28 Febbraio 2025
Giorno del Ricordo

Guerra etnica – Fabio Calabrese

Come sapete, negli anni scorsi non ho mai mancato di dedicare un articolo storico alle ricorrenze del 10 febbraio, anniversario del trattato di pace che ha sancito per l’Italia la sconfitta nella seconda guerra mondiale e la rinuncia all’Istria a gran parte della Venezia Giulia prebellica, passate sotto l’occupazione della Jugoslavia comunista, e dove non sono cominciate, ma erano in corso da un pezzo, le atrocità che avevano il preciso scopo di cancellare l’etnia italiana sulla sponda orientale dell’Adriatico, e che oggi è stato riconosciuta – a distanza di un’indecente enormità di tempo – come Giornata del Ricordo delle foibe e dell’esodo, e del 25 aprile, la ridicola e vergognosa “festa della liberazione” con la quale l’Italia celebra la sconfitta nella seconda guerra mondiale come se si fosse trattato di una vittoria, attirandoci, immagino, il dileggio del resto del pianeta. Spesso ho dedicato un articolo tematico a entrambe le ricorrenze.

Onestamente, ero pervenuto alla decisione di non scrivere al riguardo nulla quest’anno per non essere troppo ripetitivo, ma poi è avvenuto qualcosa che mi ha fatto cambiare idea, ma per spiegarvelo adeguatamente, sarà bene procedere per gradi.

Una prima basilare osservazione, la Seconda guerra mondiale è stata sostanzialmente una guerra etnica, e per il comunismo, in totale spregio ai principi internazionalisti proclamati sulla carta, l’occasione di far avanzare il mondo slavo a spese dei Tedeschi, degli Italiani, degli Ungheresi, dei Finlandesi, di chiunque si trovasse sulla strada della valanga “rossa”, con metodi assolutamente brutali.

A questo riguardo, occorre dire che tra l’Unione Sovietica di Stalin e la Jugoslavia di Tito, non c’è stata alcuna differenza. Entrambe sono state l’incarnazione della più spietata crudeltà, della persecuzione senza alcun ritegno delle popolazioni civili “indesiderate”.

 “Il suolo straniero si può annettere, il sangue straniero no, o lo si allontana o lo si elimina”. È stato Hitler a scriverlo nel Mein Kampf, ma sono stati i comunisti a metterlo in pratica.

Naturalmente, questa è una verità che i “nostri” sinistri fanno i salti mortali per non capire.

Io, al riguardo, allegherei un ricordo personale. Nella mia scuola era venuto un docente universitario a tenere un corso di aggiornamento a noi insegnanti di storia delle superiori. Parlando della seconda guerra mondiale, ci disse che purtroppo si doveva ammettere che le tragedie delle foibe e dell’esodo non erano, come si è tentato di far credere, frutto di vendette personali, ma parte di un preciso piano per cancellare la presenza italiana, che le migliaia di nostri connazionali uccisi nelle foibe e le decine di migliaia costretti alla fuga, lo furono non perché fossero fascisti, ma perché erano italiani.

Azzardai una domanda. “Lei ha detto”, premisi, “che la seconda guerra mondiale è stata anche una guerra etnica”.

Mi interruppe, non mi lasciò continuare né mi permise di porgli la domanda, la sua espressione cambiò di colpo e negò di aver detto assolutamente che la Seconda guerra mondiale era stata una guerra anche etnica, smentendo tutto quanto aveva detto un minuto prima. Assistetti a un esempio perfetto di quello che Orwell chiamava bis-pensiero, cioè la capacità di credere contemporaneamente due cose in totale contraddizione. Si poteva anche ammettere che nella Seconda guerra mondiale c’erano state atrocità commesse dalla parte vincitrice, ma ciò non doveva scalfire il dogma democratico e marxista che essa fosse stata da parte di quest’ultima una lotta per la democrazia e la giustizia sociale.

Il marxismo è un ben articolato sistema di menzogne che risalgono al suo fondatore. Il modo più efficace di mentire è quello di mescolare alla menzogna una parte di verità, addirittura di ovvietà.

E’ nota la frase di Marx secondo cui “Non è la coscienza che crea l’essere, ma è l’essere sociale dell’uomo che crea la sua coscienza”.

Che sia l’essere a creare, o a rendere possibile la coscienza, e non il contrario, è qualcosa su cui converremmo tutti, tranne forse qualche esasperato idealista. Che la dimensione sociale, che le condizioni materiali di vita siano importanti, non si può negare. Non si può essere patrioti o nazionali, che dir si voglia, senza essere anche socialisti, uno stato che abbia cura della nazione di cui dovrebbe essere espressione non può ammettere che in essa ci siano figli e figliastri, ma deve spendersi per l’equità sociale, anche se oggi, in un’epoca di rampante neo-liberismo, questa è una lezione dimenticata in primis dalla sinistra.

Ma la frase di Marx contiene un inganno sottile, essa difatti esclude che oltre a quelle sociali vi siano nell’uomo altre determinazioni, a cominciare da quelle etniche e nazionali, è la premessa della tragica barzelletta “Proletari di tutto il mondo unitevi”, che non ha portato mai da nessuna parte libertà e benessere, ma dovunque ha creato solo terrore, oppressione, miseria e morte, e “i compagni” sono stati i primi a disattenderla nella pratica, o pensate forse che l’Armata Rossa prima di massacrare i civili tedeschi che vivevano a oriente dell’Oder o i partigiani comunisti jugoslavi prima di gettare gli italiani nelle foibe controllassero le loro dichiarazioni dei redditi, o che qualcuno chiaramente proletario sarebbe stato risparmiato se apparteneva alle etnie “indesiderate”?

Un esempio palmare di come stessero veramente le cose, lo diedero quelli che oltre che criminali e assassini spietati, erano anche rinnegati e traditori della loro gente, ossia i partigiani italiani con l’eccidio di Schio avvenuto nel giugno 1945, cioè due mesi dopo che la guerra era finita. Le vittime del massacro furono in prevalenza operai, studenti e casalinghe.

Io credo di avervi perlomeno accennato a tutto questo negli articoli degli anni scorsi, ed ero francamente indeciso se riprendere il discorso, quando è accaduto qualcosa che mi ha indotto a ripensarci.

In tutta sincerità, la maggior parte delle cose che compaiono oggi in televisione, soprattutto i programmi cosiddetti di intrattenimento, le trovo irrilevanti e stupide, così negli ultimi tempi mi sono dato a seguire soprattutto i filmati che compaiono su You Tube, con una particolare preferenza per i documentari storici.

Panzerkampf che ha attirato la mia attenzione, non è per la verità un documentario basato su filmati storici, ma una computer graphic, o meglio ancora la videoclip dell’omonima canzone del gruppo heavy metal dei Sabaton.

Io non sono quello che si dice un appassionato di musica, sono ben poche le cose per cui nutro interesse in questo settore, ma, oltre al filmato, ho apprezzato la musica per il suo tono guerriero e virile.

Ma, devo dire, il testo in un inglese molto facile, permette di capire che la canzone è un inno all’Armata Rossa, un’esaltazione della “Grande Guerra Patriottica”.

I Sabaton sono un gruppo svedese, e tanto patriottismo russo è probabilmente spiegabile con lo pseudo-internazionalismo “rosso” esistito prima del 1991, che ha indotto milioni di uomini in tutto il mondo a non vedere che dietro la maschera dell’internazionalismo proletario non c’era in realtà null’altro che l’interesse dell’Unione Sovietica.

Prescindiamo dal fatto che quando con l’operazione Barbarossa i Tedeschi sono entrati in territorio sovietico, sono stati visti e accolti dagli Ucraini come angeli liberatori. Il loro arrivo mise fine a uno dei più orrendi e dimenticati crimini del XX secolo, l’holodomor, il genocidio per fame decretato da Stalin per cancellare il popolo ucraino.

Prescindiamo anche dal fatto che essi furono visti allo stesso modo da molti russi a cui l’arrivo della Wehrmacht restituiva la libertà religiosa e rappresentava la fine, o almeno la speranza della fine dell’incubo staliniano, e che una legione di volontari russi comandata dal generale Vlassov combatté al fianco dei Tedeschi, tutta la verità occultata dietro la narrazione convenzionale e fittizia della “Grande Guerra Patriottica”.

Panzerkampf mi ha comunque indotto a riflettere, probabilmente è una buona rappresentazione dello stato d’animo del soldato russo medio, a cui magari non interessava l’ideologia bolscevica, ma impugnava le armi per difendere la patria, la “santa madre Russia”. È un sentimento che non possiamo che capire e approvare. Peccato che le circostanze storiche ci hanno collocati sul fronte opposto.

Guerra etnica, come vi ho detto, è stato forse questo il vero volto del secondo conflitto mondiale.

È probabilmente questo che spiega l’accanimento con cui l’Armata Rossa combatté le battaglie di Stalingrado e di Kursk, e che assieme alla schiacciante superiorità quantitativa di uomini e mezzi, le diede la vittoria finale.

Tuttavia, costoro erano tratti in inganno, l’ho spiegato in un articolo di qualche anno fa, La grande menzogna patriottica, ma ora è il caso di tornarci su. Inganno perché i sentimenti patriottici cui facevano appello Stalin e il suo entourage per mobilitare il popolo russo, erano ben lontani dall’essere da loro condivisi. Per loro, la Russia era solo un trampolino da cui lanciarsi in vista della conquista del potere mondiale in previsione di quella rivoluzione planetaria divinata da Marx, e nel frattempo non si erano peritati di calpestare tutte le tradizioni russe e di infliggere al popolo russo orrori senza fine.

Dirò di più, la stessa repentina disinvoltura con cui Stalin passò nei suoi discorsi all’indomani dell’inizio dell’operazione Barbarossa, da una posizione di internazionalismo bolscevico a una di presunto patriottismo russo, è in definitiva la prova che quell’uomo non aveva veramente né un’ideologia né una morale, ma solo un’inesauribile brama di potere.

Ma l’inganno era doppio. È probabile che le nozioni stesse di aggressore e aggredito debbano essere ribaltate rispetto alla narrazione convenzionale, in altre parole, l’operazione Barbarossa non sarebbe stata altro che un disperato tentativo da parte tedesca di prevenire l’imminente invasione sovietica della Germania.

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, un ex ufficiale del controspionaggio militare russo, Vladimir Rezun, che ha avuto accesso a documenti originali conservati negli archivi del KGB, con lo pseudonimo di Viktor Suvorov, ha pubblicato un libro, Il rompighiaccio, in cui espone appunto questa tesi. Le prove al riguardo sono innumerevoli: prima di tutto l’enorme squilibrio quantitativo delle forze a favore dei Russi, di cui i Tedeschi non potevano non essere a conoscenza, tra Unione Sovietica e Germania. Poi il fatto stesso della spettacolare avanzata compiuta dai Tedeschi nei primi mesi dall’inizio dell’operazione Barbarossa è spiegabile con il fatto che l’Armata Rossa era dislocata non in posizione difensiva ma offensiva, vale a dire in gran parte ammassata a occidente in vista di un prossimo attacco alla Germania e al resto dell’Europa. Se così non fosse stato, non vi sarebbe stata alcuna convenienza da parte tedesca a iniziare un conflitto con la Russia proprio in quel momento, in cui era già impegnata in un conflitto con la Gran Bretagna, che era tutt’altro che sola, ma dietro la quale era tutt’altro che difficile intravvedere l’immensa forza economica e industriale americana.

Hitler, si ricorderà, aveva escluso la possibilità di una guerra su due fronti, che aveva correttamente diagnosticato come causa della sconfitta tedesca nella Prima guerra mondiale, e non si sarebbe fatto trascinare in essa se fosse stato possibile evitarlo, al contrario, per Stalin non ci poteva essere un momento più favorevole per aggredire la Germania, di quello in cui essa era impegnata in un conflitto a occidente.

In Italia, dominata intellettualmente dalla sinistra, Il rompighiaccio non è mai stato pubblicato e nemmeno tradotto, tutto quello che abbiamo è la traduzione di una recensione del libro da parte di Daniel W. Michaels pubblicata sul “Journal of Historical Review”, ma poiché le bugie hanno le gambe corte, abbiamo almeno la testimonianza di Ulrich Rudel, l’asso degli stuka, che nel suo libro autobiografico Il pilota di ferro ci ha descritto quel che ha potuto vedere di persona, le immense forze che l’Armata Rossa aveva schierato a occidente per invadere la Germania e che la Wehrmacht sorprese con i pantaloni abbassati.

In ultima analisi, dobbiamo agli sforzi eroici e agli immensi sacrifici sopportati dalla Germania e dalle altre forze dell’Asse, Italiani compresi, se Stalin non ha potuto espandere per tutta Europa, fino a Gibilterra, il suo impero del terrore.

Temo che questo articolo risulterà deludente per alcuni lettori. Scritto in occasione della ricorrenza del 10 febbraio, in effetti, della tragedia delle foibe e dell’esodo, ho parlato poco, ma è importante che si capisca che essa, lungi dall’essere qualcosa di episodico, va inquadrata nell’ambito di un progetto di far avanzare il mondo slavo comunista a spese di Tedeschi, Italiani, ma anche di altri popoli che hanno avuto la disgrazia di trovarsi sulla strada del rullo compressore staliniano e titino come Ungheresi, Romeni e Finlandesi.

Dopo la rottura fra Tito e Stalin, ci fu tra i comunisti italiani, divisi fra filorussi e filotitini, un rimpallo di responsabilità circa la tragedia delle foibe, ma occorre evidenziare che all’epoca in cui questi fatti avvennero, tra gli uni e gli altri, c’erano piena connivenza e corresponsabilità.

Quantificare quel che è avvenuto in termini di vite umane distrutte, non è facile perché il clima del dopoguerra non ha certo propiziato questo genere di ricerche, tuttavia, quello di cui disponiamo è impressionante. Prima della guerra vivevano a oriente dell’Oder quindici milioni di tedeschi, dopo di essa si sono contati in occidente dodici milioni di profughi, sono tre milioni gli scomparsi nel nulla, presumibilmente vittime della brutalità dell’Armata Rossa e, come è facile capire, in massima parte, vecchi, donne e bambini. Per quanto riguarda il nostro confine orientale, la macabra musica è la stessa. Nelle terre passate sotto il dominio jugoslavo, viveva prima del conflitto mezzo milione di italiani, gli esuli da queste terre sono stati contati in 350.000, il che porta a 150.000 il numero degli scomparsi.

Le dimensioni della tragedia sono, nel nostro caso, inferiori di un ordine di grandezza, ma questo non è avvenuto se non perché essa si è consumata su di un teatro più ristretto. La brutalità slavo-comunista è stata nei due casi assolutamente la stessa.

Come si colloca in questo contesto il ruolo dei comunisti italiani? Esso è stato né più né meno quello di rinnegati e traditori della propria gente. Un esempio davvero luminoso, nel senso che getta una luce molto chiara su ciò che è stata davvero la cosiddetta resistenza, è la strage avvenuta in Friuli alle Malghe di Porzus, dove i partigiani comunisti della brigata sedicente Garibaldi massacrarono, dopo averli circondati con l’inganno, i partigiani non comunisti della brigata Osoppo. Il motivo di questo atto vile e fratricida? Il rifiuto della brigata Osoppo di mettersi agli ordini del IX Corpus titino, cosa che prefigurava l’annessione alla Jugoslavia non solo della Venezia Giulia, ma dell’intero Friuli, come era stato concordato fra Tito e Togliatti.

Che noi Italiani, nonostante le indecorose pagliacciate del 25 aprile nelle quali si celebra la sconfitta come se fosse stata una vittoria, abbiamo perso, non meno dei Tedeschi la Seconda guerra mondiale, su questo non c’è dubbio, ma nessun altro europeo, degli stati (perché non è più il caso di parlare di potenze) nominalmente vincitori può dire di averla vinta.

L’importanza dell’Europa, trasformata fino al 1991 in un condominio sovietico-americano, e passata dopo questa data sotto la completa egemonia del gigante a stelle e strisce, si è drasticamente ridotta. Gli pseudo-vincitori, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Olanda, hanno visto drammaticamente sparire i loro imperi coloniali, non senza qualche pesante umiliazione come quella inferta prima dai Vietnamiti, poi dagli Algerini ai Francesi, ma non è tutto, perché oggi, dopo la fine della Guerra Fredda ci viene presentata la seconda rata del debito contratto dagli Europei con la sconfitta, non di Italia e Germania, ma di tutto il nostro continente, ed è pesantissima, la morte dei popoli europei per sostituzione etnica.

Tempo fa, mi sono trovato a polemizzare su Facebook con un tizio sloveno che aveva ribattuto a uno dei miei post, ha scritto con fierezza: “Io sono sloveno, mio figlio è sloveno, mio nipote sarà sloveno”.

Gli ho risposto di non illudersi, suo nipote sarà probabilmente mezzo peruviano, e il resto della sua discendenza presenterà probabilmente più sangue subsahariano che altro, che possono averci strappato non so quanti chilometri quadrati di territorio, mail loro destino è ugualmente segnato, come quello di tutti noi.

A meno che gli Europei non trovino il coraggio di deporre gli antichi rancori e di dare vita a una vera unione europea, non il fantoccio di oggi in mano al potere mondialista.

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