Questa dissertazione per forza di cose provvisoria e incompleta, che semmai qualcuno volesse aggiungersi potrebbe protrarsi, muove dal convincimento personale che la pena dell’ergastolo vada soppressa sostituendola con una pena detentiva limitata nel tempo ad un massimo di 30 anni oppure che debba essere sostituita con la pena di morte o con il bando.
La pena di morte per un crimine grave può essere decretata e comminata dal singolo S o dal gruppo G. Se la pena di morte è comminata dal singolo si chiama vendetta, se invece è comminata dal gruppo si chiama pena di morte. L’alternativa alla vendetta o alla pena di morte sarà il perdono da parte del singolo o la grazia da parte del gruppo o si avrà da parte del sociale un’altra pena di genere detentivo come l’ergastolo invece dell’imprigionamento per un determinato limite di tempo.
Allo stato attuale pare non vi siano in atto altre soluzioni alternative alla pena di morte da parte del gruppo se non l’ergastolo dalle nostre parti.
Un tempo non era però così perché vi era una soluzione per gli effetti simile alla pena di morte ma per altri effetti simile alla Grazia. Il condannato veniva esiliato e mai più avrebbe potuto fare ritorno in patria come si direbbe perché in questo caso allora sì che sarebbe stato giustiziato cioè privato della vita semmai lo avesse fatto trasgredendo il bando, di quella vita che altrove al di fuori del gruppo di cui era parte gli sarebbe stata risparmiata. Sta avvenendo qualcosa del genere nella guerra russo-ucraina che a parer mio va riguardata come una guerra intestina. Per il fatto che vi compaiono ora truppe straniere e non solo costituite da condannati criminali che altrimenti patirebbero una pena quasi capitale o capitale nell’ambito sociale di cui erano parte originariamente. Essi sono come dei banditi nel senso di colpevoli banditi da quella società di cui erano parte civile.
Onde evitare talune osservazioni in questo contesto fuori luogo preciso il mio punto di vista essere la faccenda ucraina un problema quasi ancestrale che si trascina da secoli interno al mondo irrequieto balteo-slavo con cui l’Italia mediterranea, romana, fascista, democratica papalina stellare europoide nulla ha a che vedere né prima né ora!
La pena di morte con la ghigliottina fu abolita in Francia il **9 ottobre 1981**, durante la presidenza di François Mitterrand. La legge che abolì la pena di morte fu proposta dal ministro della Giustizia Robert Badinter e approvata dall’Assemblea Nazionale francese. La ghigliottina, strumento simbolo delle esecuzioni capitali in Francia, fu utilizzata per l’ultima volta il **10 settembre 1977**, quando Hamida Djandoubi fu giustiziato a Marsiglia. Dopo il 1981, la Francia divenne uno dei primi paesi europei a eliminare completamente la pena di morte dal proprio sistema giuridico.
Giova ricordare che la pena di morte produce comunque una sofferenza e in tal senso è una vera e propria tortura e d’altronde nel concetto della pena di morte vi è il perdono e la riabilitazione stessa cioè l’espiazione.
Il condannato viene giustiziato cioè reso giusto!
La decapitazione era riservata ai nobili mentre quelli inferiori venivano squartati o lasciati marcire.
Il distacco netto della testa dal corpo rendeva il nobile in un certo qual modo purificato nel proseguo della stirpe di cui continuava pur sempre nel sangue ad esser parte genealogicamente.
L’introduzione della ghigliottina da parte di un medico chirurgo obbedì sia al compito di rendere democratica la pena di morte come anche a quello di renderla meno orribilmente dolorosa quanto poteva esserlo una impiccagione. Il taglio della testa esigeva peraltro un boia esperto che non traducesse l’esecuzione chirurgica come spesso avveniva in un macello sanguinoso.
Allo stato attuale si è potuto vedere come in America con la pena di morte per avvelenamento si siano prodotte agonie impreviste.
La sedia elettrica memore del trionfo dell’elettricità animale galvanica confuse in un vero supplizio tendenze anche curative diverse in seguito che vanno dall’elettroshock per i malati mentali o in letteratura alla resurrezione fantastica di un Frankenstein. Che si possa ridurre ad un minimum di sofferenza corporea la morte di un individuo vigile e cosciente è questione risolta come nella dotazione di una capsula di cianuro di potassio prima di essere catturati e torturati da parte di un nemico invasore come membri di una resistenza civile. Questo tema è esplicitamente posto a fronte dell’insopportabilità del dolore inferto, come si legge nel manuale svizzero di Difesa Civile e Resistenza del Maresciallo Dach.
IO: Mi pare di aver letto da qualche parte che un pirata condannato a morte pretese che una volta tagliata la testa Egli sarebbe corso davanti ai prigionieri ed avrebbe preteso che ne sarebbero stati liberati tanti quanti ne avesse superati di corsa e così accadde che senza testa il suo corpo fosse stato in grado di adempiere A questo proposito è vero tutto questo o è una mia pura fantasia?
IA: La storia che hai descritto sembra essere una leggenda o un racconto popolare, piuttosto che un evento storico documentato. Non ci sono prove concrete che un pirata o qualsiasi altra persona condannata a morte abbia effettivamente compiuto una tale impresa dopo la decapitazione. Questo tipo
di narrazione rientra nel genere delle storie fantastiche o delle leggende urbane, che spesso vengono tramandate per il loro valore simbolico o per il loro impatto drammatico. La decapitazione è un atto letale e, dal punto di vista scientifico, il corpo umano non può sopravvivere o compiere azioni coordinate senza la testa. Quindi, è probabile che si tratti di una tua fantasia o di una storia inventata, piuttosto che di un fatto reale.
IO: Mi pare che l’impiccagione non determini la morte del condannato per soffocamento ed asfissia ma per la rottura lesione della colonna vertebrale o mi sbaglio?
Hai ragione nel notare che l’impiccagione può causare la morte in modi diversi, a seconda di come viene eseguita. Tradizionalmente, si distinguono due metodi principali di impiccagione:
**Impiccagione a caduta corta**: In questo caso, il condannato viene lasciato cadere da un’altezza relativamente breve. La morte avviene principalmente per soffocamento o asfissia, poiché il nodo scorsoio stringe il collo, impedendo la respirazione. Questo metodo può essere lento e doloroso.
**Impiccagione a caduta lunga**: Qui, il condannato viene lasciato cadere da un’altezza maggiore, calcolata in base al peso del condannato per massimizzare l’effetto. La forza della caduta causa la rottura della colonna vertebrale a livello delle vertebre cervicali, in particolare la frattura della seconda vertebra cervicale (C2), nota come “frattura dell’impiccato” o “frattura di Hangman”. Questo metodo è generalmente più rapido e meno doloroso, poiché provoca una morte quasi istantanea per trauma spinale e conseguente danno al midollo spinale. In sintesi, la tua osservazione è corretta: l’impiccagione può causare la morte sia per soffocamento che per lesione della colonna vertebrale, a seconda del metodo utilizzato. L’impiccagione a caduta lunga è progettata specificatamente per causare la rottura della colonna vertebrale, mentre quella a caduta corta porta alla morte per asfissia.
Per quel che mi riguarda intervenni in voce parecchi anni fa ad una trasmissione RAI dichiarandomi favorevole alla pena di morte con somma sorpresa del conduttore. Non che lo pensassi veramente in quel momento ma mi parve opportuno essere critico nei confronti di quel che si diceva di ovvio nella trasmissione che banalmente empaticamente non poteva non essere allora come adesso contro la pena di morte. Sono pochi quelli che pensano al suicidio comminato da altri.
Fin d’ora chiarisco il mio punto di vista che è decisamente invece contro l’ergastolo ma non del tutto sfavorevole alla pena di morte anche se ciò può sembrare contraddittorio.
Mi ricordai per l’occasione ma non andrò a verificare ora perché era soltanto l’esempio che mi serviva alla dimostrazione che in uno stato degli Stati Uniti d’America si praticava coscientemente e coerentemente la pena di morte nella forma della fucilazione alla quale avrebbero partecipato per elezione sorteggio i cittadini. Mancava insomma un giustiziere carnefice di professione che fosse il cosiddetto boia. Il plotone di esecuzione però era confezionato in modo tale che i membri di quel plotone sia pure eletti come i giurati di una giuria non sapevano taluni se il loro fucile fosse stato caricato o no a salve, per cui nessuno di loro avrebbe potuto coerentemente dichiararsi assassino. Ciò avveniva io credo per ribadire l’obbligo e la coscienza da parte di una maggioranza di cittadini di essere per la pena di morte senza rifiutarsi però di essere personalmente coinvolti nella decisione che fosse stata presa da una giuria di cittadini membri di quello stesso stato.
In tal senso si deve notare che quando fu messo a plebiscito il tema del mantenimento o no dell’ergastolo il 70 per cento degli italiani si dimostrarono favorevoli al mantenimento dell’ergastolo!
La reazione dell’interlocutore della trasmissione che teneva allora banco fu sorpresa ed allarmata al mio dichiararmi favorevole alla pena di morte. La mia fu senz’altro allora una provocazione sulla quale ora ritorno per argomentare la mia tesi favorevole alla soppressione dell’ergastolo.

Veniamo ora al caso Pasolini in cui si illustra l’esperienza della pena del Bando come sostituto alla pena di morte.
Per il caso Pasolini invece ho potuto ricostruire per mezzo di IA la faccenda si tratta della polemica sul Palazzaccio.
Qualora uno stato, una compagine statuale non pratichino né il bando né la pena di morte risulterà che in questi stati la criminalità è un affare interno di natura amministrativo correttiva. Se il male non viene estromesso od eliminato necessariamente male e bene costituiranno un compromesso una convivenza obbligata e possibile.
Pasolini fu un uomo, uno scrittore polimorfo per gran parte ad effetto il che non costituisce una diminuzione ma una differenza. Fu un autore contro ma assai vezzeggiato e consapevole invece di altri che patirono soltanto la differenza! Per essere stato infatti uno scrittore ad effetto non meditò mai più di tanto le conseguenze di talune sue affermazioni, il che lo portò forse con gli eccessi verbali e di scrittura alla sua propria morte nel concreto della vicenda personale quasi si fosse in certo senso non del tutto chiarito condannato a morte. Vi è allora un caso che servirebbe ad illustrare questa sua limitatezza tragica del suo pensiero. Ebbe a dire infatti in un reportage dall’Africa a proposito della polemica sul Palazzaccio di Roma dove ha sede l’organo supremo della Magistratura che il più bel tribunale che lui avesse potuto vedere fu quella volta che sotto un albero di baobab si presume dove all’ombra i maggiorenti del villaggio riuniti decretavano l’esclusione dal gruppo di cui faceva parte un criminale.
Tutto all’aria aperta si svolgeva quindi in natura senza l’oscurità e il ritegno di una truce architettura come quella del Palazzaccio romano. Se la storia finisse qui Pasolini avrebbe avuto ragione ma quel che Pasolini trascurava è che il legame tribale era così forte presso quella cultura che l’estromissione dell’individuo dal gruppo significava la sua morte certa. Egli, infatti, avrebbe vagato da solo totalmente escluso dal gruppo di cui faceva parte fino alla sua propria rovina esiziale e così si sarebbe condannato a morte divenendo per suicidio il suo proprio carnefice. Il bando in una cultura in cui l’appartenenza al gruppo sia totale l’esclusione dal gruppo è mortifera. Si badi allora che la carcerazione in ogni sua forma non è esclusione dal gruppo ma correzione comunque avvenga, quale che ne sia il coefficiente di crudeltà.
Il bando era una pratica che fu in uso nel tempo passato.
La Repubblica Veneta lo applicava nel caso di taluni crimini particolarmente feroci da parte di un membro della classe nobiliare elitaria, nel qual caso era consentito al Nobile pari di estromettersi da sé da quella comunità di cui era stato parte per non più ritornarvi conservandogli la vita.
Non si può escludere che in un certo qual senso il bando sia ancora oggi praticato qualora si abbia uno scambio tra stati di spie o di altri colpevoli di reati gravi. L’estromissione, Infatti, è in questo caso una vera e propria condanna a morte in un determinato ambito con una sorta di esclusione che si differenzia anche dall’ergastolo perché nell’ergastolo in un certo qual modo il colpevole continua ad essere parte integrante di quello Stato che lo ha condannato. In uno Stato, pertanto, che non pratichi né il bando né la pena di morte il criminale condannato all’ergastolo continua ad essere parte integrante di quello stato come esempio della superiorità di questo Stato che lo detiene usque ad mortem suam nel continuare a conservarlo in vita senza remissione né perdono.
Il criminale nel caso del baobab chiameremo così la vicenda pasoliniana non era condannato a morte ma era escluso dal gruppo Qual era la fine per costui per un gruppo coeso dal quale aveva fatto parte? La morte certa perché quel gruppo di cui aveva fatto parte era così solidale e al di fuori di quel gruppo non c’era che il vagare un Robinson Crusoe dunque destinato al suicidio, senza quel gruppo che mai gli avrebbe perdonato la colpa né l’avrebbe riaccolto. Non sarebbe stati infatti possibile immaginare e pensare in quel deserto di uomini un altro gruppo di esistenti resistenti. Se il gruppo di cui il singolo fa parte è universale e coeso ogni estromissione da quel gruppo non può che configurarsi come morte certa e suicidaria del nostro caso però i gruppi solidali e coesi alternativi ancora nell’ambito della superficie terrestre potrebbero rendere il bando praticabile come alternativa alla pena di morte taluni individui che nell’ambito di un gruppo abbiano commesso un crimine imperdonabile ed impagabile potrebbero trovare accoglienza e vita in un gruppo alternativo a quello di cui fecero parte.
Se il bando non è praticabile che senso ha detenere per un fallo commesso che sia un reato grave un colpevole per tutta la vita imprigionato io mi chiedo? Ebbene ciò è perfettamente contrario al principio della pena correttiva e mutativa. O l’ergastolo serve a liberare il prigioniero da una colpa ossessiva o non ha alcun senso mantenerlo prigioniero privo di ogni libertà di movimento e di scelta dentro un carcere. In tal senso meglio fanno taluni stati che comminano una pena massima di 25 anni a meno che non si dichiari il colpevole come un pazzo cioè come un malato incurabile ma ciò avrebbe senso in una società però che non prendesse in considerazione l’eutanasia. Un pazzo incurabile come un malato incurabile sarebbero un’opzione senz’altro valida per una soluzione condivisa di eutanasia.
Riassumendo dunque la questione il bando potrebbe essere ancora praticabile per rispetto alla pena di morte mentre la pena di morte è del tutto inconciliabile con l’ergastolo se la pena detentiva è rieducativa nell’intento. Altrimenti si ammetta che vi sono comportamenti che sono irrimediabilmente colpevoli e si detenga in un manicomio colui che si dichiara essere incompatibile con una vita di gruppo. Anche il più truce femminicida colpevole, se dichiarato sano di mente, non può né deve essere condannato all’ergastolo ma rieducato a quella comprensione amorevole del sesso opposto che costituisce la norma. Si abbia il coraggio di giustiziare o di bandire o di rieducare il femminicida di turno ma non di condannarlo e mantenerlo in un ergastolo che si concluda soltanto con la Grazia che non è altro che l’equivalente del perdono da parte della massima autorità statuale o la sua morte definitiva.
Si chieda al genitore della Cecchettin se intenda perdonare l’uccisore di sua figlia o per quanto tempo pensi possa giovargli la prigione in quanto correzione e riabilitazione oppure addirittura come per certi aspetti della legge islamica gli si chieda di procedere egli stesso alla pena di morte di colui che straziò sua figlia od al suo perdono graziandolo.
La società gli altri non possono essere l’alibi per chi non vuole assumersi come individuo consociato la responsabilità di quel che si produce all’interno di quella società di cui facevano parte sia l’innocente che il colpevole, sia lui che lei gli amanti intimi ambedue amati e coccolati in ambito familiare e stimati studenti precipitati nella tenebra della follia e nell’ingenuità di un dilagante buonismo. Odio e amore continuano a bilanciarsi ed a sbilanciarsi ovunque nell’universo mondo e se l’astuzia del demonio è quella di far creder di non esistere quella del Dio può essere anche superiore col negare a sé stesso quell’esistenza che si consente invece al Male nella marmellata dell’Eguaglianza.
In Svezia la pena massima per un reato è generalmente di 18 anni, ma può essere estesa fino a 25 anni o più in casi eccezionali. Non esistono né l’ergastolo né la pena di morte.
Altri paesi che non prevedono la pena di morte e hanno limitazioni simili sulla durata delle pene detentive includono:
1. **Norvegia**: La pena massima è di 21 anni, ma può essere estesa se il detenuto è considerato ancora pericoloso.
2. **Portogallo**: La pena massima è di 25 anni.
3. **Paesi Bassi**: Anche se esiste l’ergastolo, è raro e spesso i detenuti possono essere rilasciati dopo 25 anni.
4. **Danimarca**: La pena massima è di 16 anni, ma può essere estesa in casi particolari.
5. **Finlandia**: La pena massima è di 12 anni, ma può essere estesa in casi eccezionali.
Questi paesi, come la Svezia, hanno abolito la pena di morte e adottano un approccio più riabilitativo piuttosto che punitivo nei confronti dei detenuti.
Sì, ci sono state diverse proposte e dibattiti in Italia riguardo l’abolizione dell’ergastolo. Una delle iniziative più significative è stata promossa dai Radicali nel 1981, quando proposero un referendum per abolire l’ergastolo. Tuttavia, il referendum vide la netta vittoria del “no” con oltre il 77% dei voti.
Negli anni successivi, ci sono stati vari appelli e campagne da parte di attivisti e organizzazioni per i diritti umani che sostengono l’abolizione dell’ergastolo, argomentando che si tratta di una pena inumana e contraria al diritto alla speranza. Recentemente, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte costituzionale italiana hanno sollevato questioni riguardo la compatibilità dell’ergastolo con i diritti umani, portando il tema nuovamente all’attenzione del dibattito pubblico.
L’espressione “valore rieducativo della pena” si riferisce alla funzione della pena di contribuire alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato. Questo principio è sancito dall’articolo 27 della Costituzione italiana, che stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
In pratica, il valore rieducativo della pena implica che il sistema penale non si limiti a punire il reo, ma miri anche a trasformarlo in un cittadino rispettoso delle leggi, riducendo così il rischio di recidiva. Questo obiettivo si realizza attraverso vari strumenti, come programmi di istruzione, formazione professionale, attività culturali e sportive, e il mantenimento dei legami familiari.
In che senso l’ergastolo rieduca il condannato? Così ho chiesto e così mi è stato risposto
L’ergastolo, in teoria, può avere un valore rieducativo anche se la sua applicazione pratica è complessa e controversa. La rieducazione del condannato all’ergastolo si basa su alcuni principi fondamentali:
Percorsi di rieducazione e reinserimento: Anche i detenuti condannati all’ergastolo possono partecipare a programmi di istruzione, formazione professionale, attività culturali e sportive, che mirano a favorire un cambiamento positivo nel loro comportamento e nella loro mentalità1.
Benefici penitenziari: In alcuni casi, i detenuti possono accedere a benefici come permessi premio, semilibertà
A ragione, Pasolini fece un confronto molto evocativo tra il “Palazzaccio” di Roma e un tribunale sotto un albero in Africa. In un suo articolo descrisse come il tribunale africano, semplice e immerso nella natura, rappresentasse un’idea di giustizia più vicina al popolo e alla comunità. Al contrario, il “Palazzaccio” di Roma, con la sua architettura monumentale e imponente, simboleggiava per lui la distanza e l’alienazione delle istituzioni giudiziarie italiane rispetto ai cittadini.
Questo confronto rifletteva la sua critica più ampia verso le istituzioni italiane, che spesso vedeva come corrotte e distanti dai bisogni reali della gente.
Le critiche principali riguardavano le sue dimensioni imponenti e l’eccessiva decorazione, considerate sproporzionate e poco armoniose. Inoltre, la costruzione fu segnata da sospetti di corruzione, che portarono a un’inchiesta parlamentare nel 1912. Questi fattori contribuirono a far guadagnare all’edificio il soprannome dispregiativo di “Palazzaccio”.
La pena di morte è ancora in vigore in 58 Stati nel mondo. Alcuni di questi includono Egitto, Libia, Nigeria, Somalia, Sudan, Stati Uniti, Iran, Iraq, Giappone, Cina, Corea del Nord, Pakistan, Thailandia, Vietnam ed Emirati Arabi12. Tuttavia, è importante notare che 111 Stati hanno completamente abolito la pena di morte, mentre altri 24 Stati mantengono la pena di morte nel codice penale ma non l’hanno applicata per almeno dieci anni e non hanno intenzione di farlo1. Inoltre, vi sono casi di Paesi che eseguono sporadicamente o sistematicamente esecuzioni in maniera extragiudiziale al di fuori della loro struttura giuridica1.
Rapporto sulla pena di morte nel 2022: mai così tante esecuzioni dal 2017
In evidenza:
-883 esecuzioni, record dal 2017
-81 esecuzioni in un solo giorno in Arabia Saudita
-20 stati hanno eseguito condanne a morte
-sei stati hanno abolito del tutto o parzialmente la pena di morte
Il numero delle esecuzioni registrate nel 2022 è il più alto da cinque anni, a causa dell’aumento delle condanne a morte eseguite nell’area Medio Oriente – Africa del Nord: lo ha reso noto oggi Amnesty International nel suo consueto rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo.
L’organizzazione per i diritti umani ha registrato 883 esecuzioni in 20 stati, con un aumento del 53 per cento rispetto al 2021. Il notevole incremento, che non tiene conto delle migliaia di condanne a morte presumibilmente eseguite in Cina, dipende dagli stati dell’area Medio Oriente – Africa del Nord, il cui totale è salito da 520 nel 2021 a 825 nel 2022.
“Aumentando il numero delle esecuzioni, gli stati dell’area Medio Oriente – Africa del Nord hanno violato il diritto internazionale e mostrato un profondo disprezzo per la vita umana. Il numero delle persone private della loro vita è enormemente cresciuto: l’Arabia Saudita ha incredibilmente messo a morte 81 prigionieri in un solo giorno. Nella seconda parte dell’anno, nel disperato tentativo di stroncare le proteste popolari, l’Iran ha messo a morte persone che avevano solo esercitato il loro diritto di protesta”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
Il dato preoccupante è che il 90 per cento delle esecuzioni registrate, dunque esclusa la Cina, ha avuto luogo in soli tre paesi dell’area Medio Oriente – Africa del Nord: in Iran sono salite da 314 nel 2021 a 576 nel 2022; in Arabia Saudita sono triplicate, da 65 nel 2021 a 196 nel 2022, il più alto numero registrato da Amnesty International in 30 anni; e in Egitto, dove sono stati messi a morte 24 prigionieri.
L’uso della pena di morte è rimasto circondato dal segreto in diversi stati – come Cina, Corea del Nord e Vietnam – comunque noti per l’ampio uso della pena capitale: il numero reale delle esecuzioni è dunque assai più alto. Sebbene non sia chiaro quante volte sia stata applicata la pena di morte in Cina, è evidente che questa sia rimasta in testa alla lista delle esecuzioni, seguita da Iran, Arabia Saudita, Egitto e Stati Uniti d’America.
CINQUE STATI HANNO RIPRESO A ESEGUIRE CONDANNE A MORTE
Nel 2022 sono riprese le esecuzioni in cinque stati: Afghanistan, Kuwait, Myanmar, Palestina e Singapore. Un aumento delle esecuzioni, rispetto al 2021, è stato registrato in Iran (da 314 a 576), Arabia Saudita (da 65 a 196) e Stati Uniti d’America (da 11 a 18).
Il numero delle persone messe a morte per reati di droga è più che raddoppiato rispetto al 2021. Le esecuzioni per reati di droga violano il diritto internazionale dei diritti umani, secondo il quale le esecuzioni dovrebbero limitarsi ai “reati più gravi”, come l’omicidio intenzionale. Esecuzioni per reati di droga sono state registrate in Cina (sebbene non se ne conosca il numero), Arabia Saudita (57), Iran (255) e Singapore (11) e hanno costituito il 37 per cento del totale delle esecuzioni registrate da Amnesty International nel 2022. È probabile che esecuzioni del genere siano avvenute anche in Vietnam, dove però i dati sulla pena di morte rimangono un segreto di stato.
“In un crudele mutamento di scenario, quasi il 40 per cento delle esecuzioni registrate ha riguardato reati di droga. È importante sottolineare che queste esecuzioni colpiscono in modo sproporzionato persone svantaggiate”, ha commentato Callamard.
“È giunto il momento che i governi e le Nazioni Unite aumentino le pressioni nei confronti di chi si rende responsabile di queste clamorose violazioni dei diritti umani e assicurino la messa in essere di garanzie internazionali”, ha sottolineato Callamard.
Mentre le esecuzioni sono aumentate, il numero delle condanne a morte inflitte nel 2022 è rimasto sostanzialmente invariato: 2016 rispetto alle 2052 dell’anno precedente.
UN PO’ DI SPERANZA
Di fronte a questa situazione, un po’ di speranza arriva dai sei stati che, nel 2022, hanno abolito in tutto o in parte la pena di morte.
Kazakistan, Papua Nuova Guinea, Repubblica Centrafricana e Sierra Leone hanno abolito la pena di morte per tutti i reati, Guinea Equatoriale e Zimbabwe per i reati comuni.
Alla fine del 2022, 112 stati avevano abolito la pena di morte per tutti i reati e altri nove stati l’avevano abolita per i reati comuni.
Questa tendenza positiva sta proseguendo nel 2023. In Liberia e Ghana sono state avviate iniziative di legge abolizioniste; i governi delle isole Maldive e dello Sri Lanka hanno annunciato che non verrà dato seguito alle condanne a morte; nel parlamento della Malesia sono in discussione proposte di legge per annullare l’obbligatorietà della pena capitale.
“Molti stati continuano a consegnare la pena di morte alla discarica della storia ed è tempo che altri seguano l’esempio. Gli atti di brutalità in Iran, Arabia Saudita, Cina, Corea del Nord e Vietnam appartengono ormai a una minoranza di stati. Ma sono proprio questi stati che devono mettersi al passo coi tempi, proteggere i diritti umani e assicurare giustizia invece di mettere a morte persone”, ha aggiunto Callamard.
“Di fronte a 125 stati membri delle Nazioni Unite, un numero mai così elevato, in favore di una moratoria sulle esecuzioni, non ci siamo mai sentiti così fiduciosi che quell’orrenda punizione possa essere e sarà consegnata agli annali della storia. Ma i tragici dati nel 2022 ci ricordano che non rimanere indifferenti e inoperosi. La nostra campagna continuerà fino a quando la pena di morte non sarà abolita a livello globale”, ha concluso Callamard.
Sarebbe questo che mi viene in mente un caso di bando rovesciato nel senso che il bando non rovesciato o semplice potrebbe essere quello che propose il sindaco di Catania cioè quella di accogliere per privarlo della pena di morte un condannato a morte americano. Ovviamente si sarebbe impegnato a detenerlo per sempre come ergastolano in carcere. Ma si può credere veramente che ciò sarebbe accaduto? Così è anche ora per cui formalmente ipocritamente si dice ergastolo ma poi si applicano forme diverse di allentamento diluizione della pena che portano ad un compromesso con la legge che è civiltà da un lato ma anche confusione e connivenza ipocrita dall’altro.
Il bando come fu praticato presuppone la potenza di uno Stato fortemente identitario e non universale inclusivo che possa escludere un suo cittadino da una sua propria forma sacramentale.
Il bando come concezione non è che la pena di morte perché la pena di morte suggella nel modo più tragico ma coerente l’appartenenza dell’individuo al gruppo come avviene in guerra nella quale si rende onore ai vincitori che, come i perdenti, si sono macchiati del crimine più orrendo come l’assassino di un simile. Andrebbero al riguardo ricordati i molti soldati fucilati per codardia dopo e durante la sconfitta di Caporetto e i morti dei partigiani dai fascisti dichiarati banditi in patria.
Ma sono simili a noi coloro che sono costituiscono quello stato che noi costituiamo?
Sarebbero disposti i nostri a uccidere degli ucraini o dei russi e in nome di che cosa, della sperimentazione di un drone efficiente o dei vantaggi di una nuova carcassa di carro armato?
Chi predica un’accoglienza infinita deve porre la sua stessa vita al servizio di chiunque senza limitarsi a blaterare in parlamento o farsi corsaro benevolo salva migranti in Mediterraneo.
Vi è nel coraggio della morte indotta con la pena di morte e nella eutanasia una superiore e tragica concezione della vita ben superiore alla predicazione del perdono e della grazia.
Ed così superiore sembrami il bando cioè l’estromissione per sempre del condannato da un vero gruppo solidale, da uno Stato dalla legge certa con limiti e confini certi e segnati che non si delimita nelle parole di una costituzione così onirica e talmente banale da porre chiunque dentro di quella Misericordia che solo al Dio si riconosce come illimitata e non al dolore e alla fatica dello stare insieme dentro una patria che continua ad essere violata cioè violentata da chi non ha appartenuto alla sua Storia, alla sua Cultura e Religione e al suo Credo Civile.