13 Gennaio 2025
Cultura

Il Nemico e la Poiesi

Se si conducono guerre e battaglie contro il cancro ciò è del tutto una metafora, perché nemmeno in questo caso si può dire che il cancro sia un Nemico dal momento che a tutt’oggi, se si accetta questo punto di vista, non si sa bene di che cosa si tratti. Per il principio più volte insistito della Poiesi del Nemico non si potrà certo affermare che il cancro sia una creazione della medicina per poterlo combattere! La definizione di Nemico è sfuggevole come quella del cancro per il momento. La definizione di Nemico presuppone e pretende una presa di posizione inevitabilmente e inesorabilmente manichea. Essere manichei in una partita a scacchi non comporta rischi.

Ehr Sheng: Almanacco di strategia trascendentale.

 

Vi è un luogo comune o proverbio che afferma essere assai difficile trovare un ago in un pagliaio e si potrebbe aggiungere senza pungersi! Quel che è certo però e inoppugnabile è che è impossibile trovare un ago in un pagliaio se non si sa che cos’è un ago. Così è per la guerra! Non si riesce proprio a capire perché della guerra sorgente d’ogni male e puntura venefica d’ago, di perdite universali e corruzione non si possa cogliere nel pagliaio della storia del mondo l’ago puntuto che la determina!

Perché gli uomini continuano a farsi la guerra?

Perché sono totalmente pazzi o perché forse un qualche vantaggio continua a trarsi dalla guerra?

La risposta è una sola ed è certa finora tranne che per l’autore dell’Almanacco.

Non si sa che cosa sia la guerra se la si continua a perpetrare.

Trovare l’ago nel pagliaio se non si sa che cos’è un ago è impossibile.

Dell’ago e della guerra sappiamo che punge, ferisce, fa sanguinare infine.

E’ stato detto che la guerra è la medicina dei popoli. Se è medicina è medicamento e medicamento è altresì quello chirurgico se può sottrarci alla morte. Quando si opera chirurgicamente si anestetizza ora il malato e l’anestetico è viatico per la guarigione. La parte più giovane dell’umanità sembra poi malata se trova rimedio nella droga in tutta la varietà delle sue forme da queste nostre parti. E’ ancora noto che tutti coloro che oggi combattono sono chimicamente alterati specie quelli cui non si richiede la perfezione dell’apparato sensibile e intelligente. Mentre i piloti degli aerei a reazione devono dar prova di un’efficienza mentale totale e intatta non si richiede altrettanta perfezione sensibile nei combattenti si sarebbe detto una volta in prima linea, perché c’è un ma che va illustrato e ricordato. La spiegazione di questo ma va ricordata ora. I piloti degli aerei bombardano da distante come coloro che concepiscono un lancio di missile. Essi non hanno a che fare con la morte direttamente con quella che i militi della prima guerra mondiale chiamarono la polpetta cioè un commilitone spiaccicato allato da un obice o sbrindellato da una granaglia di mitragliatrice. I piloti degli aerei sono asettici e ingegneristici.

Nel congegnare questi termini orripilanti mi avvalgo di una memoria diretta.

 

Molti anni fa il PCI di Venezia ebbe suo ospite divulgatore un membro del Vietnam del Nord con il quale anch’io conversai a casa di un amico scomparso che fu oltre che personaggio politico docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia. La guerra era in atto e quel militare faceva parte della delegazione vietnamita che s’incontrava in Parigi per i colloqui di pace con gli USA e i suoi alleati della SEATO per una guerra di confine che mai fu apertamente dichiarata. Ebbene quel vietnamita si espresse con nobiltà e chiarezza dicendoci che, mentre per i soldati che combattevano sul terreno vigeva un patto di mutuo rispetto, egli non provava che odio per coloro che comminavano dal cielo la morte senza scorgere lo strazio delle popolazioni civili. Ciò è romantico va ammesso allora come oggi la morte colpisce nella guerra moderna l’intera popolazione e non distingue il laico dal milite. Nella guerra moderna siamo tutti egualmente coinvolti e non serve distinguerci se non ai fini della propaganda che è anch’essa parte coessenziale dell’evento bellico.

Epperò data la deviazione ritorniamo daccapo.

 

Che cos’è la guerra?

Se la guerra è invincibile nel senso di insuperabilmente ignota nelle sue cause al punto di non sapere che cosa sia stata, sia ora e continui ad essere non abbiamo che da continuare a riflettere e dolerci!

Insomma della guerra non si può proprio fare a meno e come ogni ciclicità eventuale si ripresenta come istanza insopprimibile di sofferenze e di morte.

La soluzione o meglio il percorso risolutivo di Ehr Sheng procede diversamente. Non che questo offra una soluzione dell’enigma ma si presenta senz’altro l’indicazione di un diverso procedere.

L’autore dell’Almanacco indica nella Poiesi il principio, la causa nativa della guerra mortale e mortifera. Questo principio si definisce come fatto creativo, creaturale, iniziale e irreversibile che fondasi in definitiva sulla presenza insopprimibile dell’odio che da personale, limitato e individuale si fa collettivo.

Vi sarebbe in ciascuno di noi una pulsione creativa che genera quasi ex nihilo il Nemico.

La guerra presuppone il Nemico. Se non si procede alla creazione del Nemico non si attiva quel meccanismo che da una parte si chiama attacco e dall’altra difesa contro quel nemico che non è altro che colui che attenta alla nostra vitalità, donde si ricaverebbe il solo principio valido per scongiurare ogni guerra e cioè quello di impedire la Poiesi del Nemico.

Per far precipitare la dimostrazione sconcertando chi mi legge ci porremmo io e lui la seguente domanda: “Esiste il Nemico?”

Perché esista il Nemico è giocoforza logico che esista l’Amico. Colui che non ci è Amico ci sarà nemico. Se l’opposizione si pone in questi termini non si dà via d’uscita. Siamo nell’ambito di una mera e patente contraddizione cui non si dà via di mezzo o scappatoia.

 O si è nemici o si è amici.

I romani usarono un termine diverso e se si usa un termine diverso si fa uso anche di un concetto diverso con altri riferimenti verbali e concettuali.

La guerra è parola per così dire barbarica.

“Bellum” è la parola latina che traduciamo ora con guerra donde si deriva l’aggettivo bellico, belligerante e bellicoso.

L’opposizione amico nemico che è contraddizione per cui o si è amici o non lo si è e si è nemici si traduce in un’altra opposizione che è quella tra civis e hostis.

I romani specie quelli dell’Impero distinsero i cittadini, coloro che costituivano la civitas, i cives fin dapprima, da coloro che non facevano parte dei cives cittadini ma che erano ospitati cioè hostes ospiti che vale però anche come individuo ostile! La differenza non è da poco.

Il nemico latino è Hostis Hospes non Inimicus. Egli è pertanto colui che non ancora ha varcato quel confine che lo renderebbe come noi cives e che pertanto merita attenzione e genera tensione come qualsiasi corpo estraneo che entri a far parte della nostra compagine carnale.

La guerra, la belligeranza ponesi come evento, patologia dell’identificazione del Nemico introiettato nel corpus sano di una città, civiltà, cittadinanza costituita e riaffermata.

Ogni atto ostile è un impedimento concreto al riconoscimento e all’attuazione dell’urgenza che muove da un attentato alla nostra salute che per i latini significava salvezza e non sanità che in latino suona invece come valetudo da parte di un agente estraneo patogeno.

La guerra non è che l’attuazione che si genera contro la genesi e il riconoscimento di un Agente Patogeno nel proprio Corpo Civile.

Ci si chiede nell’attualità del presente “E’ questo quel che sta accadendo ai confini interni dell’Europa continentale cioè quella porzione di gran lunga più limitata che si estende dall’atlantico agli Urali con quella prosecuzione dello stesso continente terrestre fino alla Cina e alla penisola di Corea?”

E’, ci si interroga, “un cancro malefico quell’ideologia nemica che amministra la più parte del continente euroasiatico quella che oggi non si conforma alla nostra bandiera stellata europea dove le stelle a differenza della bandiera americana non sono suoi veri stati ma luminarie celesti devozionali o siamo affetti da una sorta di disturbo paranoico che vede nel diverso da noi necessariamente un attentatore ai nostri valori?”

Chi non ha dubbi al riguardo di un nemico che vuole rubarci quelle risorse minerarie gassose per sostituirle con la tirannia di una crasi politica che infetterebbe il nostro vivere civile applica in pieno quel principio che si chiama la Poiesi del Nemico come atto quasi poetico più che poietico con cui si crea quel Nemico che attenta all’integrità di quel tubo benestante che siamo in cui s’inietta del cibo e si escretano gli eccessi della digestione e si rigenera con ogni mezzo compreso quello della fecondazione assistita.

Strategia. La logica della guerra e della pace
S.T. Almanacco di Strategia Trascendentale S1 X S2 X S3

1 Comment

  • Perno 5 Gennaio 2025

    Trovo un tantino psichiatrico il fatto che per parlare di guerra si citino i Romani la cui intera civiltà era bastata sulla guerra motivata dalla rapina quando diretta verso altri popoli e motivata dalla politica quando diretta verso i concittadini. Presso i Romani la guerra era una professione, tanto per i fanti che per i nobili che ne facevano il primo gradino della carriera politica e doveva produrre un profitto, tanto per la “cosa pubblica” che per i privati. Si sarebbe potuto meglio citare, volendo rimanere nella antichità classica, i Greci per i quali la guerra era, come per altre civiltà “primitive”, una specie di esercizio ginnico e passatempo a cui si dedicavano i giovani aristocratici, i quali si accordavano ogni anno per incontrarsi in un campo d’estate.

    La ragione per cui gli uomini fanno la guerra è che rubare è meglio che lavorare. Se si vive in un territorio povero e magari sovrappopolato si invidiano i vicini che vivono più comodamente e in un contesto dove la vita è fatica, dolore, precarietà e morte è praticamente inevitabile mettersi in mare e sfondare a calci la porta di qualche contadino ben fornito di bestie e raccolti o meglio ancora di qualche monastero.

    In un contesto più primitivo, ogni essere umano è un concorrente, un po’ come per i predatori che per sopravvivere devono controllare una data estensione di territorio, quindi quando se ne incontra uno, lo si deve scacciare o eliminare.

    A questo aggiungiamo che le comunità primitive non hanno idea de “Uomo” come categoria, non si riconoscono “simili” ai membri di altre comunità. Di norma ognuno nella sua lingua si chiama “uomini” e agli altri assegna termini animaleschi, come fossero bestie e di conseguenza se ne dispone come si fa per le bestie. Tornando ai Greci, magari si ritenevano apparentati ad altri Greci ma tutti quelli che non parlavano un dialetto ellenico erano bestie che abbaiano invece di parlare, da cui “bar-bar-i”, oltre al fatto che gli aristocratici considerano comunque bestie tutti i “comuni”.

    Chiudo dicendo che questo articolo manifesta la inconsapevolezza della distanza che ci separa dagli avi di solo cent’anni fa, i quali erano abituati ad un livello di violenza e di incertezza che per noi sono ignoti. Lasciando perdere le apocalissi come la Grande Guerra, una volta tutti andavano in giro col coltello e le risse d’osteria erano all’ordine del giorno. I mariti ammazzavano le mogli per motivi di onore. I vicini si prendevano a roncolate perché uno sconfinava. Veniva una pestilenza e si moriva come mosche ma anche nelle condizioni migliori bastava una dissenteria o una polmonite e si moriva. Non solo i contadini ammazzavano le bestie tutti i giorni per mangiare e per cavarne prodotti di ogni genere ma anche i “borghesi”, cioè gli abitanti delle case addossate al maniero, tiravano il collo alla gallina come niente fosse e si divertivano con le esecuzioni in piazza. Per non parlare dei citati aristocratici il cui mestiere, in teoria, era proprio quello di ammazzare la gente e quando non lo praticavano, si esercitavano con la caccia. Quindi a noi la guerra fa orrore perché è qualcosa di completamente alieno ma per gente che ammazza abitualmente ed è esposta ad ogni genere di orrore ogni giorno, non è niente di eccezionale.

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