10 Ottobre 2024
Tradizione Classica

Il Femminino nei Culti Misterici – Vittorio Vanni

I primi graffiti preistorici furono scoperti alla fine del XIX ° secolo. All’inizio si negò l’antichità di tali reperti, tanto che uno dei primi scopritori, il de Sautola, fu sospettato di aver fatto falsificare tali graffiti. (1) La teoria darwiniana, coeva, non poteva accettare che da 10.000 a 30.000 anni fa vi fossero manifestazioni artistiche in uomini ancora vicini alla rozzezza antropoide. Il maggior numero di graffiti rappresenta animali, per lo più commestibili, evidentemente ambiti al più elementare bisogno dell’umanità (2). Alcuni

di questi animali sono trafitti da frecce o lance. E’ stato ipotizzato, dato che questi animali non erano morti né feriti, ma in corsa, che questi disegni fossero la rappresentazione di un desiderio, l’anticipazione di una realtà. Da questo punto di vista, alcuni antropologi, come il De Martino ed altri hanno ipotizzato che queste pitture fossero un’espressione di un primo concetto di magia simpatica. Nel Mondo Magico (3), il De Martino afferma:

…il raggio d’azione paranormale della rappresentazione e della volontà non si estende oltre quella parte dell’universo fisico che noi chiamiamo “corpo”. Ma l’efficacia paranormale di taluni soggetti sembra estendersi anche al di fuori del proprio corpo, nell’universo fisico o natura in senso stretto”.

Rappresentare, visualizzare, immaginare, concentrarsi su ciò che si desidera, è il primo e più importante concetto dell’operatività magica, in cui l’atto rituale è soltanto una forma analogica. Il Mauss, nella sua Teoria generale della magia (4), così descrive un’operatività magico-rituale, definendone la semplicità:

“Gli atti del mago sono dei riti e nel descriverli mostreremo com’essi rispondono in pieno a tutto ciò che è contenuto nella nozione di rito. Da notare che nelle raccolte sul folklore ci vengono spesso rappresentati sotto una forma molto semplice e banale, al punto che gli autori di queste non ci dicessero loro stessi, almeno implicitamente, trattarsi di riti, noi saremmo tentati di vedervi solo dei gesti decisamente volgari e senza un carattere speciale”.

Un’altra raffigurazione numerosa e abituale è quella della Venere steatopigica (cioè dai grandi glutei). Alcuni esemplari sono dotati di un foro. La plastica è quella di una donna obesa e sfiancata da molte maternità, dai grandi seni cadenti e dall’addome enorme. In alcuni casi la Venere è rappresentata con un corno in mano. I corni di grandi animali erano usati come bicchieri o contenitori di vivande (ad es. la Cornucopia dell’abbondanza). Vi è già quindi una simbologia, in quanto la Madre viene vista come produttrice di vita e d’abbondanza di doni materiali. La simbologia indica analogia e questa attrae ciò che gli è affine, ed in ciò consiste il secondo concetto di magia simpatica. In altre più rare raffigurazioni i cacciatori primitivi si ornano con corna o maschere degli animali che vogliono catturare. È qui evidenziato il terzo concetto della magia simpatica, ciò che il Kremmerz indica con l’assioma “se vuoi capire un cavallo devi essere un cavallo”. Si tratta dell’identificazione con l’obiettivo, la cosiddetta “finalizzazione”. In queste antiche raffigurazioni si può dedurre quindi:

• La conoscenza primigenia di un piano sovrasensibile, che può, usando determinate tecniche, influire sol piano sensibile, secondo determinate intenzioni o desideri.

• La conoscenza di un piano archetipico, nel quale intenzioni e desideri s’incarnano, per così dire, in entità astratte ma raffigurate con analogie dal piano concreto.

Rimane da ipotizzare perché all’origine s’indicasse analogicamente questo piano archetipico in un’entità femminile. Ipotesi:

• La meraviglia di fronte alla fonte nutritiva e spontanea dell’alimentazione dei neonati, attraverso l’allattamento.

• Alcuni antropologi hanno ipotizzato che, all’inizio, la generazione non era vista come derivante dall’accoppiamento, ma considerata come una partenogenesi spontanea e miracolosa della donna. La produzione di vita, quindi, come un dono misterioso del mondo archetipale per via femminile (5).

• Il primitivo calendario era per lo più lunare, essendo più facile determinare il tempo attraverso le fasi lunari, importanti inoltre per le prime forme d’agricoltura primitiva, svolta per lo più dalle donne. Inoltre, le fasi lunari hanno influenza sui parti, le acque, il ciclo femminile.

L’analogia della donna con la luna era quindi legata all’osservazione della natura. Vi sono alcune lingue nelle quali il sole ha il genere femminile e la luna maschile, ma le connotazioni analogiche sono quelle tradizionali. Probabilmente tale antinomia si è formata nel passaggio difficile da un calendario esclusivamente lunare a quello luni-solare. La luce solare del giorno è necessaria alla vita, ma è legata all’attività umana, anche in tempi lontanissimi. Il buio e la notte, essendo il tempo dedicato al riposo ed al sonno, comporta anche la possibilità di meditazione e d’osservazione, o lo scivolare nel sonno e nei sogni (6). Probabilmente nell’uomo primitivo le fasi lunari avevano una funzione più netta e decisiva nella natura dei sogni, una funzione che, anche se più attenuata, continua ancora oggi. I sogni produssero inoltre l’idea di un doppio, o anima, che viveva anche su un piano diverso da quello reale (8).

• In fine, la vita violenta e aspra del cacciatore lo spingeva ad una visione più materiale della vita. Nelle società più primitive del globo, che gli antropologi scoprirono e nello stesso tempo distrussero nel secolo scorso, molto spesso il compito dell’interprete fra il mondo della materia e quello dello spirito era affidato alle donne, sia per le motivazioni descritte più sopra che, per il fatto che le più riflessive se non meno dure, attività muliebri permettevano una maggiore apertura ai mondi superni.

La prima divinità dell’umanità si suppone quindi essere un’astrazione della femminilità. Alla Madre steatopigica si sostituiscono nel tempo raffigurazioni più sofisticate e specializzate, ma nel complesso aderenti allo stesso simbolismo. Il percorso di comprensione degli assiomi della metafisica, per lo più esaminato nel nostro più vicino mondo medio-orientale ed ellenistico, base della nostra conoscenza di civiltà, non può quindi esulare dal culto primitivo delle Madri, la cui influenza iporbereo-tracica proseguirà fino agli orfici, ai dionisiaci, ai presocratici, a Platone ed ai neoplatonici, e da essi alla nostra stessa attuale forma di metafisica.

Chi ha esaminato culti, miti, concezioni religiose dell’antichità ha teorizzato una primitiva “era ginecocratica”, cioè un’era in cui i paradigmi sociali e spirituali dell’umanità erano indirizzati da un principio femminile. Una particolare analisi, forse troppo categorica e grossolana, fu tentata da Julius Evola, che volle contrapporre un’idea “olimpico-virile” ad un’altra “tellurico-femminile” (8). Nella sua prefazione alla Storia del Matriarcato del Bachofen, Evola afferma (9):

Una tale polarità si può anche esprimerla mediante le seguenti opposizioni: civiltà degli Eroi e civiltà delle Madri, idea solare e idea ctonico-lunare, diritto paterno e matriarcato, etica aristocratica della differenza e promiscuità orgiastico-comunista, ideale olimpico del “supermondo” e misticismo panteistico, diritto positivo dell’imperium e diritto naturale”.

Per quanto ogni concetto paradigmatico sia nel contempo presente in ogni tempo ed in ogni luogo, il prevalere dell’uno o dell’altro concetto caratterizza un’epoca od una società. Il matriarcato corrisponderebbe ad uno stadio arcaico,. Per quanto tale concetto sia presente in ogni società primitiva dell’intero globo, lo studio del Bachofen si limita alla civiltà mediterranea, compreso la parte sud-orientale e asiatica. Nelle fonti un coacervo di elementi eterogenei ma concordanti rimandano all’idea che all’inizio di ogni concezione metafisica e religiosa vi sarebbe un principio femminile, una Dea Madre divina, a cui erano indirizzati i culti, che incorporava in sé ogni principio spirituale legato alla spersonalizzazione dell’individuo di fronte alla società, in cui le differenze fra gli uomini (e le donne) sarebbero secondari e contingenti. Il matriarcato, in cui il concetto dell’eguaglianza sociale era indotto da quella dei figli di fronte all’amore materno.

L’individualità era quindi vista come soggetta alla legge del divenire e dello sparire, in antinomia fra l’immutabilità e l’eternità specifica della Grande matrice cosmica, Madre della Vita. Questo principio ugualitario femminile è a volte analogizzato con la Terra (geia, o Maia) produttrice di innumerevoli semi e generatrice di frutti, a tutti offerti con generosità. A volte questo principio è visto come una legge ineluttabile di natura alla quali gli stessi dei sono soggetti (Ecate, Diana, ecc) fra l’altro dee della ciclicità lunare, dello stereotipo ritornare di eventi inevitabili.

Vi è comunque una netta differenziazione fra le Grandi Dee. Da una parte vi sono le dee dell’ordine cosmico e terrestre, come Demetra, Iside, Hera, dall’altra il caos estatico ed orgiastico di Afrodite, di Astarte, Bastet, i cui caratteri di sregolatezza eterica e di lussoriosi abbandoni dionisiaci hanno un loro contrasto con l’improvvisa ferinità e crudeltà di queste dee. Bastet, in particolare, nei miti egizi ha l’aspetto di una gattina maliziosa, ma mite, ma che sa trasformarsi in una feroce leonessa, tanto che Seknet (la leonessa) è l’altro aspetto della dea. Ma anche nella “rispettabilità” di Demetra, nel suo farsi portatrice di un ordine naturalistico e materico vi è una fase infera. L’assoggettamento parziale di sua figlia Kore a ciò che profondo nella Terra, alla sua radicale umidità, all’aspetto dell’obnubilamento solare nel buio della caverna, della placenta, dell’utero, in cui tutto fermenta e cresce, ma in un fato immobile ed immutabile, esprime un materialismo panteistico ctonico e lunare opposto alla personalità, all’individualità, al libero esprimersi della differenza, alla motilità del concetto solare ed olimpico.

Nelle feste della fecondità agricola, di cui ancor oggi esistono importanti tracce (come nel Carnevale) le differenze sociali scompaiono, spesso lo schiavo viene eletto re per un giorno, sono consentiti gli sberleffi ed i lazzi, il caos sociale riflette l’ordine naturale per cui tutto è scritto ed obbligato, in cui il principio solare non ha un’esistenza propria, non basta a se stesso. Il maschio, sul piamo materiale vale solo come strumento di generazione, soggiace al vincolo della donna o è oscurato ed annichilito dalla luminosità lunare e demetrica della madre. Sempre sul piano materico-sociale, il maschio che conosce solo la legge violenta dell’affermazione individuale, della forza individuale che prevale, intuisce comunque, attraverso la presenza di un principio femminile la presenza di un ordine superiore più calmo e sovraindividuale.

Nel mito e nel rito primitivo, l’estasi sensualistica di Dioniso, il sole che nasce ad Oriente (ex Oriente Lux) porta un fuoco che può essere domato solo nella brezza della sera, nel crepuscolo che porta la notte e la luna, nelle acque che dominano le grande dee. In esse si può intravedere ciò che è eterno ed immutabile, ma nel contempo ciò che assopisce, ferma, incanta nell’immobilità. In realtà non vi è opposizione fra principio lunare e principio solare. Le loro specificità ed operatività si intrecciano in ogni essere umano e soltanto il loro prevalere l’uno sull’altro, spesso temporaneo ed alternante, ne definisce un’instabile oggettività. Nello stesso modo, ogni tempo o ciclo contempla l’intrecciarsi dei due principi, che sono nel contempo interiori ed esteriori.

Nei cicli dell’umanità, il volgere dei tempi al prevalere del principio solare su quello lunare fu marcato da Pitagora, che pur riportando il comportamento muliebre ad un ordine demetrico, e predicandone la pudicizia e la fedeltà, ne designa la particolare religiosità e vicinanza ai misteri. Giamblico, nella sua Vita Pitagorica (10), riporta un discorso alle donne che Pitagora tenne a Crotone, nel tempio di Hera, con queste parole:

E anche colui che è detto il più sapiente di tutti, l’ordinatore dell’umano linguaggio e l’inventore dei nomi, sia stato egli un dio o un demone o un uomo divino – ben sapendo che il sesso femminile è profondamente incline alla pietà religiosa, assegnò ad una dea il nome di ogni età della vita muliebre, chiamando la nubile Kore, la sposata Ninfa, la generatrice Madre, infine colei che ha dato figli dai figli [la nonna, in dialetto dorico, Maia] Con ciò si accorda anche il fatto che i responsi dell’oracolo di Dodona a Delfi sono rivelati da una donna”.

Note:

1 – Cfr J.Jelìnek La grande enciclopedia illustrata dell’uomo preistorico, F.lli Mellitta, La Spezia, 1988.

2 – Cfr Levy Bruhl La Mitologia primitiva, Newton Comton, Perugia, 1973.

3 – De Martino Il Mondo Magico, Einaudi, Torino, 1958, pg.62

4 – Henry Hubert Marcel Mauss Teoria generale della magia, Newton Comton, Roma 1975, pg.43.
5 – Cfr. Kevy-Brulh Sovrannaturale e natura nella mentalità primitiva, Newton Compton Italiana, Roma 1973

6 – Cfr. H.H.M. Mauss L’origine dei poteri magici, Newton Compton, Roma 1977.

7  – Emile Durkeim Le forme elementari della vita religiosa, Newton Compton, Roma 1973, pgg.60-79.

8  – Cfr. J.Evola, Metafisica del Sesso, Ed.Mediterranee, Roma 1975.

9  – J.J.Bachofen Storia del Matriarcato, Ed. Mellitta, La Spezia, 1990, pg.8.
10 – Giamblico, Vita Pitagorica, LATERZA, Roma 1973, pg.26.

BIBLIOGRAFIA

Roger Bastide Sociologia e psicologia del misticismo, Newton Compton, Roma 1975 Bronislaw Malinoswski Il mito ed il padre nella psicologia primitiva, Newton Compton, Roma 1976.

Bronislaw Malinoswski Magia, scienza e religione, Newton Compton, Roma 1976.

Max Weber Sociologia della religione – L’antico giudaismo, Newton Compton, Roma, 1980 Max Weber Sociologia della religione Induismo e buddismo, Newton Comton, Roma, 1975.

 

Vittorio Vanni

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