5 Ottobre 2024
Rievocazioni

Il salto della quaglia: dalla “Triplice Alleanza” alla “Triplice Intesa”. Le Rievocazioni di Michele Rallo

le alterne alleanze dell’Italia

alla vigilia della Grande Guerra

Gli inglesi e gli americani non ci hanno mai amato, scrivevo il mese scorso commentando il secolare contrasto fra noi e gli anglosassoni nel Mediterraneo.

Ma – aggiungo adesso – neanche i tedeschi ci hanno mai amato. Anche durante gli anni del Patto d’Acciaio avevamo certamente degli amici (primo fra tutti il maresciallo Göring), ma anche dei nemici (primo fra tutti il ministro degli Esteri von Ribbentrop). Ma di questo parleremo – forse – in una prossima occasione; così come potremmo anche parlare dei nemici che l’Italia ha nella Germania di oggi, al tempo della Kanzlerin Angela Merkel.

Ma, in generale, cosa ci rimproverano i tedeschi? Tante cose: alcune più o meno apertamente, come la concorrenza dell’industria italiana (almeno prima delle privatizzazioni) nei confronti della loro produzione e delle loro esportazioni; altre meno apertamente, sussurrate a mezza bocca per paura di incorrere nel peccato mortale del “non politicamente-corretto”. Fra questi ultimi argomenti, il primato va certamente all’accusa di averli traditi: e non solamente nella seconda guerra mondiale (e non hanno tutti i torti), ma – cosa forse meno nota al grande pubblico di casa nostra – anche nella prima.

manifesto

Allo scoppio della Grande Guerra, infatti, l’Italia faceva parte della Triplice Alleanza, il patto militare che ci legava all’Austria e alla Germania. Alla coalizione con i due “imperi centrali” (la Duplice Alleanza) noi avevamo aderito nel 1882, spinti dalla necessità di contrastare l’ostilità degli “occidentali” (inglesi e francesi) che volevano cancellarci come potenza mediterranea ed impedire la formazione di un impero coloniale italiano sulla costa settentrionale dell’Africa. Sono argomenti di cui si è già trattato su queste stesse pagine. Ricordo soltanto quella che probabilmente fu la goccia che fece traboccare il vaso, e che ci spinse a cercare solidarietà nell’Europa centrale: era del 1881, infatti, lo “schiaffo di Tunisi”, e cioè l’occupazione francese di una Tunisia che era già, di fatto, colonizzata dall’Italia.

Sia stato come sia stato – comunque – la nostra permanenza nella Triplice Alleanza non fu priva di spigolosità. I rapporti con il Reich neo-prussiano erano ottimi, e tali resteranno fino all’inizio della prima guerra mondiale. Viceversa, con l’altro impero germanico, l’austriaco, erano tutt’altro che rose e fiori. Ed era naturale che così fosse, stante il fatto che il Regno d’Italia ambiva ad entrare in possesso (e non ne faceva mistero) delle regioni italiane che ancòra erano soggette all’Imperial Regio Governo austrungarico.

Né si creda che la vicenda si esaurisse nel nostro rapporto con Austria e Germania o con Francia e Inghilterra. Perché, nel frattempo, altri avvenimenti si intrecciavano e si sovrapponevano nel groviglio del “concerto europeo”. Il Papato, innanzitutto, non accettava di essere stato confinato nel mezzo chilometro quadrato del Vaticano e andava sollecitando – riservatamente ma non troppo – il sostegno delle Potenze cattoliche (Austria in primis) per riprendersi un pezzo d’Italia. Anche per questo, evidentemente, Roma aveva tutto l’interesse a legare le mani a Vienna, vincolandola con gli impegni solenni di un’alleanza internazionale.

Poi c’era la Russia, che con gli imperi centrali aveva stipulato un patto di neutralità (c.d. Alleanza dei Tre Imperatori, 1881), ma che – osteggiata dall’Austria in nome della tutela degli interessi ottomani – subiva la corte sempre più serrata di Francia e Inghilterra. Finalmente, nel 1891, l’impero zarista gettava definitivamente alle ortiche l’Alleanza dei Tre Imperatori e stipulava con la Francia un primo accordo, seguìto da una vera e propria alleanza l’anno successivo.

tripliceFrancia e Inghilterra, frattanto, superati alcuni piccoli screzi sulla scena coloniale (incidente di Fascioda, 1898) davano ufficialità e solennità alla loro alleanza, stipulando nel 1904 una “intesa” – l’Entente Cordiale – che era il primo passo sulla via di un cartello occidentale che si opponesse a quello centrale. Il passo successivo era – nel 1907 – l’accordo fra Inghilterra e Russia per spartirsi la Persia e per stabilire precise aree d’influenza in Asia. Accordo – questo – che convenzionalmente viene fatto coincidere con la nascita di una Triplice Intesa anglo-franco-russa, contrapposta alla Triplice Alleanza austro-tedesco-italiana.

Roma, nel frattempo, discretamente spalleggiata da Berlino, era andata perfezionando i meccanismi della “sua” alleanza, impastoiando la diplomazia di Vienna e vincolandola a “compensazioni” da attribuire all’Italia nel caso di ogni ulteriore espansione dei domìni austriaci. Ciò avrebbe dovuto produrre – nei disegni della nostra diplomazia – il recesso indolore dell’Austria dai suoi possedimenti cisalpini. Pur se – va detto anche questo – gli strateghi asburgici pensavano di tacitarci con un piatto di lenticchie in Albania. In ogni caso, l’Austria era fermamente intenzionata ad espandersi verso i Balcani, e l’Italia era altrettanto fermamente intenzionata a ricavare il suo utile da una tale evenienza. Strumenti di questo estenuante balletto diplomatico erano ben quattro “rinnovi” della Triplice Alleanza (nel 1887, 1891, 1902 e 1912), attraverso i quali l’Italia otteneva solenni ancorché vaghi impegni di adeguati ristori.

Nonostante tutto, però, i rapporti bilaterali italo-austriaci continuavano ad essere difficili, spigolosi, faticosi. Non erano stati brillanti al tempo della guerra italo-turca (1911-12). E adesso, nell’estate 1914 – quando deflagrava il conflitto regionale austro-serbo che sarebbe degenerato presto in guerra mondiale – erano più freddi che mai. Roma, in primo luogo, non condivideva il desiderio austriaco di trasformare di fatto la Triplice Alleanza, da patto difensivo (quale era stato concepito nel 1882) in patto offensivo. Non ci si sentiva assolutamente tenuti all’intervento in guerra, men che meno per sostenere una politica da noi assolutamente non condivisa: quella della spinta austriaca verso i Balcani, causa prima – se non unica – del conflitto in atto. Certo, avremmo potuto modificare la nostra posizione, ma ciò non sarebbe potuto avvenire senza il soddisfacimento delle nostre esigenze minime: l’acquisizione di Trentino, Friuli, Giulia ed Istria, oltre ad altre compensazioni nei Balcani; e non soltanto nelle inospitali terre albanesi, bensì anche nell’area settentrionale dell’Adriatico, nella Dalmazia popolata ancòra da italiani, elemento-cardine del disegno che avrebbe voluto fare di quel mare un “lago romano”.

Voglia di imperialismo? Certo. E non avrebbe potuto essere diversamente nell’età degli imperialismi. E, tuttavia, prima ancòra che da voglia d’imperialismo, le aspirazioni italiane muovevano da una precisa voglia di sicurezza, voglia di garantire i nostri confini da un alleato – quello austriaco – di cui non ci fidavamo affatto. Da qui la necessità di spingere in avanti le nostre frontiere orientali: la terrestre, possibilmente, fino alla “displuviale alpina”; e la marittima, fino a comprendervi quasi per intero le coste adriatiche, quanto meno nel settore nord. Solo frontiere sicure e difendibili avrebbero potuto garantirci dalle potenziali minacce di un’Austria che si fosse installata stabilmente nei Balcani.vignetta

Gli occidentali si rendevano ben conto delle nostre perplessità, e iniziavano un serrato corteggiamento per portarci dalla loro parte. Dall’altro lato, anche la Germania moltiplicava gli sforzi per mantenerci nell’orbita dell’Alleanza, anche se aveva ben poco da offrirci. L’unica a non farci pressioni era l’Austria, quasi che ora – dopo aver provocato il distacco della Russia – godesse anche dell’allontanamento dell’Italia; la sola cosa che sembrava interessarla era l’amicizia dell’Impero Ottomano, che avrebbe dovuto garantirle un facile accesso ai Balcani.

Quanto a noi, eravamo perfettamente coscienti della nostra importanza: sia per il nostro potenziale militare, che aveva peraltro dato buona prova durante la recente guerra italo-turca; sia per la nostra posizione geo-strategica, in grado di minacciare sia l’Austria che la Francia.

Non essendoci dunque alcuna propensione aprioristica, era logico che le trattative si svolgessero su un terreno pratico, utilitaristico. La scelta dell’Italia sarebbe dipesa da cosa i contendenti le avrebbero offerto in cambio della sua partecipazione al conflitto. Ed era anche logico: se doveva intervenire in una guerra cui era estranea, se doveva affrontare sacrifici economici e perdite umane, l’Italia avrebbe dovuto quantomeno ricavarne una contropartita adeguata.

Su questo terreno, le trattative con gli imperi centrali giungevano ben presto ad un punto morto: l’Austria non era disponibile a riconoscere all’Italia neanche le famose “compensazioni” per la sua espansione nei Balcani, benché queste – come si è visto – fossero espressamente previste nei trattati della Triplice Alleanza. Roma ribadiva la richiesta di Trento, Trieste e Gorizia (8 aprile 1915), ma Vienna – nonostante il parere positivo di Berlino – rifiutava recisamente, accentuando addirittura i propri atteggiamenti antitaliani.[1]  Gli austriaci – spiegava il Volpe – erano «sentimentalmente avversi ad ogni condiscendenza verso l’Italia».[2]

Al contrario, l’Inghilterra – che conduceva le trattative con l’Italia anche per conto della Francia – si dimostrava propensa ad accettare tutte le richieste di Roma: non soltanto il Trentino e il confinante Sud Tirolo, ma anche tutti gli altri territori che si trovavano al di qua dell’arco alpino, fino all’Istria. E poi, ancòra, vaste zone della Dalmazia e dell’Albania. E nell’Egeo, oltre alla conferma del pieno possesso del Dodecanneso, anche una “giusta parte” dell’Anatolia. Tutto ciò ci veniva solennemente promesso da Inghilterra e Francia (e poi avallato dalla Russia) con il cosiddetto Patto di Londra, stipulato segretamente il 26 aprile 1915. Per parte nostra, ci impegnavamo ad entrare in guerra nel giro di un mese.

libroUna settimana dopo, il 3 maggio, il governo italiano denunziava la sua alleanza con l’Austria – e quindi la Triplice Alleanza – attribuendo per intero la responsabilità del fatto a Vienna ed alla sua politica aggressiva ed espansiva. Le ragioni di Roma erano condensate in un “Libro Verde” (pubblicato in pari data) con cui veniva dato puntualmente conto di tutte le violazioni allo spirito ed alla lettera dell’Alleanza compiute dal governo austrungarico.[3] Una politica – si ribadiva – condotta non soltanto senza aver preventivamente avvisato l’Italia (come previsto dagli obblighi della Triplice) ma, addirittura, contro il parere e contro gli interessi dell’alleata. «Il trattato – chiosava il Volpe – faceva obbligo ai governi di Vienna e Roma di accordarsi avanti che l’uno o l’altro prendesse iniziative di occupazioni territoriali, permanenti o anche temporanee, nei Balcani; stabiliva che l’accordo dovesse basarsi sul principio di un compenso spettante ad uno dei due Stati, quando l’altro conseguisse vantaggi territoriali o d’altra natura. Ora, la guerra aveva tutti i caratteri, almeno diplomaticamente, di una aggressione, come il Governo italiano la definì già il 24 luglio 1914. (…) A quell’obbligo l’Austria non aveva ottemperato neanche con un semplice avvertimento preventivo.»[4]

La dichiarazione di guerra all’Austria (non ancora alla Germania) seguiva di lì a poco: il 24 maggio «il Piave mormorava» al passaggio dei primi nostri fanti.

L’Italia aveva fatto la sua scelta. Scelta eticamente assai discutibile, ma giustificata dalla dura, astiosa, testarda ostilità della nostra ex alleata Austria.

Certo, nessuno poteva allora immaginare che, dopo aver ottenuto l’entrata in guerra dell’Italia, i nostri nuovi alleati ci avrebbero poi osteggiato in tutti i modi, rimangiandosi i solenni impegni assunti con il Patto di Londra. Ma questa è un’altra storia.

NOTE

[1] Gian Enrico RUSCONI:  L’azzardo del 1915. Come l’Italia decise la sua guerra.  Società editrice Il Mulino, Bologna, 2005.

[2] Gioacchino VOLPE:  Il popolo italiano tra la pace e la guerra. 1914-1915.  Istituto di Studi Politici Internazionali, Milano, 1940; Bonacci editore, Roma, 1992.

[3] Il Libro Verde. Documenti e note sulla denuncia del trattato d’alleanza fra l’Italia e l’Austria-Ungheria.  Casa editrice A.Cervieri, Milano, 1915.

[4] Gioacchino VOLPE:  Cit.

2 Comments

  • Alessandro Cappelli 7 Novembre 2016

    L’ennesimo articolo che segue pedissequamente la vulgata ufficiale Italiana, solo vicina e quindi lontana dalla verità. Cosa c’è di ” eretico” ? Nulla anzi sembra oppio. Molto più eretico sarebbe stato illustrare come avvennero i corteggiamenti degli alleati, i canali attraverso i quali siamo legati, ancora sembra, alla Gran Bretagna, le morti “opportune” , fra le quali il “suicidio” del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, o almeno, le offerte degli Imperi Centrali per la neutralità dell’Italia.

  • Alessandro Cappelli 7 Novembre 2016

    L’ennesimo articolo che segue pedissequamente la vulgata ufficiale Italiana, solo vicina e quindi lontana dalla verità. Cosa c’è di ” eretico” ? Nulla anzi sembra oppio. Molto più eretico sarebbe stato illustrare come avvennero i corteggiamenti degli alleati, i canali attraverso i quali siamo legati, ancora sembra, alla Gran Bretagna, le morti “opportune” , fra le quali il “suicidio” del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, o almeno, le offerte degli Imperi Centrali per la neutralità dell’Italia.

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