletto presidente Usa Donald J. Trump, al pari di quelle sul Canada, sulla Groenlandia o sul Golfo del Messico, hanno gettato nello sconforto e creato scompiglio, sia tra i suoi follower ed ammiratori di lunga data, sia tra coloro che, a prescindere dalle singole posizioni politiche, avevano effettuato delle aperture di credito nei confronti del tycoon americano, nel nome di una ritrovata percezione di realpolitik, che il personaggio ispirava. A ben vedere però, determinate percezioni delle pubbliche opinioni occidentali, ma non solo, sono tutte egualmente mosse da un evidente errore di fondo, a cui, sembra non si voglia far appositamente caso. Pensare che Trump rappresenti una specie di soluzione “pret a porter” degli annosi problemi che travagliano l’occidente ed anche gran parte del mondo, è quanto di più sbagliato si possa fare. Donald Trump pensa, anzitutto, agli interessi Usa, in un’ottica decisamente contrapposta a quella che ha ispirato la politica Usa, degli ultimi decenni. All’apertura ad un cosmopolitismo politico e finanziario, volto a favorire le grandi concentrazioni economiche, in perfetta interazione con altrettanti blocchi geoeconomici, al multilateralismo geopolitico, si cerca di contrapporre una forma di bilateralismo, volto a disarticolare gradualmente, il precedente assetto geoeconomico.

Possiamo pertanto dire che, al precedente Globalismo multilateralista in ambito geoeconomico, ora si passa ad una forma di sovranismo geo economico, principalmente impostato su una miriade di azioni bilaterali. La realizzazione di questo nuovo assetto non può non passare attraverso la definitiva definizione di alcune priorità geopolitiche. In primis, la conclusione più rapida il possibile, dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente, accompagnati dalla “messa in sicurezza” della situazione iraniana, con le trattative sul nucleare. Tutto questo, per lasciare all’amministrazione Trump, le mani libere per agire sul contesto che maggiormente preoccupa gli Usa, ovverosia quello dei rapporti geo economici con la Cina. Nel porsi questi obiettivi, il tycoon americano ha optato per un’azione impostata su un atteggiamento di disinvoltura e teatralità tali, da spiazzare e disorientare tutti i protagonisti dei vari scenari geopolitici. Lo scopo ultimo di tutto questo è quello di arrivare a costringere tutte le parti in causa a trattative senza se e senza ma, in grado di chiudere il più rapidamente possibile, tutte le situazioni in esame. La proposta di fare di Gaza una specie di enorme resort turistico-balneare è quanto di più irreale e direi quasi comico (se non fosse per il tragico carico di lutti a cui ha portato…sic!) si potesse proporre e porta con sé l’idea di forzare in modo stringente le parti ad una trattativa, i cui tempi e le cui obiettive difficoltà, si dimostrerebbero altrimenti, quasi insormontabili. Detto questo, è perfettamente inutile scandalizzarsi o deludersi, perché, al di là di tutto, il sovranismo di Donald Trump è esclusivamente declinato “usum delphini” e tira diritto sulla sua strada, senza guardare in faccia a nessuno. Le manifeste simpatie del tycoon Usa verso la nostra presidente del consiglio, Giorgia Meloni, non toglie nulla alla manifesta intenzione di continuare a spingere il nostro paese all’acquisto di gas americano, (sicuramente meno conveniente e molto più costoso rispetto a quello russo…), al pari degli avvertimenti lanciati all’indirizzo della Meloni stessa, dall’ideologo trumpiano Steve Bannon.

La stessa minaccia di dazi nei riguardi dell’Europa costituisce una evidente riconferma di quanto sin qui affermato. Non solo. L’atteggiamento di scandalizzata disapprovazione per l’esclusione dell’Italia e dell’Europa in generale, dalle trattative sulla pace in Ucraina, ha una sua triste logica. L’Europa tutta sinora, (con la saltuaria eccezione di Ungheria e Slovacchia, sic!) non ha giocato alcun ruolo attivo, negli ultimi scenari di conflitto, anzi. Il suo è stato il ruolo, se tale lo si può definire, di un nano politico, totalmente assoggettato e prono ai desiderata globalisti delle varie amministrazioni Usa e delle grandi holding finanziarie internazionali. Pertanto, il fatto che Trump se la voglia vedere con Vladimir Putin, in un faccia a faccia, bypassando l’Europa, non può e non deve né scandalizzare né meravigliare più di tanto. A qualcuno è, tra l’altro, sorta la tentazione di fare parallelismi con gli scenari che determinarono Yalta, dimentico del fatto che, in quel contesto, gli Usa posero in essere una politica di diretto intervento nel contesto europeo. In questo specifico contesto, invece, l’amministrazione Trump sembra voler puntare ad una progressiva smobilitazione di tutta la costruzione nordatlantica, partendo proprio dalla richiesta di aumento, da parte degli stati europei, delle spese pro capite per la difesa. Questo non significa certamente la fine dell’imperialismo nordamericano, ma semplicemente un suo riassestamento verso altri obiettivi.

Pertanto, fare affidamento sul fatto che, Donald Trump possa pensare a risolvere i nostri problemi, costituisce un esercizio illusorio ed una inutile perdita di tempo. Questa stessa analisi potrebbe essere errata, visto che il tycoon americano è personaggio dotato di una irrazionale imprevedibilità, la qual cosa ci renderebbe ancor più soggetti alle umoralità di un’impostazione ed un modo di far politica, che potrebbero assumere delle caratteristiche sinora inedite. La stessa presenza del miliardario Elon Musk nella compagine governativa trumpiana rappresenta di per sé il segnale di un cambio di rotta, nel senso appena accennato. La liberazione dall’asfissiante modello liberista globale, non può avvenire, se non attraverso la decisione dei popoli di intervenire direttamente sui grandi processi decisionali di un paese, o quantomeno, di orientarne decisamente la direzione. E tutto questo, non può avvenire senza una più ampia e generalizzata presa di coscienza dei popoli. Per ora, in Europa, si assiste ad un generale palesarsi dello scontento, attraverso il massiccio consenso elettorale alle formazioni “populiste”, con buona pace per i desiderata delle elites liberal-progressiste. Ora, che questo rappresenti un primo significativo segnale in direzione di un radicale cambiamento, o unicamente un moto di riassestamento dell’ordine geopolitico europeo e mondiale, sarà solo il tempo a poterci dare una risposta in tal senso.

UMBERTO BIANCHI

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