6 Novembre 2024
Controstoria

FIUME, 3 MARZO 1922: cannonate squisitamente fasciste (3^ parte) – Giacinto Reale

 

  1. Un MAS, un cannone e un uomo “di fegato sano” risolvono la questione

A mezzogiorno dell’11 febbraio, un laconico telegramma da Fiume, arrivato alla redazione de “Il Popolo di Trieste”, fornisce le prime informazioni su gravi fatti avvenuti la notte precedente.

Il Fascio, subito avvertito, dispone la partenza di alcuni uomini per acquisire notizie certe e decidere il da farsi. Tra essi, Gino d’Angelo, scrittore e giornalista, che si mette subito in viaggio, e, al suo arrivo in città, constata, palpabilmente, la gravità della situazione:

V’è molta gente per le vie, ma vedo pochi visi sereni. Qualche ritrovo è aperto; ma dentro non v’è quasi nessuno. Circolano i tram; ma sulle vetture che passano e ripassano non vedo che il manovratore e il bigliettaio. Pattuglie di Carabinieri e di soldati vanno in perlustrazione per le vie; altri gruppi di soldati sostano infreddoliti in mezzo alle piazze.

E nulla è più triste e più lugubre di questa calma quasi sepolcrale. (1)

 

Ad aggravare il quadro, ci sono poi le provocazioni antitaliane messe in atto da Croati e zanelliani che si sentono padroni della città. È così che la sera dell’11 febbraio, gruppi di giovinastri in abiti civili (ma c’è chi dice siano i nuovi 600 poliziotti arruolati da Zanella, ancora sprovvisti di uniforme) cominciano a scorazzare per la città, intimorendo i passanti.

I fascisti, subito avvertiti, mettono in campo delle squadre, per evitare che la situazione degeneri. Come forse prevedibile, però, nascono degli incidenti, con scambi di fucileria in via Carducci, al Giardino pubblico, in viale 17 Novembre, finchè intervengono contingenti dei Carabinieri rimasti a Fiume, che prendono posizione in centro, nei luoghi strategici, e riportano così la calma. Ad essi i fascisti consegnano sette “prigionieri”, mentre all’ospedale civile viene avviato l’unico ferito zanelliano, un ex Legionario “convertito”.

La situazione, comunque, resta tesa. Al mattino seguente ci sono scambi di pistolettate in via Parini e minacciosi assembramenti fascisti cingono d’assedio la caserma di via Diaz, dove si dice ci siano – e siano sottoposti a torture – due fermati negli scontri precedenti.

È per questo che, verso le 19,00, entra in città un Battaglione della Brigata Bergamo, che si affianca ai Carabinieri nella gestione dell’ordine pubblico. Alla sede del Fascio siede intanto in permanenza, al comando di Ernesto Cabruna, un Comitato di Difesa nazionale, del quale fanno parte anche i nazionalisti, gli ex Legionari, gli Arditi, e un’Associazione patriottica che ha il curioso nome di “Soviet fiumano”.

Si può dire che, congiuntamente, la pronta reazione fascista e l’arrivo degli uomini della Brigata Bergamo, servono ad ottenere lo scopo desiderato. Per una ventina di giorni la situazione pare tornata alla normalità.

Ma è solo apparenza: nel pomeriggio del 1° marzo due fascisti, ex Legionari, sono aggrediti e feriti, a viale d’Italia, da sconosciuti armati di bastoni e coltelli. Alle 22,00, un’altra aggressione. La vittima è il ventiduenne pisano Alfredo Fontana, ex l

Legionario anche lui, rimasto a Fiume perché sentimentalmente legato ad una fanciulla del posto.

In via Trieste, nelle vicinanze della caserma Diaz, che è la sede dei questurini zanelliani, i due giovani vengono fermati da quattro sconosciuti che, in pessimo italiano, chiedono all’uomo se sia armato. Alla risposta negativa di questo, che ha intuito trattarsi di poliziotti, e accenna a farsi perquisire, i quattro aprono il fuoco. Fontana, colpito alla fronte, resta sull’asfalto cadavere, mentre la ragazza è miracolosamente illesa.

Il giorno dopo, al pomeriggio, Giunta parte da Trieste in direzione di Fiume.

Il popolare capo degli squadristi triestini, in verità, è in allarme già da un po’, da quando, cioè, dopo i fatti dell’11 febbraio, ha ricevuto una preoccupata relazione dal Tenente Antonini, responsabile del Fascio fiumano, che gli ha riferito su ciò che avviene in città

Caro amico, la situazione è ormai giunta ad un tal segno di gravità che un’azione si impone, anche se disperata. Tergiversare ancora sarebbe un delitto. Fiume è fuori di ogni legge. Il rinnegato non fa che avviarla verso l’abisso, secondo l’ordine dei suoi mandatari. La città subisce l’ultimo martirio.

Gravi avvenimenti si preparano. Potremmo aver bisogno di voi. Tenetevi pronti! (2)

 

Al termine di un viaggio avventuroso che, per la pioggia battente e l’incerta segnaletica, a momenti non porta la vettura dei fascisti in territorio jugoslavo, finalmente i Triestini arrivano, e si tiene, nella sede del Fascio, la prima riunione operativa, durante la quale Giunta, in segno di buona volontà, dichiara la sua intenzione di mettersi “a disposizione, come un semplice gregario”.

All’alba del 3 marzo, dopo che il Palazzo è stato isolato, con il taglio dei tubi di acqua e gas e dei fili del telefono, l’azione inizia, secondo un piano elementare quanto ardito:

All’alba un’azione dimostrativa con bombe, da lanciarsi dalla parte Nord-Ovest del Palazzo sul posto di guardia del giardino, verso la gradinata Peretti, quale segnale d’attacco della prima ondata alla parte frontale. Riuscendo la sorpresa, l’infiltrazione dei primi assalitori doveva completare il dominio della parte frontale del Palazzo con l’aiuto di due mitragliatrici che avevano il compito di controbattere le mitragliatrici avversarie postate sulla terrazza e alle finestre della facciata principale del Palazzo.

La prima ondata avrebbe trovato un valido ausilio a completare il suo mandato nell’impalcatura per le riparazioni al Palazzo.

La seconda ondata, composta dal Gruppo Arditi, ultimava l’azione.

Questa veniva subito seguita dalla terza ondata composta dai gruppi legionario-fascista-nazionalista.

Al gruppo repubblicano era affidato il compito di accerchiare i rimanenti lati del Palazzo attanagliandolo con la maggiore violenza ed effettuando infiltrazioni ove fosse stato possibile. (3)

 

Gli uomini, che saranno poi nominativamente identificati in un totale di 223, muovono, perciò, dalle posizioni di partenza, in un clima che ricorda quello della Marcia di Ronchi: “fez neri, fez rossi, giubboni da Ardito, fogge strane di abiti e di armi, luccicare di pugnali, scatti di otturatori, ballonzolare di cartucce nelle giberne”, e in testa si mettono dodici ex militari, quasi tutti Sardi, comandati dal Tenente Caddeo, ai quali è stato assegnato il primo assalto.

Non tutto, però, va come previsto, per la resistenza, superiore al previsto, opposta dai circa 150 occupanti il Palazzo, che fa temere, già dopo un’oretta, un insuccesso.

Gli attaccanti devono lamentare anche la prima perdita, il Tenente Edoardo Meazzi, romano, quattro volte decorato al valore, del quale d’Annunzio scrisse: “Il suo eroismo era così nativo che mi sembrava lo splendore della semplicità”.

Con lui, l’irredento Spiridione Stojan, di Trau e un Sottufficiale dei Carabinieri che, senza prendere parte all’azione, è sul luogo in servizio di ordine pubblico.

L’inaspettata violenza della reazione fa saltare l‘intero piano d’azione fascista, con i componenti delle varie ondate d’assalto che si fanno sotto tutti insieme, esposti al fuoco delle mitragliatrici che, alla fine, farà anche sedici feriti.

Tocca allora a Giunta, che lo rivendicherà in una intervista a “Il Popolo d’Italia” del 9 marzo 1922, prendere l’iniziativa:

Vista l’impossibilità di penetrare nel giardino del Palazzo, sbarrato da ben ventidue mitragliatrici, esaminata rapidamente la situazione, mi sono convinto della necessità di informarne il Comando delle operazioni, per creare un diversivo.

Immediatamente mi balenò l’idea di un cannone, alla vista della torpediniera attraccata alla banchina. Da questo momento cominciò l’azione di mia iniziativa. Uscito al largo, e sparata la prima cannonata contro il Palazzo, per assumere la completa responsabilità, ho scelto fra tre Ufficiali di Artiglieria, che mi avevano seguito, il Tenente Foresi, perché, ai miei ordini, dirigesse il fuoco. (4)

Negli anni a venire, come non infrequentemente succede nelle ricostruzioni postume, fioriranno anche versioni diverse dell’accaduto, tese, in questo caso, a sminuire il ruolo del Capo triestino. Cabruna in particolare, che era entrato in dissidio con lui, sosterrà che l’idea di sequestrare un MAS era stata di un gruppo di Legionari, in assenza di Giunta, che, dopo una breve apparizione, si era recato – mentre il fuoco iniziava – a bordo del Cacciatorpediniere Orsini per chiedere al Comandante di rivolgere anche i suoi cannoni contro il Palazzo del Governo.

Contro, Gino d’Angelo, che era a bordo, in quanto ex Ufficiale di Artiglieria, testimonierà addirittura che il primo colpo del cannone da 75 montato sul MAS sarà sparato proprio da Giunta (“è bene stabilire che un uomo, l’on. Giunta e un cannone sono stati i due massimi artefici di questa vittoria, quando già tutto sembrava irrimediabilmente compromesso”).

Considerato che d’Angelo c’era, e Cabruna no, e si limita a riportare voci riferitegli, appare più credibile la versione del primo, resa pubblica, peraltro, a pochi mesi dall’azione, mentre quella dell’ex Ufficiale dei Carabinieri sarà di dieci anni dopo, e, probabilmente risentirà di antipatie e rancori – conseguenza anche del dissidio all’epoca dei fatti tra mussoliniani e dannunziani – incrostatisi nel tempo.

Come che sia, le venti granate esplose dal MAS fanno effetto. Alle 12,40 un messo di Zanella si presenta al Fascio per parlamentare, ma si trova di fronte ad un muro. La richiesta degli insorti è categorica. Disarmo di tutte le bande zanelliane e dimissioni del Governo.

Alle 14,00, rappresentati del Comitato di Difesa Nazionale, tra i quali Giunta, che si dice “forte del mio diritto di combattente”, restituiscono la visita e si recano al Palazzo del Governo, dove trovano Zanella “pallido, abbattuto, grondante sudore”, che cerca di tergiversare e prendere tempo.

La ferma risposta dei suoi antagonisti, però, non gli lascia spazio di manovra, e così si decide a firmare una laconica lettera di dimissioni: “In seguito agli avvenimenti di oggi, 3 marzo 1922, che mi hanno costretto ad arrendermi alle forze rivoluzionarie, rimetto i poteri nelle mani del Comitato di Difesa Cittadina Nazionale, che ha originato il moto”.

Alle 16,00 ne firmerà una più lunga e dettagliata, con un preciso impegno di natura personale, che sanziona la sua sconfitta definitiva:

Io sottoscritto dichiaro solennemente, con l’atto presente, di ritirarmi per sempre dalla vita pubblica fiumana, e di fare, siccome effettivamente faccio, ampia e incondizionata rinuncia ad ogni aspirazione di carattere politico, imponendomi, sotto il vincolo della mia parola d’onore, a non assumere partecipazione alcuna, né diretta, né indiretta, né per interposta persona, alla vita pubblica fiumana; a non tentare in modo alcuno, né diretto né indiretto, agitazioni, propagande e qualsiasi atto di aperta o nascosta ostilità contro le idealità e le aspirazioni nazionali italiane di Fiume; a non fomentare, incoraggiare o alimentare come che sia, propagande o agitazioni come sopraindicate, anche se tentate da altri, e aventi comunque per oggetto una ripresa dell’attività politica da parte di me medesimo. (5)

 

Nelle ore successive, eludendo la vigilanza degli Arditi e dei fascisti, tentati da un atto di giustizia sommaria, l’ex Governatore, scortato personalmente da Giunta, che gli mette a disposizione la sua autovettura, lascia il Palazzo per poi rifugiarsi a Portorè. Una incredibile quantità di armi sequestrate ai suoi uomini vengono portate alla sede del Fascio, e la cittadinanza si riversa per le strade, per dare sfogo alla propria felicità.

Nessuna reazione dalla parte dei seguaci di Zanella, a dimostrazione del fatto che la sua popolarità era in gran parte millantata, mentre reale era l’ostilità della popolazione, contro la quale egli si era trincerato, con la sua guardia personale, nella sede del Governo:

La vettura del Presidente, secondo testimonianze dell’epoca, attraversava di rado la città, e quando lo faceva, le tendine dei finestrini venivano accuratamente abbassate; ciò non impediva di vedere dall’esterno, qualche volta, un gomito del personaggio.

L’immagine fu esposta nella vetrina di un negozio del centro, con sotto questa ironica scritta in dialetto: “El gomito del Duze” (il gomito del Duce”). (6)

Non c’è da stupirsi, quindi, se la mattina di quel fatale 3 marzo, i pretoriani accasermati alla Diaz, invece di muovere in soccorso, alla volta del Palazzo, per rompere l’accerchiamento fascista, dopo aver constatato che anche il promesso aiuto jugoslavo è venuto a mancare, si dirigano sveltamente in territorio straniero in cerca di rifugio.

Il giorno 7 si svolgono i funerali solenni delle vittime, con la partecipazione di tutta la città commossa, che non sa delle manovre romane per impedire a Giovanni Giuriati, designato dai fascisti, di assumere il governo della città, ed affidarlo, invece – come avverrà – ad Attilio Depoli, Vice Presidente dell’Assemblea Costituente, che resterà in carica fino all’annessione del 1924.

Ma, ciò nonostante, la vittoria dei mussoliniani è sicura, come testimonia uno storico non certo benevolo verso di loro:

 

Sembrò, dunque, che i fascisti fossero usciti sconfitti dal colpo di Stato del 3 marzo 1922.

Essi furono invece, a nostro avviso, i soli vincitori….

Nella città adriatica, infatti, i fascisti capirono certamente alcune cose: ebbero modo di misurare tutta la fragilità del Governo Facta…accertarono, soprattutto quanto fossero ormai logori i legami tra l’Esecutivo e l’Esercito, e come quest’ultimo avrebbe registrato passivo i tentativi fascisti di un colpo di Stato (7)

Si può quindi concordare con Giunta, che definirà gli avvenimenti del 3 marzo una “azione preliminare” alla Marcia su Roma., e aggiungerà:

Per noi, l’azione di Fiume resta come uno dei fatti più importanti, non solo nei confronti della causa fiumana, ma del fascismo.

…Mediante l’azione del 3 marzo, il fascismo assorbe in sé il fiumanesimo come forza morale e come significazione politica. Se il fascismo fu, in certo qual modo, irraggiato e sospinto dalla bellezza della gesta dannunziana, è pur vero che, senza il fascismo, la marcia di Ronchi sarebbe rimasta probabilmente fine a sé stessa.

…Le cannonate del MAS di Buccari liquidarono per sempre l’uomo (allude a Zanella ndr) e il suo seguito, salvando Fiume da grave pericolo.

E quelle cannonate furono squisitamente fasciste. (8)

 

Sull’altro fronte, negli anni a seguire, l’ex autonomista continuerà a ricevere, ancora per molto tempo, danaro da Belgrado, finché nel 1931 gli saranno liquidati oltre 27 milioni per saldare creditori, guardie e ex impiegati rimasti a lui legati.

Proseguirà anche nel suo strano, personalissimo gioco politico, indirizzando, per esempio, tra l’11 e il 20 novembre, dopo il successo della Marcia, ben tre telegrammi (rimasti senza risposta) a Mussolini, con gli auguri e l’auspicio di riuscire a trovare una “soluzione” per Fiume.

Sarà destinato ad essere, però, un uomo sempre più solo, abbandonato anche dai più fedeli, sempre meno convinti dalla sua deriva nell’antifascismo militante. Essi, infatti, lasciano Portorè e tornano in Italia, integrandosi nella nuova realtà delineata dal Trattato di Roma del 27 gennaio 1924.

Seguiranno, per la città e la sua popolazione, venti anni di vita serena, fino al 3 maggio 1945, quando entrerà in Fiume l’Armata di Liberazione jugoslava, che procederà alla soppressione di molte centinaia di fiumani, che, all’epoca dei fatti qui raccontati erano stati annessionisti, fascisti ma anche solo esponenti dell’autonomismo “storico”.

Essi pagheranno così, con la vita, la fedeltà – probabilmente non meritata – ad un uomo e ad un’idea.

NOTE

  1. Gino d’Angelo, Fiume, l’insurrezione del 3 marzo 1922 nelle note di un combattente, Trieste 1922, pag. 8
  2. in: Francesco Giunta, Un po’ di fascismo, Milano 1935, pag. 68
  3. Ernesto Cabruna, Fiume 10 gennaio 1921-23 marzo 1922, Montegiorgio 1932, pag. 58
  4. In: Ferdinando Cordova, Il colpo di Stato del 3 marzo 1922, Rivista di studi salernitani, nr 4/1969, pag. 404
  5. in: Giorgio Alberto Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, vol. IV, Firenze 1929, pag. 62
  6. Amleto Ballarini, L’antidannunziano a Fiume, Riccardo Zanella, Trieste 1995, pag. 270
  7. Ferdinando Cordova, cit., pag. 421
  8. “Le azioni preliminari”, in “Gerarchia”, Roma ottobre 1927, pag. 1028

 

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