Questa volta partiamo da una di quelle notizie “minori” che la “grande” informazione non riporta mai, che hanno una certa circolazione sul web, ma che di solito solo i più attenti riescono a cogliere, sebbene si tratti di qualcosa di francamente illuminante.
Negli ultimi giorni di dicembre 2024 è apparsa sul sito dell’“APT-ETS Associazione Culturale L’Italia oltre i confini”, la notizia che Istvan Balogh rappresentante permanente dell’Ungheria presso la NATO, ha fatto ai suoi colleghi un regalo di natale davvero insolito, un atlante nel quale i confini dell’Ungheria sono rappresentati in maniera molto particolare, includendo la maggior parte della Croazia, il Burgenland austriaco e parte della Slovacchia.
Si tratta, ci viene spiegato, di un atlante che è già stato pubblicato a Budapest nel 2021, e chiaramente si ispira al concetto di rivendicazione della Grande Ungheria, cioè dei territori di cui lo stato magiaro è stato mutilato con il trattato del Trianon allegato alla pace di Parigi del 1919.
(La pace e l’insieme di trattati che determinarono l’assetto dell’Europa dopo la fine della Prima guerra mondiale sono generalmente conosciuti come pace di Versailles, ma non è esatto, si deve parlare di pace di Parigi. A Versailles fu consegnato alla Germania il più importante di essi, quello che riguardava lo stato tedesco, e anche la locuzione di trattati è impropria, ai vinti non fu consentito di discutere nulla, dovettero semplicemente prendere atto delle condizioni imposte dai vincitori. Versailles fu scelta come sede della consegna del documento alla Germania come ulteriore umiliazione, infatti lì, nella reggia era stato proclamato nel 1871 l’impero tedesco. La sede della consegna del documento con le condizioni di resa all’Ungheria fu invece il palazzo del Trianon. Le trattative – fra i vincitori, e dalle quali i vinti furono rigorosamente esclusi – si protrassero fino al 1920, data in cui furono consegnati i vari trattati, fra cui quello del Trianon, In esse, tra l’altro, l’Italia fu penalizzata, non ricevemmo né la Dalmazia né Fiume, che sarebbe diventata italiana solo in seguito grazie all’impresa dannunziana).
Sfortunatamente, la cartina riprodotta sul sito dell’“Associazione L’Italia oltre i confini” mostra solo la parte occidentale di questa auspicata Grande Ungheria. Sarebbe stato interessante conoscerne anche la parte orientale, soprattutto vedere come è stato ridisegnato il confine ungherese-romeno. Infatti, nel 1919 l’Ungheria fu fra gli stati europei che avevano combattuto contro l’Intesa, quello che subì le maggiori mutilazioni territoriali, nemmeno fosse ricaduta su di essa la maggiore responsabilità del conflitto.
Dovette cedere alla Romania la Transilvania che, oltre a essere la patria di un celebre conte, abitata da ungheresi, romeni e una minoranza tedesca, rappresentava un’estensione territoriale più ampia dell’Ungheria residua disegnata dal trattato del Trianon. In pratica, considerando anche le terre incluse nella Cecoslovacchia e nella Jugoslavia, lo stato magiaro fu più che dimezzato, ridotto a circa un terzo della sua estensione prebellica.
La cosa era talmente iniqua che nel 1940 la Germania indusse la Romania a restituire pacificamente agli Ungheresi parte della Transilvania, probabilmente in cambio della promessa di restituzione alla Romania della Bessarabia, regione che corrisponde grosso modo all’attuale repubblica di Moldavia, strappata ai Romeni dall’Unione Sovietica di Stalin con un atto di ingiustificata prepotenza. Fu l’arbitrato di Vienna, un accordo di cui oggi ci si ricorda poco, perché l’azione di Hitler come diplomatico inteso a garantire l’equilibrio e la pace fra gli stati europei si accorda poco con il mostruoso feticcio che gli è stato cucito addosso dalla propaganda “alleata” e postbellica.
Dopo il 1945 sono stati ripristinati fra i due stati i confini stabiliti dal trattato del Trianon, come se le decisioni prese a Parigi nel 1919 che furono la premessa della Seconda guerra mondiale, fossero state un vertice dell’umana saggezza.
Non si può non nutrire simpatia per l’Ungheria, ricordiamo l’eroica resistenza del 1956 all’invasione sovietica, e il fatto che questo Paese, con il suo leader Viktor Orban, è forse l’unico a opporsi con fermezza ai ripetuti diktat della UE, e allo stesso tempo non si può non deprecare il malaccorto gesto del governo italiano che ha premuto su quello ungherese fino a ottenere la scarcerazione della terrorista Ilaria Salis, che poi con i voti della sinistra e della parte più canagliesca del popolo italiano, è stata portata a sedere al parlamento europeo, infliggendo al nostro Paese l’ennesima vergogna a livello internazionale.
Se dunque l’atteggiamento ungherese da un lato ci appare pienamente comprensibile, dall’altro ci impone una riflessione. Occorre precisare che esso non è certo il solo rivendicazionismo presente in Europa e all’interno della stessa UE, somigliante più a un temporaneo accordo fra nemici nell’attesa di tornare a scannarsi, come lo fu la pace di Parigi del 1919, che a un’effettiva unione.
Rivendicazionismi che, a differenza di quello ungherese, non possiamo non considerare con viva preoccupazione.
Ricordiamo che a conclusione della Seconda guerra mondiale l’Italia fu amputata a favore della Jugoslavia, dell’Istria, di Fiume, di oltre il 90 per cento della Venezia Giulia prebellica. Da queste terre, oggi spartite tra Slovenia e Croazia, gli Italiani furono scacciati con il terrore, con l’inaudita violenza degli eccidi delle foibe, costringendo gli altri per rimanere in vita, alla dolorosa scelta dell’esodo, atrocità su cui la repubblica democratica e antifascista che disgraziatamente ci governa, ha steso per decenni un silenzio colpevole e complice.
Bene, pare che tutto ciò non sia bastato a placare gli appetiti annessionistici della Slovenia.
Ancora una volta l’informazione non ci è arrivata dai canali ufficiali per i quali certi argomenti sono tabù, e che preferiscono raccontarci favole rassicuranti invece della realtà, che sono, in altre parole, nient’altro che propaganda di regime. La dobbiamo invece a un coraggioso giornalista indipendente, purtroppo oggi scomparso, Giorgio Rustia, che nel suo libro Atti, meriti e sacrifici dei reggimenti Milizia Difesa Territoriale al confine orientale italiano (Aviani & Aviani editore, Udine 2011), ci racconta che:
“Il 30 giugno 2008, al termine del semestre di presidenza slovena dell’Unione Europea, il governo sloveno pubblicò un documento di sintesi dell’attività svolta a Bruxelles. Nello stesso documento di sintesi del semestre europeo, comparve una paginetta di presentazione di cosa fosse la Slovenia e delle tappe fondamentali dalla sua storia nazionale.
In detta paginetta viene affermato che alla fine della Prima Guerra Mondiale “il territorio etnicamente sloveno” venne diviso tra Austria, Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, “la gran parte del Litorale sloveno non venne affatto riunificata alla Slovenia”.
In pratica, continua la rivendicazione slovena già avanzata dal 1843 di tutte le terre a oriente del Tagliamento e possibilmente anche oltre, e avanzata non dà qualche esaltato, ma dal governo sloveno! Si tratta di un fatto gravissimo a cui il sistema mediatico italiano non ha dato nessuna rilevanza, continuando la “tradizione” ormai settantennale di servilismo e di sottomissione agli interessi stranieri.
Per chiarire bene lo sfondo storico, bisogna ricordare che nel 1843, ben cinque anni prima della famosa “primavera dei popoli” del 1848, come riferisce sempre Rustia, da Zagabria Drog Sejan diffuse in tutta Europa le sue carte etnografiche che fissavano al Tagliamento il confine occidentale del “territorio etnico sloveno”, incurante del fatto che a oriente di questo fiume vivessero migliaia di italiani, e tracciando una linea di rivendicazione a cui gli Sloveni non hanno mai smesso di guardare.
Ricordiamo anche che durante la seconda guerra mondiale vi fu un pactum sceleris tra Tito e Togliatti, che prevedeva la cessione alla Jugoslavia di tutte le terre italiane a oriente del Tagliamento in cambio dell’aiuto titino a “fare la rivoluzione” comunista in Italia, e precisamente in conseguenza di questo fatto, alle bande partigiane operanti nella nostra regione fu comandato di mettersi agli ordini del IX Corpus jugoslavo, e che il rifiuto della brigata partigiana italiana e non comunista Osoppo di ottemperare a quest’ordine provocò l’eccidio delle Malghe di Porzus, dove gli uomini della Osoppo, dopo essere stati circondati e catturati con l’inganno dalla brigata comunista sedicente Garibaldi, furono trucidati in massa.
Cerchiamo di capire bene cosa significa tutto questo: Noi tendiamo a pensare che l’epoca dei nazionalismi sia tramontata, che tutti quanti su questo pianeta siano diventati o si avviino a diventare citoyen du monde. Ma questa è un’idea che abbiamo solo noi italiani. Altrove, si ha ben vivo il senso dei propri interessi nazionali.
Poiché il regime che ha governato l’Italia dal 1922 al 1943 è stato l’unico che ha cercato di rendere gli Italiani fieri di essere tali, la repubblica democratica e antifascista impostaci dai vincitori si è fatta un dovere di tenere l’interesse nazionale in totale spregio.
Noi italiani di Trieste, nel difendere l’italianità della nostra città, non ci siamo mai sentiti l’Italia dietro le spalle mentre a pochi passi dalle nostre case ci confrontavano non solo con il mondo slavo, ma con l’impero comunista, semmai ci piovevano addosso le legnate, e solo ricordare le tragedie delle foibe e dell’esodo, significava, ha significato per decenni, essere fascisti.
Pare che agli occhi della democrazia antifascista, con la sconfitta della Seconda guerra mondiale l’Italia non abbia perso abbastanza. Nel 1947, con la firma del trattato di pace, fu ceduta alla Jugoslavia la città di Pola, fin allora rimasta italiana, eppure era un sacrificio che si sarebbe potuto evitare, i rapporti fra i vincitori non erano più quelli dell’immediata conclusione del conflitto, e se i politici dell’Italia antifascista l’avessero voluto, gli Stati Uniti ci avrebbero appoggiati nell’evitare ogni ulteriore espansione dell’impero comunista.
Tra l’Italia e la Jugoslavia si sarebbe dovuto incuneare il cosiddetto Territorio Libero di Trieste, materialmente comprendente due parti, la Zona A, grosso modo l’attuale provincia di Trieste, sotto occupazione angloamericana, e la Zona B, una striscia d’Istria che arrivava fino al fiume Quieto, sotto occupazione jugoslava. Non essendo mai stato costituito il cosiddetto Territorio Libero, nel 1954 cessò l’amministrazione militare angloamericana e la Zona A con Trieste fu restituita all’Italia.
Per motivi che non sono mai stati chiariti, i “nostri” politici decisero di regalare alla Jugoslavia parte della Zona A con il villaggio di Crevatini.
Nel 1975, con il trattato di Osimo, il governo sedicente italiano cedette alla Jugoslavia in cambio di nulla quella sovranità in termini di diritto internazionale che, non essendo mai concretamente stato costituito il Territorio Libero di Trieste, l’Italia poteva ancora vantare sulla Zona B.
Senza questa decisione assolutamente improvvida, la sovranità sia pure teorica che l’Italia poteva ancora vantare su questo territorio, nell’ipotesi che avessimo, cosa che non avevamo e non abbiamo, un governo e una classe politica che avessero a cuore gli interessi nazionali, quando a partire dal 1991 la Jugoslavia si è disgregata, sarebbe potuta essere quanto meno un oggetto di scambio per tutelare quanto restava e resta della residua minoranza italiana in Istria con le nuove repubbliche di Slovenia e Croazia.
Naturalmente, di fronte a tutto ciò, noi cittadini – e già usare questo termine sembra una tragica barzelletta – non abbiamo potuto nulla, poiché la “nostra” costituzione, “la più bella del mondo”, dettata dai vincitori del secondo conflitto mondiale, e disseminata di trappole per vanificare la volontà popolare, ci vieta il referendum sui trattati internazionali.
Ma non dobbiamo illuderci che la scomparsa della Jugoslavia abbia tolto ai “nostri” politici la voglia di ledere quanto più possibile gli interessi italiani. Nel 2022 è stato regalato alla Slovenia l’edificio della Scuola Interpreti dell’Università di Trieste, che aveva il torto di sorgere nell’area di un crimine fascista inesistente, l’incendio dell’hotel Balkan, a cui, come vi ho già spiegato altrove, furono gli stessi sloveni ad appiccare il fuoco.
Contrariamente a quanto ci ha raccontato Remarque, non è vero neppure che Sul fronte occidentale non c’è niente di nuovo. La stessa cedevolezza e incuria degli interessi italiani, infatti, i “nostri” politici l’hanno dimostrata nei confronti della Francia.
Senza provocare alcuna reazione da parte italiana, e senza che la nostra opinione pubblica ne sia stata adeguatamente informata, la Francia si è annessa il tratto di Mar Tirreno fra la Corsica e la Toscana e la vetta del Monte Bianco.
A parte il fatto che la Corsica stessa è una terra italiana su cui la Francia esercita da tre secoli un dominio che, in base al principio di nazionalità, non si può che considerare abusivo, non dobbiamo nemmeno pensare che, a parte il valore simbolico dell’essere il punto più alto d’Europa, la vetta del Monte Bianco sia un ammasso di roccia, neve, ghiaccio, e basta. C’è una stazione sciistica che è una fonte di introiti legati al turismo che ci è stata sottratta.
Rispetto a tutto ciò, nemmeno il nuovo governo di centrodestra succeduto ai centrosinistra, ha mosso un pelo, è tutto impegnato nella difesa dell’integrità territoriale…dell’Ucraina.
Tuttavia, almeno per il momento, il gruppo italiano – si fa per dire – con la più elevata percentuale di insigniti della Legion d’Onore, la massima onorificenza francese, rimane la dirigenza del PD, esattamente come ai tempi in cui portava il suo vero nome di Partito Comunista, poteva “gloriarsi” che vi fosse nell’Unione Sovietica staliniana una città intitolata al suo leader Togliatti, come premio della sua fedeltà al dittatore georgiano.
Forse considerando che questa onorificenza premia chi tutela gli interessi francesi a scapito di quelli italiani, è Legione di Disonore che dovremmo chiamarla.
Noi non siamo nazionalisti, e ci illudiamo che anche gli altri non lo siano più, in più, come se non bastasse, la nostra compattezza nazionale è incrinata da mille separatismi. Questa nostra povera Italia è esattamente descritta nella famosa metafora manzoniana dei vasi, un vaso di coccio fra vasi di ferro che, come tale, rischia di andare in briciole.
NOTA: Nell’illustrazione, l’imponente Palazzo del Parlamento di Budapest, edificato a partire dal 1867, quando l’Ungheria è tornata a essere un regno autonomo, e ancora oggi simbolo dell’orgoglio magiaro.
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