6 Dicembre 2024
Presidente Repubblica

Fortunato il popolo che non ha bisogno di tecnici (in memoria di Carlo Azelio Ciampi) – Enrico Marino

Com’è stato possibile chiedere l’innalzamento dell’età pensionabile per milioni di lavoratori o avanzare l’oscena proposta di modifica del pensionamento anticipato, chiamata APE, che prevede in alcuni casi penalizzazioni ovvero la stipula a carico dei lavoratori di una sorta di “mutuo” bancario, quando un politico come il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi ha cumulato 30 mila euro/mese di pensione Bankitalia con 4000 euro dell’Inps e 19.054 euro dell’indennità da parlamentare, che oggi sono reversibili ai suoi familiari? La domanda sorge legittima dalla constatazione di come ingenti patrimoni, accumulati sulla pelle del popolo, si trasmettano di generazione in generazione nel più assoluto disprezzo di milioni di lavoratori e pensionati italiani che versano in condizioni di grave indigenza, nella più assoluta e tacita connivenza di ogni organo di informazione e di tutte le componenti politiche.

Anzi, sollevare la questione suonerebbe come un caso di lesa maestà nei confronti di un personaggio incensato dalla casta con disgustoso e acritico conformismo. Frutto dell’arrogante intangibilità di una classe politica che si perpetua e si autocelebra ipocritamente. E’ sufficiente fermarsi alla sintesi dell’intervista rilasciata dal presidente della Repubblica, in prima pagina sul Corriere della Sera del 18 settembre, nella quale Mattarella per incensare Ciampi rilegge in modo truffaldino alcuni tragici trascorsi della storia repubblicana, per smascherare tutte le falsità di questa casta di nuovi farisei, sacerdoti di una finta religione democratica che da 71 anni profitta del Paese.

“CIAMPI TECNICO E POLITICO CI SALVO’” è il titolo di questo articolo favolistico nel quale Mattarella, nel tratteggiare la figura del presidente emerito, parla della sua “autorevolezza” e della sua “serenità di valutazione” che “salvarono il Paese dalla bancarotta” assicurando una “transizione pacifica verso nuovi assetti”.

I nuovi assetti, di cui parla Mattarella, furono quelli dell’aggancio alla moneta unica: un risultato, ottenuto col cambio a 1936,27, che ai tedeschi servì per finanziare la riunificazione e che negli anni ci è costato moltissimo.
Ma già precedentemente Ciampi aveva avuto modo di influire pesantemente sugli assetti politico economici del Paese.

Nato a Livorno nel 1920, Ciampi cominciò a 24 anni il suo impegno politico, quando da ufficiale del Regio esercito, in rotta dopo l’otto settembre, si rifiutò di aderire alla repubblica di Salò e, approfittando di una licenza, si diede alla macchia. Questo atto “eroico” gli valse dei preziosi meriti partigiani che in questa Repubblica fanno sempre curriculum. E che la tempra fosse quella dell’eroe Ciampi lo dimostrò anche anni dopo, in occasione di una visita all’U.I.C. (Ufficio Italiano dei Cambi) nella sua veste di Governatore della Banca d’Italia, allorchè contestato da un gruppetto di sindacalisti e impiegati si squagliò tremebondo da un’uscita di servizio. Comunque sia, entrato non a caso nel Partito d’azione, dopo la guerra vinse un concorso alla Banca d’Italia, aderì alla CGIL e, sebbene fosse laureato in lettere e privo di ogni nozione di economia, in trent’anni scalò tutte le posizioni. Diventò Governatore nel 1979, nel momento più critico: l’istituto infatti era stato appena sconvolto dal caso Sindona e dall’arresto di Paolo Baffi.

All’epoca, com’è noto, gli italiani amavano investire nel mattone e assicurarsi una casa rifuggendo dunque la speculazione finanziaria, fatta eccezione per i tradizionali BOT e BTP, strumento di risparmio, ma questo desiderio di concretezza della popolazione non coincideva con quello delle élite finanziarie avvezze a vivere di rendita.

Da qui la ricerca un modo con cui dragare ricchezza prodotta dal popolo e dall’economia reale verso la finanza speculativa che vive parassitariamente ed è diretta da uno sparuto gruppo di apolidi.

Fino ad allora, la Banca d’Italia era un organo tecnico direttamente dipendente e controllato dal Tesoro dello Stato e nel suo operato doveva sottostare a determinate decisioni politiche.

Il ministro del Tesoro Andreatta decise di conferire alla banca di emissione il più totale controllo sull’offerta di moneta, liberandola dall’obbligo di sottoscrivere i titoli del debito pubblico (con cui si teneva sotto controllo il disavanzo) per rafforzare il potere d’acquisto del denaro stesso da parte dell’emittente e dunque il potere in mano al sistema bancario.

Verosimilmente, su tali questioni, le posizioni del dott. Baffi non erano gradite.

Esattamente nel Marzo del 1979 un’indagine della Procura di Roma, che si verificherà poi infondata, travolse la dirigenza Bankitalia di allora: il direttore Mario Sarcinelli varcò le porte del carcere, mentre al Governatore dott. Paolo Baffi, venne risparmiata l’umiliazione del carcere solo in considerazione della sua età.

Entrambi gli imputati furono prosciolti nel 1981. Giusto il tempo necessario per attuare la separazione tra Banca d’Italia e Tesoro disposta dal tesoriere Nino Andreatta, che ha portato l’Italia alla perdita della ricchezza reale attraverso l’intermediazione bancaria nel frattempo divenuta di proprietà straniera in attuazione di un processo di vendita di ampie quote azionarie sul mercato, che aveva portato in particolare alla privatizzazione del Credito italiano, della Banca Commerciale Italiana, dell’Istituto Mobiliare Italiano, della Banca di Roma, della Banca Nazionale del Lavoro e dell’Istituto San Paolo.

Il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, causò il raddoppio del nostro rapporto debito/pil in soli dieci anni, strappandoci la sovranità monetaria e ponendo l’Italia su un piano di inferiorità rispetto ai mercati finanziari. Da allora non siamo più un vero Stato, avendo perso uno dei suoi attributi fondanti, la moneta.

Le redini dell’istituto centrale passarono dunque ad Azeglio Ciampi, decisamente più accomodante e con lui la decisione di Beniamino Andreatta fu accolta in un attimo e il divorzio divenne effettivo. Con un semplice scambio epistolare tra Ciampi ed Andreatta, la nostra Banca fu dispensata dall’obbligo di sostenere la spesa pubblica nazionale, saltando il Parlamento affinché non vi fosse alcun dibattito e gli interessi contrari non potessero coalizzarsi.

Poco tempo dopo, nel 1992 Ciampi, ormai Governatore di Bankitalia, dilapidò 48 miliardi di dollari in una assurda difesa della lira, che era sotto attacco da parte di Soros. Soros aveva alle spalle i Rothschild, che dal 1989 avevano aperto a Milano la Rothschild Italia SpA, il cui direttore, Robert Katz, era diventato direttore del Quantum Fund di Soros proprio alla vigilia dell’attacco. Il venerato maestro Ciampi, che sapeva come stavano le cose, avrebbe dovuto rinunciare fin dall’inizio alla sua difesa, salvando i 48 miliardi di dollari. Invece la fece ad oltranza: cosa che costò ai contribuenti italiani 60 mila miliardi di lire (due o tre stangate alla Prodi) che in parte (almeno 15 mila miliardi di lire) finirono nelle tasche di Soros. E cosa ancora più grave, Ciampi prosciugò quasi totalmente le riserve in valuta di Bankitalia. Così, quando alla fine la lira fu svalutata del 30% – come i Rothschild e le banche d’affari USA volevano, per poter comprare a prezzi stracciati le imprese dell’IRI – non c’erano più soldi per la difesa della italianità di quelle imprese. La svendita era stata accuratamente preparata da Giuliano Amato che, appena diventato capo del governo, aveva trasformato gli enti statali in società per azioni, in vista delle privatizzazioni, in modo che le oligarchie finanziarie estere potessero controllarle diventandone azioniste, e poi rilevarle per il classico boccone di pane.

Il piano era stato probabilmente elaborato nella famosa riunione sul Britannia del giugno ‘92, panfilo della regina d’Inghilterra, su cui era salito Mario Draghi, allora funzionario del Tesoro. La cosa fu così sporca che Ciampi una volta prosciugate le riserve, offrì le sue dimissioni. Ci fu anche un’inchiesta. Nel ‘96 la Guardia di Finanza indagò se “influenti italiani abbiano operato illegalmente dietro banche e speculatori”, ricavando un guadagno accodandosi a Soros nella speculazione contro la lira. Secondo Il Mondo del dicembre ‘96, la “lobby a favore di Soros”, secondo gli inquirenti, comprendeva Prodi, Enrico Cuccia (capo di Mediobanca per la Lazard) Guido Rossi, Isidoro Albertini, Luciano Benetton, Carlo Caracciolo, Carlo De Benedetti.

Naturalmente, le procure insabbiarono. Gli indagati erano tutti padri della patria, venerati maestri, riserve della Repubblica.

Nell’agosto 1993, il governo Amato, approvò una legge che stravolse radicalmente il criterio prudenziale della specializzazione temporale e istituzionale, ovvero della distinzione tra attività bancaria a breve (aziende di credito ordinario) e attività bancaria a medio-lungo termine (istituti di credito) che era stato introdotto con la riforma bancaria del 1936, su iniziativa di Alberto Beneduce e Donato Menichella.

La banca, con la nuova riforma, poté esercitare attività di raccolta di risparmio, attività d’esercizio del credito e ogni altra attività finanziaria, compresa quella sui valori derivati (swaps, options, futures), tesa al conseguimento di un reddito di gestione. Fu consentito alla nuova generazione di banche “universali” di raccogliere risparmio senza limiti di durata, utilizzando ogni tipo di strumento, comprese le obbligazioni, e di poter erogare prestiti senza alcuna limitazione tecnica o temporale e senza vincoli. Si confermò la possibilità di assunzione di partecipazioni anche industriali e di detenere il controllo delle Società di intermediazione mobiliare, oltre a svolgere le stesse attività finanziare operate dalle Sim.

Con ciò, la casta politica mondialista e antinazionale operò un passo decisivo verso la totale finanziarizzazione dell’economia, la rapina del risparmio, lo strangolamento delle imprese e l’ulteriore indebitamento dello Stato.

Nel 1993, dopo lo sfacelo del governo Amato, Scalfaro scelse Ciampi per Palazzo Chigi. Il suo governo tecnico durò un anno e riuscì a dare una sistematina ai conti pubblici. Alle elezioni del 1994 Silvio Berlusconi diventò premier e Ciampi se ne andò a fare il vicepresidente della Banca dei regolamenti internazionali. Venne richiamato al governo due anni più tardi da Romano Prodi, che gli affidò Tesoro, Bilancio e Finanze, accorpati in un unico superministero dell’Economia. Con Prodi, come ministro del Tesoro, Ciampi, grazie all’eurotassa e a un trucco contabile operato con una fittizia compravendita tra B.I. e U.I.C. delle riserve auree del Paese, riuscì ad abbassare il deficit al di sotto della soglia massima consentita dal Trattato di Maastricht e a traghettare l’Italia nell’euro. Ma con un cambio decisamente malfatto.

Nel 1999, infine, Massimo D’Alema al suo secondo mandato fece in tempo, appena 11 mesi prima d’essere giubilato, a far eleggere a presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi, a quel punto presentato facilmente come un uomo equilibrato ed equidistante, dopo l’infame settennato di Oscar Luigi Scalfaro, uno dei peggiori presidenti mai avuti dal Paese.

In realtà, il settennato di Ciampi fu del tutto scialbo, ma egli raggiunse tra la gente livelli di popolarità mai visti dai tempi di Pertini riportando in auge alcuni valori diffusi ingenuamente nel popolo: ripristinò la parata del due giugno e pretese che la nazionale di calcio cantasse l’Inno di Mameli, fece restaurare il Vittoriano e rese omaggio alla sacralità della bandiera. Ma lo fece a suo modo, con un algido senso della legalità repubblicana privo di ogni slancio comunitario e con riferimenti a una tradizione patriottarda di stampo massonico risorgimentale, ricca di ampollosa retorica ma avulsa da ogni slancio lontanamente improntato a uno spirito nazionale identitario ed eroico.

In sostanza, la vicenda di Ciampi si inquadra nella consuetudine tutta italiana di quei governi “tecnici” affidati a personaggi che sembrano apparire dal nulla nei momenti difficili della storia nazionale, che operano con disinvoltura e freddezza chirurgica per eseguire compiti nel campo politico ed economico e poi lasciare la scena tra applausi dei grandi media, beatificazioni dei leccatori professionisti di regime e assunzione tra i padri della patria antifascista. Il tutto per scoprire, dopo qualche tempo, che queste “risorse del Paese” (mai passate per le urne) hanno letteralmente saccheggiato un popolo di ogni risorsa, sovranità, dignità e libertà. Gente come Amato, Draghi, Andreatta, Dini, Maccanico, Barucci, Mario Monti e naturalmente, il venerato e ora compiantissimo Ciampi. Compiantissimo però, è bene precisare, da tipi come Roberto Benigni. Il che è tutto dire.

Enrico Marino

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