2 Dicembre 2024
Appunti di Storia

I SEGRETI DELLA GABBIA DI LONDRA

I SEGRETI DELLA GABBIA DI LONDRA
Botte, privazione del sonno e fame usate su uomini delle SS e della Gestapo.
Il campo di prigionieri di guerra di Kensington tenuto segreto e nascosto alla Croce Rossa.
Di: Ian Cobain
Fonte: The Guardian, Sabato 12 Novembre 2005
Kensigton Palace Gardens è uno dei luoghi più esclusivi e cari del mondo. La sua imponente fila di palazzi vecchi di 160 anni, costruiti su terreno di proprietà della Corona, è la dimora di ambasciatori, miliardari e principi. Una proprietà acquistata dal magnate dell’acciaio indiano Lakshmi Mittal per una cifra di 57 milioni di sterline si dice sia la casa più costosa di tutta Londra.

In fondo alla strada, un paio di avvocati tributari di Manhattan stanno ristrutturando il civico N° 6, mentre la porta accanto, il civico N°7, è la residenza londinese del Sultano del Brunei.
Il civico N° 8 per anni ha ospitato una serie di nobili vedove e duchi.
Fra il Luglio 1940 ed il Settembre 1948, tuttavia, queste tre splendide residenze furono la sede di una delle strutture militari più segrete del paese: l’Ufficio Londinese del Centro Interrogazioni, conosciuto familiarmente come la Gabbia di Londra.
La Gabbia di Londra era diretta dal MI19, la sezione del Ministero della Guerra responsabile della raccolta delle informazioni dai nemici prigionieri di guerra e pochi, al di fuori di questa organizzazione, sapevano esattamente che cosa succedeva dietro quella singola rete di filo spinato che separava le tre case dalle strade affollate e dai grandi parchi della parte occidentale di Londra.
Anni dopo, Tony Whitehead, un consulente psichiatrico di Brighton, raccontò nelle sue memorie, quando da giovane aviatore consegnò un sergente delle SS alla Gabbia, di come rimase scioccato nel vedere un ufficiale di mar
ina tedesco, vestito in tutta uniforme, chinato su mani e ginocchia mentre puliva il pavimento del salone di entrata. Un enorme guardia teneva il piede sulla schiena del prigioniero, gustandosi una sigaretta. Quando Whitehead andò a prendere il suo prigioniero tre giorni dopo, l’uomo era totalmente soggiogato, raramente alzava lo sguardo e gli si rivolgeva dandogli del “sir”.
“Non so che cosa gli successe nella Gabbia di Londra “, disse Whitehead.
Esaminando migliaia di documenti immagazzinati presso gli Archivi Nazionali, nonché presso gli archivi del Comitato Internazionale della Croce Rossa a Ginevra, il Guardian ha stabilito che cosa successe a questo prigioniero e a molti altri come lui.
La Gabbia di Londra veniva usata in parte come centro di tortura, all’interno della quale molti ufficiali e soldati tedeschi venivano assoggettati a sistematici maltrattamenti.
In totale 3.573 uomini passarono dalla Gabbia e più di 1.000 furono costretti a fare dichiarazioni circa crimini di guerra. La brutalità non finì con la guerra, anzi, un certo numero di civili tedeschi furono affidati agli addetti che li interrogarono fino al 1948.
La Gabbia era comandata dal Ten.Col. Alexander Scotland, un uomo energico e determinato, ritenuto avere la perfetta preparazione. Sebbene fosse inglese, il colonnello aveva per breve tempo servito nell’esercito tedesco in quella che ora si chiama Namibia agli inizi del secolo e fu insignito di una decorazione per il suo lavoro di interrogatorio di prigionieri tedeschi durante la Prima Guerra Mondiale. Nel 1939, all’età di 57 anni, fu richiamato in servizio.
La Gabbia aveva spazio per 60 prigionieri alla volta e cinque sale per interrogatori. Scotland aveva al suo servizio una decina di ufficiali più un’altra dozzina di addetti che servivano da inquisitori e da interpreti. La sicurezza era garantita dai soldati dei reggimenti delle Guardie, selezionati, in base a quanto asserisce un documento d’archivio, “per la loro altezza piuttosto che per il loro cervello”.
Fra i documenti immagazzinati presso gli Archivi Nazionali a Kew vi è il manoscritto delle memorie di Scotland. Nella sua prima bozza egli ricordava come amava ripetere ogni mattina quando arrivava alla Gabbia: “lasciate ogni speranza o voi che entrate !”
Qualsiasi informazione si fosse voluta avere da un tedesco, la si sarebbe estorta prima o poi inesorabilmente.
Ci fu un pandemonio al Ministero della Guerra quando il libro apparve per essere poi censurato nel Giugno del 1950. Funzionari pregarono Scotland di nascondere sotto chiave il manoscritto da qualche parte e poi lo minacciarono di denuncia in base al Decreto Ufficiale sui Rapporti Segreti.
Inquirenti dell’Ufficio Speciale furono inviati a perquisire la sua casa a Bourne End, Buckinghamshire dove trascorreva la sua pensione.
Il Foreign Office sollecitò la distruzione del libro in quanto “aiuterebbe persone che stanno dalla parte dei criminali di guerra”. Una valutazione del MI15 faceva rilevare che Scotland confermava nei dettagli l’infrazione della Convenzione di Ginevra, ammettendo che i prigionieri venivano obbligati ad inginocchiarsi mentre venivano colpiti alla testa, obbligati a rimanere sull’attenti fino a 26 ore di se
guito, minacciati di morte oppure minacciati di subire “un’operazione non necessaria”.
Il libro fu infine pubblicato con 7 anni di ritardo e solo dopo che il materiale incriminato era stato cancellato. Ora è chiaro che Scotland, comunque, avrebbe potuto tentare di rivelare ben di più.
Negli Archivi Nazionali ci sono documenti di due inchieste ufficiali circa i metodi usati nella Gabbia, in uno dei quali si evince che le guardie avevano l’ordine di picchiare sulle porte delle celle di alcuni prigionieri ogni 15 minuti, privandoli del sonno ed un altro documento concludeva con “la possibilità di usare la violenza” durante gli interrogatori.
C’è anche una lunga e dettagliata lettera di protesta di un Capitano delle SS, Fritz Knoechlein, che descrive il suo trattamento dopo essere stato portato alla Gabbia nell’Ottobre del 1946. Knoechlein afferma che siccome “non era in grado di fare la confessione voluta”, gli furono strappati gli abiti di dosso, gli fu dato un solo paia di pantaloni da pigiama, privato del sonno per 4 giorni e 4 notti e lasciato senza cibo.
Le guardie lo prendevano a calci ogni volta che passava, afferma, mentre i suoi inquisitori si vantavano di essere “molto meglio” della “Gestapo in Alexanderplatz”. Dopo essere stato costretto a fare severi esercizi fisici fino a cedere, dice di essere stato obbligato a camminare in un cerchio stretto per quattro ore. Lamentandosi con Scotland che egli veniva preso a calci anche da “soldati semplici senza alcun grado”, Knoechlein afferma di essere stato immerso in acqua fredda, spinto giù dalle scale e picchiato con una mazza. Poi racconta che fu fatto stare in piedi di fianco ad una grossa stufa a gas con tutte le bocchette aperte prima di venire isolato in una doccia che sprizzava acqua estremamente fredda sia dal fianco che dall’alto.
Infine, la SS dice che lui, assieme ad un altro prigioniero, furono portati nei giardini dietro ai palazzi e lì costretti a correre in circolo mentre portavano pesanti tronchi.
“Siccome queste torture furono la conseguenza della mia personale protesta, qualsiasi ulteriore lamentela non avrebbe avuto senso”, scrisse Knoechlein.
“Una delle guardie che aveva una maggiore sensibilità umana, mi consigliò di non lamentarmi ulteriormente, altrimenti le cose sarebbero peggiorate”.
Altri prigionieri, afferma, furono picchiati fino al punto da desiderare la morte mentre ad altri veniva detto che sarebbe potuti scomparire.
Al tempo in cui Knoechlein fece queste affermazioni, era condannato alla pena di morte, essendo stato accusato della morte di 124 soldati britannici, inclusi 98 membri del Royal Norfolk Regiment.
Questi soldati furono massacrati da uomini sotto il comando di Knoechlein dopo essere stati presi prigionieri durante la ritirata di Dunkerque nel Maggio del 1940. Egli si trovava in una posizione disperata ed avrebbe potuto rilasciare dichiarazioni disperate pur di scampare alla forca. Tuttavia la sua protesta fu presa sul serio dai funzionari del Ministero della Guerra che considerarono l’opportunità di un’indagine. Fu deciso di non indagare con la motivazione che ciò avrebbe ritardato l’esecuzione di Knoechlein. Non vi era un precedente legale di ciò, annotò un funzionario e quindi “qualsiasi commissione d’inchiesta su queste accuse sarebbe futile”.
Simili accuse di tortura emersero nel 1947 ed anche nell’anno successivo, quando 21 ufficiali di polizia e della Gestapo furono processati per la morte di 50 ufficiali della RAF che erano stati uccisi dopo aver tentato la fuga da un tunnel nello Stalag Luft III, l’evasione ricreata nel film hollywoodiano La Grande Fuga.
Al tribunale di Amburgo fu detto che molti degli imputati furono lasciati senza cibo e picchiati sistematicamente nella Gabbia di Londra, isolati nella doccia dell’acqua fredda e “minacciati con arnesi elettrici”.
Fra gli imputati vi era Erich Zacharias, un sergente della polizia di frontiera della gestapo. La sola prova contro di lui era la sua confessione che, l’MI15  annotò nella sua valutazione delle memorie di Scotland, era stata firmata solo perché “essendo prigioniero nelle loro mani, era stato manipolato psicologicamente”. Zacharias insistette dicendo che era stato picchiato. Venti degli imputati furono giudicati colpevoli e 14 furono impiccati. Zacharias era tra questi.
E’ impossibile distinguere, dagli archivi del Ministero della Guerra, se Scotland era considerato a quel tempo come un cane sciolto i cui metodi andavano monitorati discretamente oppure se agisse con chiara ed ufficiale approvazione.
E’ chiaro comunque che nel tardo 1946 c’era “inquietudine circa i suoi metodi” che veniva espressa presso il quartier generale dell’Armata Britannica del Reno.
Fu allora che la Croce Rossa venne a conoscenza dell’esistenza della Gabbia, anche perché la sua ubicazione fu inavvertitamente inclusa in una lista di campi di prigionieri di guerra inviata all’organizzazione. Un ispettore della Croce Rossa si presentò due volte al Kensington Palace Gardens nel Marzo del 1946 ma fu mandato via. In un lungo promemoria al Ministero della Guerra, Scotland spiegò di aver identificato l’ufficiale responsabile di aver rivelato l’ubicazione e che quest’uomo aveva promesso “che un simile errore non sarebbe stato ripetuto”.
Scotland continuava a sostenere che la Croce Rossa non aveva bisogno di essere ammessa perché i suoi prigionieri erano sia civili che “criminali all’interno delle forze armate” e mai disse che questi erano protetti dalla Convenzione di Ginevra.
Se la Croce Rossa fosse stata autorizzata ad entrare nella Gabbia di Londra, aggiunse, avrebbe dato ordine alla RAF di non mandargli più dei prigionieri sospettati di essere coinvolti nelle morti dello Stalag Luft III.
“L’interrogatorio di questi criminali deve avvenire in Germania in condizioni più vicine ai metodi di polizia che non a quelli dei principi della Convenzione di Ginevra”.
Scrisse inoltre: “il congegno segreto che usiamo per verificare l’attendibilità dell’informazione ottenuta deve essere rimosso dalla Gabbia prima che venga data l’autorizzazione di ispezionare l’edificio. Questo lavoro richiederà un mese di tempo”.
Non è chiaro quale tipo di “congegno segreto” Scotland volesse occultare alla Croce Rossa.
Ci vollero altri 18 mesi prima che la Croce Rossa potesse entrare nella Gabbia.
Il suo ispettore non trovò un granché di prove di maltrattamenti, ma, come annotò in successivi rapporti, 10 prigionieri nelle peggiori condizioni fisiche sembra siano stati trasferiti ad altri campi di prigionia la notte prima del suo arrivo e che c’erano prove che qualsiasi prigioniero avesse fatto una rimostranza in sua presenza ne avrebbe pagato le conseguenze.
Nonostante il crescente numero di lamentele che riceveva in merito alla gabbia di Londra, il Comitato Internazionale della Croce Rossa alla fine decise di non fare niente “tramite i canali ufficiali” in quanto gli fu assicurato che la sua chiusura era imminente e perché temeva che una simile azione sarebbe andata contro gli interessi degli uomini ancora ivi detenuti.
Mentre il lavoro alla gabbia rallentava, l’interrogatorio di prigionieri fu spostato in un certo numero di campi di internamento in Germania, e ci sono le prove che il trattamento dispensato in quei luoghi fu ben peggiore. Mentre molti documenti relativi a questi centri di interrogatori rimangono secretati presso il Foreign Office, si scopre che un campo nella zona britannica divenne particolarmente famigerato. Almeno due prigionieri tedeschi vi morirono di fame, in base ad una commissione d’inchiesta, mentre altri furono fucilati per reati minori.
In una nota di protesta presso gli Archivi Nazionali, un giornalista tedesco di 27 anni, trattenuto in questo campo, disse di aver passato due anni come prigioniero della Gestapo ma  mai una volta fu trattato così male come dagli inglesi.
Traduzione a cura di: Gian Franco SPOTTI

4 Comments

  • Anonymous 2 Novembre 2013

    Ho conosciuto Manfred Thorn, ex Leibsteindarte, accusato per Malmedy (Ardenne 44, dove alcuni progionieri furono mitragliati mentre cercavano di scappare, ma lui nega di essere stato li): gli ruppero l’ osso del collo con una mazza mentre veniva torturato, mentre suo caro amico mori’ a seguito di calci nei testicoli: e’ sul suo libro, con nomi, cognomi e date esatte; lo ho incontrato un anno fa, una persona piena di dignita’, suo moglie e’ inglese ma sono poi tornati a vivere in Germania

  • Anonymous 2 Novembre 2013

    Ho conosciuto Manfred Thorn, ex Leibsteindarte, accusato per Malmedy (Ardenne 44, dove alcuni progionieri furono mitragliati mentre cercavano di scappare, ma lui nega di essere stato li): gli ruppero l’ osso del collo con una mazza mentre veniva torturato, mentre suo caro amico mori’ a seguito di calci nei testicoli: e’ sul suo libro, con nomi, cognomi e date esatte; lo ho incontrato un anno fa, una persona piena di dignita’, suo moglie e’ inglese ma sono poi tornati a vivere in Germania

  • Anonymous 2 Novembre 2013

    Manfred, pur avendo moglie inglese, si rifiuta di parlare inglese; racconta nel sup libro che i calci nei testicoli era il metodo preferito di estorsione; fu rilasciato nel 48 ed operato, ma ancora adesso ha difficolta’ di movimento; nel suo libro c’e’ la foto di una ” vittima” di Malmedy che indica il suo nome sulla lapide: il numero delle vittime infatti triplico’ col passare del tempo!

  • Anonymous 2 Novembre 2013

    Manfred, pur avendo moglie inglese, si rifiuta di parlare inglese; racconta nel sup libro che i calci nei testicoli era il metodo preferito di estorsione; fu rilasciato nel 48 ed operato, ma ancora adesso ha difficolta’ di movimento; nel suo libro c’e’ la foto di una ” vittima” di Malmedy che indica il suo nome sulla lapide: il numero delle vittime infatti triplico’ col passare del tempo!

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