19 Luglio 2024
Appunti di Storia Controstoria

“La libertà muore se il Fascismo muore” (24 settembre – 31 dicembre 1921)

 

 “Due anime ci sono nel Fascismo. O, più esattamente, un’anima sola ha il Fascismo. Ma al fascismo aderisce ancora qualche cosa che non è Fascismo, e da cui bisogna liberarci.

C’è chi nel Fascismo non vede se non la forza del perpetuo rinnovamento della razza, la volontà di rompere tutti gli inciampi e le catene della nostra coscienza nazionale.

C’è chi vede in esso un’unione di assennate persone che deve cercare le soluzioni accomodanti e concilianti adatte non a risolvere la crisi nazionale, ma bensì a prolungare lo stato di normalità apparente con un sacro orrore per tutto ciò che è disordine e rivolta. (1)

 

  1. PARTITO O ASSOCIAZIONE NAZIONALE ?

Il momento politico, mentre l’anno avvia al termine,  richiede vigilanza e accortezza da parte dell’intero movimento fascista. Sul tappeto, ormai chiusa, per gli intransigenti, la questione del Patto di pacificazione, che essi hanno definitivamente accantonato, vi è adesso il problema della trasformazione in Partito, sul quale, comunque, nessuno intende impegnare una battaglia decisiva.

Coloro che si oppongono in maniera più ferma al cambiamento, insistono sul puro nominalismo che sottende al dibattito, anche con arditi giochi di parole, perchè: “Il Fascismo non può trasformarsi in un Partito politico, ma può esprimere un Partito politico”, e tocca a Marsich riepilogare i termini più politici del confronto:

Nessuna paura della parola “Partito”, come ci rimprovera Mussolini. Nel convegno di Milano e negli articoli di questo ultimo periodo ho affermato più volte che la parola non importa o rappresenta una questione oziosa. Se siamo d’accordo sulla “sostanza”, chiamiamoci “Partito, Movimento, Esercito, Associazione, Fascio” o quel diavolo che volete, non importa…

Il Fascismo vuole diventare una miserabile taverna dove si vende il vino migliore? Una bottega dove si espone la merce più appariscente? Salviamoci se siamo ancora a tempo dal pericolo mortale. Torniamo alle nostre origini spirituali. Difendiamo il nostro patrimonio di idee e di fede dalla corruzione che lo minaccia e lo insidia…

Ci interessano invece questi punti, dai quali dipende addirittura la permanenza di una notevole massa –e crediamo la maggiore e la minore- nelle file dell’organizzazione:

1)che si accettino i principi fondamentali ispiratori dello Statuto della Reggenza del Carnaro, perché in essi è il credo spirituale e politico che deve vivificare il movimento fascista

2)che non si creino intorno al fascismo barriere di alcun genere, permettendo a tutti quelli che vogliono sinceramente il bene della nazione di collaborarvi

3)che –chiusa e sigillata la pagina dell’antibolscevismo, ed esclusa la violenza faziosa- si impegni a fondo la grande lotta antiparlamentare contro tutti gli elementi dissolvi tori (uomini, Partiti, caste) che agiscono all’interno della Nazione”. (2)

Non è proprio il momento delle divisioni: a Modena, il 24 settembre, contro un corteo sostanzialmente pacifico di fascisti disarmati, le Guardie Regie, mal dirette da un funzionario che ha vecchi motivi di astio verso il movimento mussoliniano, aprono il fuoco e fanno otto morti ed una ventina di feriti.

Dopo Sarzana, è la seconda volta, in poche settimane, che la reazione poliziesca, certamente ispirata dall’alto, provoca una strage. I fatti sembrano dar ragione a chi al Patto di pacificazione si è opposto, anche nella convinzione che “l’arma al piede” avrebbe favorito il tentativo governativo di soffocare il Fascismo. Le responsabilità sono dei singoli funzionari (il Capitano Jurgens a Sarzana e il commissario Cammeo a Modena) , certo, ma essi restano solo  pedine di un gioco che parte da Roma:

Fascisti,

inginocchiatevi davanti ai nostri morti, stringetevi fraternamente intorno ai nostri feriti.

Non inutili atti isolati, non vendette contro gli strumenti ciechi della politica vile di un Governo anche più vile.

Mirate in alto !

E intanto chinate i gagliardetti, serrate le file, rafforzate la fede.

E urlate ai bolscevichi che ridono, e urlate al Governo assassino, il vostro amore di Patria rinnovato nel sangue.

Federazione provinciale dei Fasci – Fascio bolognese di Combattimento” (3)

Quando ormai mancano un paio di settimane al Congresso di Roma, che tutti sentono come importante per la vita del movimento, “L’Assalto”, con un denso articolo in prima pagina, firmato – e la cosa, come già visto, è abbastanza inconsueta – proprio da Grandi, fa un passo di buona volontà e riconciliazione.

A partire dal titolo, che parla di “Discussioni serene in vista della nostra Adunata”.

L’invito è, in sostanza, a mettere una pietra sopra gli interrogativi penosi” che hanno dilaniato le schiere fasciste, considerare chiusa la questione del Patto di pacificazione (“del quale ci disinteresseremo totalmente”), affrontare senza preconcetti la questione della trasformazione in Partito, con la proposta di sostituire questa definizione “ormai compromessa e svalutata” con quella più tradizionale e mazziniana” di “Associazione Nazionale Fascista”.

Anche se non manca qualche residuo accenno polemico nei confronti di Mussolini, al quale si addebitano “tiranniche incomprensioni” e una certa abitudine domenicana che sentenzia ad ogni momento il rogo e l’eresia”, a Grandi è ben chiaro che il vero problema sul tappeto è quello del destino del movimento, giunto ad un vero punto di svolta della sua pur recentissima storia. Lo affronta con una sua proposta, diversa da quella che si va profilando a Milano, ma che ambisce essere base di discussione per i delegati a Roma, e cioè un’idea di una  “nuova democrazia” che, dimenticando le vecchie divisioni progressisti-conservatori, assicuri la concordia nazionale.

Concordia che, su un piano più alto, è l’obiettivo anche della decisione governativa di traslare a Roma, al Vittoriano, la salma di un anonimo caduto al fronte che rappresenti il Milite Ignoto, sia omaggio al sacrificio di tutti i combattenti e invito alla pace degli spiriti.

Pure a Bologna, come in tutte le città toccate dal convoglio che trasporta la salma, i fascisti si mobilitano per il doveroso omaggio, in vista dell’arrivo previsto per il pomeriggio del 30 ottobre, e invitano la cittadinanza a fare altrettanto:

Cittadini, che amate la vostra Patria bella; Soldati che per lei affrontaste il rischio e la morte; Giovani che non siete nati in tempo per morire per lei; Donne gentili che recate in voi il lutto e la gloria, e che siete portate ad amare tutto ciò che è nobile e alto –nessuno di voi, per nessuna ragione manchi domani all’arrivo della salma dell’Ignoto.

Accorrete in folla a compiere il rito solenne intorno al Morto che in sé compendia i cinquecentomila morti per la nostra grandezza; e ognuno di voi, con i fiori e con i lauri, agiti sulla sacra salma, come vessillo, la propria passione e il proprio ardore.

Federazione Provinciale Fascista – Fascio bolognese di Combattimento” (4)

 

  1. “VOI DOVETE GUARIRE DAL MIO MALE”

Il terzo Congresso del movimento, dopo quello fiorentino del 9 e 10 ottobre  1919 e il milanese del 24 e 25 maggio dell’anno successivo, inizia i suoi lavori a Roma il 7 novembre.

Tutti, come già detto,  sono convinti sia completamente decaduto il motivo del contendere  che aveva diviso le schiere fasciste nella primavera-estate, e cioè l’accettazione sì/no del Patto di pacificazione. L’argomento è accantonato per la volontà della base squadrista di non riproporre divisioni, per la consapevolezza del vertice politico di una sua sconfitta pressoché certa, per la drammaticità della  situazione, con il rischio che la situazione generale possa precipitare a sfavore  del Fascismo, perché sulle divisioni interne contano i sovversivi, come dimostra il ritorno di fiamma del loro attivismo che fa vittime, e  il Governo, con una serie di iniziative repressive  che mietono arresti e lunghe carcerazioni preventive.

Il clima nella Capitale non è dei migliori: anche se le squadre fasciste ribattono colpo su colpo, l’avversario è ancora forte e qui ha la culla la stessa formazione degli Arditi del Popolo.

Mussolini lo sa e, nel suo intervento,  dopo i primi incidenti, mette sull’avviso i suoi:

“Il romano non è fascista né antifascista. E’ un uomo che non vuole essere scocciato o disturbato, ma se è scocciato il popolo e il popolino sono pugnacissimi. Non provochiamo, ma difendiamoci se attaccato. Se un romano porta un fazzoletto rosso, non c’è ragione di fare una spedizione punitiva… Coloro che dichiarano di essere pronti ad affrontare i moschetti delle Guardie Regie, si ricordino, nel caso, di essere i primi”. (5)

Alla fine si conteranno sei morti, quattordici feriti gravi e un centinaio di feriti leggeri, in una città sotto assedio per lo sciopero generale decretato dalle organizzazioni sovversive. Incidenti si susseguono in tutta Roma, ogni qualvolta le squadre   si allontanano dalla adiacenze dell’Augusteo, dove si svolgono i lavori, ai quali partecipano circa quattromila delegati, mentre sono valutabili in trentamila i fascisti presenti nella Capitale.

Sul piano politico, però, il momento più importante dei tre giorni romani si ha  quando Mussolini, sollecitato da Grandi ad intervenire per  eliminare ogni dubbio sui suoi effettivi convincimenti,   formalmente dichiara archiviato il Patto di agosto che comunque, dice “ha già dato effettivamente la pacificazione”.

È un modo per uscire dal vicolo cieco nel quale tutti si sono cacciati. Grandi e Marsich prendono la palla al balzo, salgono sul palco e lo  abbracciano, tra gli applausi dei presenti. Un gesto, come  è stato detto “emblematico di una certa situazione e di un certo ambiente”.

“L’Assalto”, che, per la presenza a Roma delle sue migliori firme, a cominciare da Grandi e Marsich, deve saltare l’edizione del 12 novembre, torna in edicola il 19, con un numero “doppio” (55-56), che, in prima pagina, indica, già nel titolo dell’articolo di fondo,  la nuova direzione di marcia: “Al lavoro!”.

Sintetico, come nello stile del giornale, il racconto di ciò che è successo:

Il Congresso ha dimostrato che nel Fascismo esistono due correnti. Esse non si contrastano e non si sovrappongono, bensì si integrano l’un l’altra con punti di coincidenza e colla coscienza di finalità identiche.

L’una concepisce il fascismo come un rinsanguamento del liberalismo classico, come un innesto vigoroso negli attuali ordinamenti che appaiono oggi come un tronco senile ed arterioscleroso, privo di linfa e di succhi germinativi.

L’altra sente dentro si sé tutta l’inquietudine e la vanità di un mondo decadente e trapassato, e tenta, con uno sforzo diuturno di opere e pensiero, di conciliare attorno alla Nazione, considerata come mito divino ed assoluto, il principio associativo e sindacale, che è la grande forza irrefrenabile del nostro mondo contemporaneo. Essa vuole, insomma, fare il processo in blocco e senza legge del perdono, allo Stato liberale e ai diritti dell’uomo.

Le due tendenze non si negano e non si escludono. Sono l’una la ragion pura, l’altra la ragion pratica del nostro movimento. Sono l’una il programma, l’altra l’idea”. (6)

L’articolo, probabilmente dovuto a Marsich, che, aldilà della formale riappacificazione, è rimasto il meno convinto del compromesso romano,   mette il dito sulla piaga di una realtà con la quale giornalmente gli uomini delle Province devono misurarsi, nel confronto con i nuovi “amici” che bussano alle porte delle sezioni.

Un esempio lo dà l’intransigente Baroncini, chiamato in causa da Domenico Ravanelli, esponente popolare di Imola, che gli rimprovera l’assenteismo fascista di fronte al mancato rispetto dei patti colonici da parte di alcuni agrari di quella città.

Accusa che fa male al capo squadrista che proprio di Imola è originario, che per i patti si è battuto, e che della difesa dei diritti dei rurali ha fatto la sua bandiera. La risposta, pubblicata dal giornale,  non può essere, quindi, che netta:

Ti dirò subito, però, che gli agrari che non hanno tenuto fede ai patti stipulati hanno torto, ed aggiungo anche, per parlarci chiaro, che male avrebbero fatto i fascisti di Imola se, essendo a conoscenza di eventuali abusi, non fossero intervenuti in difesa dei lavoratori e dei coloni…

E quando dico che noi siamo a disposizione dei coloni, intendo dire, ricordalo, che noi siano decisi di agire fascisticamente contro tutti i proprietari inadempienti.

Del resto, tu devi sapere, caro Ravanelli che i fascisti della nostra provincia hanno già legnato diversi padroni che non volevano rispettare i patti o che volevano ripristinare sistemi superati dai tempi.

Ed io ti aggiungo, e me ne vanto, che parecchi di questi signori sono stati legnati per ordine della Federazione fascista, o, se più ti piace, per ordine del sottoscritto, che è anche disposto a ripetere la lezione per tutti gli agrari imolesi o bolognesi che si rifiutassero di fare le scritte o di rispettare i patti stipulati con i nostri Sindacati”. (7)

Questo è l’impegno politico che piace ai fascisti, anche se la quotidianità continua ad essere difficile, con un pesante tributo di vittime e perseguitati, del quale il giornale riesce a dare solo una parziale informazione.

L’11 novembre, mentre ancora molti squadristi sono a Roma, bloccati dallo sciopero dei ferrovieri, viene ucciso il sedicenne Gino Taraboni, iscritto all’Avanguardia Studentesca modenese, e qualche giorno dopo tocca al ventenne Remo Ravaglia, calzolaio di Castel S. Pietro. La Federazione provinciale rinnova l’invito alla calma, confortata dal sostegno dei tanti prigionieri fascisti che non chiedono vendetta, ma aspettano e anelano  la vittoria. Un caso emblematico è quello di Giuseppe Bartolucci, che, dalla prigione di S. Giovanni in Monte, scrive   al giornale:

Per l’Italia grande e bella, eja eja alalà…tre anni fa lo gridai sulla trincea della Zugna, di fronte a Trento redenta; oggi lo grido qui, nelle galere d’Italia, con la stessa fede sempre pura, sempre piena…vorrei essere con voi per unire alle vostre le mie lacrime di gioia, per santificare questo giorno solenne…mi auguro che questo sia l’ultimo scritto che vi giungerà da questo luogo di sofferenza”. (8)

La settimana dopo, con legittima soddisfazione, il giornale darà la notizia dell’assoluzione del Bartolucci, dopo sette mesi di carcere preventivo, e approfitterà per unire al saluto a lui, ormai libero, un affettuoso pensiero agli altri carcerati:

“Noi contraccambiamo il saluto dei fratelli carcerati, noi sentiamo per essi quell’affetto, anzi quell’amore che si deve a chi, per la comune fede ha esposta la vita e sacrificato la libertà…

Le Autorità negano im colloqui con voi, sperando forse di spezzare la vostra e la nostra fede.

Ma noi vi ricordiamo sempre.

Ma noi vi amiamo tanto.

Coraggio, fratelli carcerati.

Le parole di fede che giungono da voi sono la prova inconfutabile della forza fascista.

Voi avete sofferto e soffrite serenamente.

Altri verrà a raggiungervi e soffrirà con voi.

Ma la patria vi sarà grata perché voi siete e sarete gli artefici primi della sua fortuna.

Coraggio, fratelli carcerati.

Vi giunga la nostra parola d’amore”. (9)

Con questa nota dolente, ma ricca di speranza, finisce il 1921.

Quattro anni dopo, con l’amara, tardiva consapevolezza di un amante deluso, così Piero Bolzon riepilogherà l’anno che avvia al termine, un anno “bifronte”, chè, mentre lo squadrismo, nel primo semestre, ha creato   le premesse per la vittoria fascista, il Congresso di Roma, con la trasformazione in Partito, apre la strada al compromesso che verrà:

“Fin dal 1921, quando il Partito soffocò il movimento, si crebbe in brutale forza e si decadde in nobiltà di sentimento. La folla entrò in gioco colla sua devozione cieca, la sua buona fede fanatica, preparando così l’avvento di qualche dittatura autoritaria e di molti pretorianismi arbitrari. La necessità dell’azione serviva di copertura ai maneggi di alcuni fascisti di secondo bando…L’opera fraterna rivoluzionaria cominciò, fin d’allora, a essere contrariata di disaccordi, di rivalità, di eccessività, di accaparramenti e di privilegi personali, di satrapismi provinciali. Il pompierismo degli Onorevoli cominciò allora, e il piccolo gruppo medagliettato si considerò d’amblè un vero Stato Maggiore, e il Partito genuino dovette subire tutti gli umori dell’ingiusto monopolio, accapparrato ormai da un regime non fascista.

Legalismo ed illegalismo si accapigliarono spesso, con grave danno dell’unità spirituale e del metodo: legittimisti vollero più volte consegnare alla Benemerita gli scamiciati, salvo rivestirsi della loro gloria, quando qualcheduno di questi irregolari combinava qualche buon colpo”. (10)

 

NOTE

  1. “L’Assalto”, numero 53 del 29 ottobre 1921: “Salvare il fascismo”, in prima pagina
  2. “L’Assalto”, numero 51 del 15 ottobre 1921: “Al di sotto delle parole”, in prima pagina
  3. “L’Assalto”, numero 49 del 1° ottobre 1921: trafiletto in prima pagina
  4. “L’Assalto”, numero 53 del 29 ottobre 1921: “Per il Soldato ignoto”, in terza pagina
  5. In: Giorgio Alberto Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, Firenze Vallecchi 1928, vol. III, pag 585
  6. “L’Assalto”, numero 55-56 del 19 novembre 1921: “Al lavoro”, in prima pagina
  7. Ibidem: “Il capitolato colonico nell’imolese”, in seconda pagina
  8. “L’Assalto”, numero 55-56 cit.: “Atto di fede”, in terza pagina
  9. “L’Assalto”, numero 60 del 17 dicembre 1921: “Saluto ai prigionieri”, in terza pagina
  10. Piero Bolzon, Oltre il muro e la fossa, Milano Periodica Lombarda 1925 pag. 51

 

 

 

2 Comments

  • Ranieri Osvaldo 28 Aprile 2018

    Bei tempi ,quando si avevano ancora le menti libere senza alcun condizionamento comӏ adesso.
    C”era fermento per il cambiamento in meglio delle proprie condizioni,che pena vedere i nostri giovani piatti ,amorfi,spenti e rassegnati perché gli hanno spento il cervello !

  • Ranieri Osvaldo 28 Aprile 2018

    Bei tempi ,quando si avevano ancora le menti libere senza alcun condizionamento comӏ adesso.
    C”era fermento per il cambiamento in meglio delle proprie condizioni,che pena vedere i nostri giovani piatti ,amorfi,spenti e rassegnati perché gli hanno spento il cervello !

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