2 Dicembre 2024
Origini

Il tema delle origini fra ricerca scientifica e mito – Fabio Calabrese

Ci sono alcuni testi, oramai non nuovissimi, che mi ero ripromesso più volte di recensire, testi conservati nel mio hard disk sotto forma di PDF, e uno degli ostacoli che mi hanno dissuaso finora dall’occuparmene, è proprio questo, non è agevole comprendere se una volta stampati assumerebbero le dimensioni del libro, dell’opuscolo, del pamphlet, ragion per cui nelle more mi sono deciso per una trattazione complessiva.

Ora mi soffermerò in particolare su quattro di essi, L’altra Europa – miti congiure ed enigmi all’ombra dell’unificazione europea di Paolo Rumor, Loris Bagnara e Giorgio Galli, Evoluzionismo, suggestione poco scientifica di Maurizio Barozzi, Atlantide, Iperborea e Thule, fonti, ipotesi e discendenza di Marco Enrico de Graya, e Strade del nord, il tema delle origini boreali in Heman Wirth e negli altri del nostro Michele Ruzzai.

A eccezione del primo testo, gli altri tre trattano da diverse angolazioni e prospettive la tematica delle origini.  Atlantide, Iperborea e Thule, qui è molto chiaro che siamo in una dimensione mitica, ma riguardo al mito non dobbiamo dimenticare la lezione di Platone  (cosa molto appropriata e opportuna parlando di Atlantide), che il mito non va inteso come semplice fantasticheria, ma è un vero e proprio ausilio alla conoscenza là dove un’esposizione razionale apparirebbe troppo ardua, e su questa tematica delle origini diventa un ausilio particolarmente prezioso, perché la ricerca cosiddetta scientifica, lungi dall’essere una ricerca obiettiva del vero, è pesantemente condizionata da motivazioni ideologiche.

Meglio di tutto, può aiutarci a comprenderlo una citazione che ora vi riporto da L’altra Europa ed è il motivo per cui ho menzionato questo testo che non tratta della questione delle origini, riservandomi però di dedicargli maggiore attenzione in futuro.

“Tra la Scilla della dittatura militare russa (ci si riferisce all’epoca dell’Unione Sovietica)  e la Cariddi della dittatura finanziaria americana, solo un cammino obbligato porta verso un avvenire migliore: questo cammino si chiama Europa”.

Traduciamo questo nei termini della nostra questione. La “teoria” dell’Out of Africa, che postula le nostre origini nel Continente Nero, e di cui tante volte vi ho mostrato le falle negli articoli della serie L’eredità degli antenati, oltre ad aver pubblicato un libro sull’argomento, e che tuttavia ci si continua a imporre come l’ortodossia scientifica (e fortuna che non si pratica più il rogo per i dissidenti), al di là di tutto quello che le prove concrete possono o non possono dimostrare, risponde alle esigenze dell’ideologia prettamente americana del “politicamente corretto” che serve a tenere insieme una società ibrida come è quella USA, ma che si vuole imporre anche da noi in vista di una sostituzione etnica destinata a rendere l’Europa altrettanto ibrida.

Vi ho detto più sopra, sulla scorta di Platone, del valore euristico del mito, e allora sarà il caso di rifarsi a un’osservazione di Silvano Lorenzoni. Ammessa e non concessa l’ipotesi dell’origine africana, resterebbe da spiegare come mai al contrario, i miti ancestrali di tutti i popoli della Terra, anche di quelli più meridionali, indichino invece le origini della nostra specie nel nord.

Cominciamo allora parlando del testo di Barozzi che è una prevedibile critica alla teoria evoluzionistica anche se, va detto, non sulla base di un creazionismo puro e semplice, ma richiamandosi alle tesi di Giuseppe Sermonti, espressa in particolare nei testi La luna nel bosco e Dopo Darwin, quest’ultimo scritto con Roberto Fondi, che non nega la microevoluzione, cioè l’evoluzione all’interno delle specie, ma la macroevoluzione, cioè il passaggio evolutivo da una specie o da un gruppo tassonomico all’altro, ad esempio da pesci ad anfibi o da dinosauri a uccelli.

Come probabilmente ricorderete, ho affrontato nei miei scritti la questione dell’evoluzione più volte, e ora dovrò giocoforza ripetermi, ma forse mai come in questo caso repetita iuvant, perché si tratta di una questione scientifica che ha importanti implicazioni filosofiche, politiche, o più in generale in termini di visione del mondo.

Nei nostri ambienti l’idea di evoluzione è generalmente malvista, perché c’è l’errata convinzione che essa sia “un’idea di sinistra”, convinzione che nasce dal fatto che quando essa fu formulata da Charles Darwin fu vista come un attacco alla dottrina creazionista biblica (erroneamente) vista come la tradizione, e per la fusione (indebita) del concetto di evoluzione con quello di progresso, senza tenere conto che la prima riguarda la scala enorme dei tempi geologici, mentre il secondo deriva da una discutibile osservazione di eventi degli ultimi due secoli della storia umana e non riguarda il mondo naturale.

In realtà, a mio parere, ciò che si può desumere dall’evoluzione non va affatto in questa “sinistra” direzione. Il concetto di selezione naturale ci orienta piuttosto verso la creazione di nuove élite esattamente all’opposto di quello spirito di livellamento comune a marxismo, cristianesimo e democrazia. La tendenza dei viventi a preservare e trasmettere alle generazioni successive la propria impronta biologica va in direzione esattamente contraria a tutte le utopie cosmopolite e internazionaliste, a favore di quello spirito identitario che privilegia la propria identità etnica come continuità di sangue.

Julius Evola ha elaborato un’interpretazione del divenire biologico secondo la quale la progressiva comparsa nel mondo vivente di forme man mano superiori non avrebbe un significato evolutivo, ma quello della decadenza sul piano della materialità di entità di grado via via più elevato, e sarebbe dunque un segno non del progresso, ma della decadenza a livello cosmico. Una concezione evidentemente troppo difficile per molti suoi presunti discepoli, che ne hanno recepito l’afflato anti-evoluzionista senza però comprendere l’alternativa proposta, e ai quali non è rimasto altro che ricadere nel creazionismo di stampo biblico. Solo in questo modo mi pare che si possa spiegare il fatto che alcuni hanno potuto vedere in Evola “un ponte” per tornare al cristianesimo. Credono di averlo approfondito, ma lo hanno semplicemente frainteso.

Riguardo al punto di vista proposto da Sermonti e da Barozzi, vorrei osservare che la distinzione proposta tra microevoluzione e macroevoluzione è artificiosa e non persuasiva. Dove sono i limiti di una specie? Pensiamo per esempio ai cani. Noi mettiamo alani e bassotti nella stessa specie pur essendo diversissimi perché fra gli uni e gli altri esistono numerose forme intermedie, ma mettiamo che si estinguessero tutti eccetto queste due razze. Un ipotetico zoologo marziano certamente li classificherebbe come due specie diverse. La distinzione tra microevoluzione e macroevoluzione semplicemente non ha senso.

Io a questo punto vi citerei non senza soddisfazione uno stralcio di un altro testo sul quale mi riprometto di ritornare in seguito con maggiore ampiezza, Il senso ultimo della nostra battaglia di Diego Binelli:

In termini concreti: No al monoteismo, al creazionismo, alla morale, allindividualismo, allegualitarismo, allantirazzismo, al pacifismo, alla remissività, al femminismo, allanimalismo e allecologismo di stampo tellurico-matriarcale, al mercantilismo e allutilitarismo, al perbenismo dei benpensanti, alla civiltà borghese, alla vita cittadina, alla democrazia dal basso, al nazionalismo giacobino”.

Noto con piacere di non essere il solo a constatare che il creazionismo nel quale alcuni di noi ricadono pur di respingere qualsiasi idea di evoluzione, è in definitiva qualcosa che ci è estraneo e contrario alla nostra visione del mondo.

E veniamo al testo di De Graya che, devo dire, è stato per me una sorpresa, soprattutto per quanto riguarda il mito di Atlantide. La controversia su di esso è vecchia poco meno della sua formulazione da parte di Platone, infatti Aristotele scriveva in proposito:

“Soltanto Platone ha sollevato Atlantide dal fondo dell’oceano, e soltanto Platone ve l’ha rituffata”.

Beh, a quanto pare Aristotele aveva torto, se non altro perché il mito di Atlantide pare essere più antico di Platone, se ne trovano tracce addirittura in Omero ed Esiodo.

Omero, secondo quanto racconta Plutarco di Cheronea, pone Ogigia, la mitica isola di Calipso nell’oceano, a cinque giorni di navigazione verso occidente dalla Britannia, e ancora verso ovest “in linea con la direzione del tramonto estivo”, si trovano altre isole. È un passo piuttosto noto, che tra l’altro è stato la base della ricerca di Felice Vinci che l’ha portato a collocare la scena originaria delle vicende omeriche nel Baltico, prima che gli Achei discesi nella penisola ellenica le riadattassero al nuovo ambiente.

Ancora più esplicito Esiodo, che addirittura attribuisce agli Atridi, Agamennone e Menelao figli di Atreo un’origine atlantidea.

Ora io tralascerò la lunga lista di autori antichi che hanno parlato di Atlantide, ma potrebbero semplicemente aver desunto le idee in proposito da Platone, che De Graya cita con ampiezza, per nulla dire delle fonti moderne. Quella che è forse di maggiore interesse è la ricerca delle prove della passata esistenza del mitico continente perduto.

De Graya ne cita varie, intanto la singolare coincidenza delle date. Platone racconta che lo sprofondamento di Atlantide sarebbe avvenuto novemila anni prima della sua era, cioè proprio l’epoca in cui il paleolitico lascia il posto al neolitico, cioè proprio il momento in cui in varie parti del mondo gli uomini abbandonano lo stile di vita di cacciatori nomadi per diventare agricoltori stanziali, a fondare villaggi e città, come se avessero subito l’influsso dei superstiti di una civiltà superiore.

Poi, puntiamo l’occhio sulle Canarie. Quando gli Spagnoli le raggiunsero, vi trovarono una popolazione che non pareva imparentata con nessun’altra, i Guanci, di pelle chiara, dai capelli biondi o rossi, erano forse i superstiti atlantidei.

Di Iperborea e Thule l’autore sembra avere un’idea alquanto riduttiva, concependole come propaggini o forse colonie di Atlantide. Thule, l’ultima Thule, ossia la terra più settentrionale (ancora) abitabile dall’uomo, coinciderebbe con l’Islanda, e Iperborea con una terra posta ancora più a nord, forse l’arcipelago delle Spitzbergen o l’attualmente russa nuova Zemlya, terre che sarebbero state abbandonate in seguito al peggioramento climatico.

Qui è il caso di accennare a un discorso che ho già affrontato altre volte. La ricerca scientifica ha riconosciuto la realtà delle glaciazioni e l’alternarsi di periodi glaciali e interglaciali nella storia del nostro pianeta, tuttavia sulle cause di esse, le opinioni dei ricercatori sono molto controverse.

Tuttavia appare verosimile che, almeno in riferimento all’ultima glaciazione, il clima complessivo del nostro pianeta non sia cambiato gran che, ma mentre le regioni oggi temperate erano strette dalla morsa dell’inverno glaciale, quelle artiche godessero di un clima molto più mite e propizio all’insediamento umano, altrimenti non si spiegherebbe come avrebbe potuto di che sostentarsi la megafauna che un tempo le popolava, comprendente mammut, mastodonti, rinoceronti lanosi, leoni e orsi delle caverne i cui resti lo scioglimento del permafrost ci sta restituendo in abbondanza in Siberia e in Alaska.

Che ciò sia stato dovuto a un cambiamento dell’inclinazione dell’asse terrestre o, come ipotizza ad esempio Graham Hancock, a uno slittamento della litosfera sul nucleo interno del nostro pianeta, è una questione irrisolta che non occorre affrontare qui.

Che le terre oggi inabitabili dell’Artico presentassero migliaia di anni fa una situazione ben diversa, che la nostra specie possa aver avuto qui e non in Africa la sua culla ancestrale, è tutt’altro che improbabile e conforme alle tradizioni di pressoché tutti i popoli.

Va da sé che questo repentino cambiamento e gli sconvolgimenti che l’hanno accompagnato possono spiegare anche l’inabissamento di Atlantide.

Detto questo, però, lasciamo stare Thule, ma mi pare che De Graya sottovaluti molto il ruolo di Iperborea. Iperborea, letteralmente in greco “Al di sopra del nord” è prima di tutto un polo metafisico e metastorico concernente l’origine della stirpe umana, la più remota patria ancestrale, rispetto alla quale Atlantide è una derivazione. Che Atlantide sia stata una colonia di essa, e non il contrario, è ad esempio anche l’orientamento di Julius Evola. Riguardo a Iperborea non è possibile non menzionare lo splendido libro di Gianfranco Drioli Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta.

Veniamo infine a parlare di Strade del nord del nostro amico e collaboratore di “Ereticamente” Michele Ruzzai. Se su di esso non mi dilungherò eccessivamente, non è perché si tratti di un testo poco importante, ma perché in linea di massima dovreste conoscerne già il contenuto che è già apparso scaglionato nella forma di 28 articoli sulle nostre pagine elettroniche.

E’ ovvio, come il titolo fa già presumere, che questo testo sostiene l’origine nordica della nostra specie in contrapposizione all’ipotesi africana.

Come vi ho detto, non entrerò nei dettagli, ma non si può mancare di dire che in sostanza Ruzzai riprende la dottrina indiana delle quattro età che, come sappiamo, è divenuta uno dei cardini del pensiero tradizionale.

Ruzzai si è dedicato a questo lavoro dopo o parallelamente a un altro non meno impegnativo, la traduzione in lingua italiana del monumentale Der Aufgang der Menscheit, ossia L’alba dell’umanità di Herman Wirth, un classico che fra le due guerre mondiali in Germania ha incarnato la tematica delle origini secondo il pensiero tradizionale, ma di cui in Italia e in lingua italiana non è finora mai stata pubblicata una traduzione integrale.

Attualmente Ruzzai è alla ricerca di un editore per entrambi i testi, ma Strade del nord è disponibile in formato PDF per chiunque ne faccia richiesta.

La cosa che stupisce di più in questo testo è l’ampiezza dell’apparato bibliografico che ci dimostra la meticolosità del lavoro di Ruzzai che non si è scordato nemmeno di citare il mio personale contributo.

Questo ci impone di riflettere. Oggi l’ortodossia democratica “politicamente corretta” di una democrazia fondata sulla negazione della libertà di pensiero ci impone l’origine africana come una cosa ovvia, risaputa, al di là di qualsiasi discussione, ed è sorprendente scoprire quanti autori in un passato nemmeno troppo lontano hanno prospettato le cose in modo ben diverso o diametralmente opposto.

In altre parole, il tema delle origini è un campo di battaglia, ma una battaglia che noi combatteremo senza timore.

NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra una ricostruzione ideale di Atlantide, al centro l’isola Iperborea nella celebre carta di Mercatore, a sinistra la copertina di Strade del nord di Michele Ruzzai.

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