Per deformazione professionale m’impongo questa premessa. Se dovessi accorgermi che i miei lettori, che la loro mente non sia progredita per rispetto alla mia, dovrei denunciare il mio proprio fallimento e tacermi se non per sempre perlomeno per un lungo periodo!
Devo trattare i miei lettori come scolari, studenti, discepoli ed affiliati se voglio procedere oltre ed insistere.
Faccio loro intanto una raccomandazione di cuore. Se hanno dei figli e sono preoccupati per la loro salute mentale la medicina è una sola ed è lo studio della grammatica della propria lingua. Tutto il resto diventa secondario. La seconda raccomandazione è quella conoscere distintamente il significato è quella di chiedere sempre di ogni parola usata da loro e dagli altri per coglierne le differenze. Altra raccomandazione è quella di richiedere sempre un esempio concreto all’interlocutore qualora si esprima in astratto con scarsa chiarezza. Già con questi principi si potrebbe dare adito ad una riforma della scuola abissale e globale, ma ciò appartiene fuori del domestico all’Utopia.
Ai miei studenti universitari proponevo sempre con questo giochino un salto di qualità.
Consegnavo loro dei bigliettini e chiedevo loro di rispondere per iscritto alla seguente domanda: “Chi è per me la mamma?“. Poi facevo raccogliere i bigliettini e davo adito alla lettura. Ciò era molto ameno perché non c’erano due risposte che fossero eguali eppure tutti trattavano della mamma!
Dopo questa ondata di bigliettini passavo alla seconda fase dell’esperimento e la domanda era questa: “Qual’è il plurale della parola mamma?”
Gli studenti rimanevano stupiti e scrivevano tutti la stessa risposta “Mamme!”.
Come mai nel primo caso le risposte erano ognuna diversa e nel secondo tutte eguali?
Chiedere quale sia il plurale di mamma è come chiedere quanto fa 2+2.
Il plurale di mamma è un problema grammaticale e sintattico e non si fa questione di contenuto.
Un altro problema che ponevo ai miei studenti era quello che si ha qualora dicessi com’era l’esempio loro posto che “Il rettore dell’Università di Architettura ha detto che il prof. Padoan è un ebreo!” E’ vera od è falsa una tale asserzione? Siccome i miei studenti non erano ancora più agguerriti dalle mie lezioni logicamente si dividevano in due fazioni. Alcuni dicevano che era vera perché io ero ebreo ed altri dicevano che era falsa perché io non ero ebreo. Sbagliavano ambedue. A parte il fatto che io non sono un ebreo perché non lo è ebrea mia madre e che potrei diventarlo soltanto con un processo lungo di formazione senza peraltro trasmettere ai miei figli quest’identità, la verità della proposizione consiste tutta ed unicamente nel fatto se il rettore abbia detto o non abbia detto così. Che il soggetto sia o non sia ebreo è per così dire una verità secondaria per lo stabilimento della quale va intrapreso un ulteriore processo di verifica.
Quel che è vero o è del genere 2+2=4 o del genere: plurale di mamma=mamme.
Talune verità asserite si derivano da premesse teoriche condivise e certe, altre verità sono oggetto di verifica, vanno cioè verificate.
Procediamo oltre nell’esempio.
Se si dice di un tale che è ricco è questo il caso della mamma o del plurale di mamma?
Per un verso è il caso della mamma e la risposta è variabile.
Per l’altro verso è il caso del plurale di mamma e in questo caso la risposta è una ed è certa.
Se si chiede che cosa significa essere ricco si dovrebbe aggiungere all’aggettivo ricco la preposizione di, si dovrebbe cioè chiedere di che cosa è ricco.
Faccio per esser più chiaro un esempio tetro di cui potrei anche vergognarmi ma la chiarezza lo impone.
Da ragazzi in Venezia dove tutti si conoscevano e stavano insieme e si frequentavano nelle proprie dimore talune ricche e lussuose, altre modeste o modestissime tra compagni di liceo ne avevamo uno che era bello, intelligente, colto e ricco. Qualcuno scherzò dicendo che non gli mancava proprio nulla … infatti aveva un cancro di cui morì!
Era questa una forma di ricchezza non invidiabile, un possesso malaugurato.
Ai miei modestissimi alunni di scuola media figli di operai e di un ceto impiegatizio inferiore tirai degli scherzi istruttivi come una volta che d’accordo con il bidello lo feci entrare con uno scritto fasullo che diedi subito in lettura trafelato. Era l’invito ad una colletta per un ipotetico uragano avvenuto negli USA per cui si chiedeva agli alunni un gesto di elemosina anche minimo. Cominciarono ad offrirsi e ci cascarono … dopodiché svelai loro il trucco. Il foglio era bianco e tutta questa messa in scena l’avevo inventata io per dire loro che erano degli stolti creduloni e che certo gli americani non avevano bisogno della loro carità.
In altri casi con più semplicità insistevo loro sul fatto che il professore era ricco di tempo, di tempo libero nel quale poteva studiare e pensare ad altro il che non è possibile se si guida un camion o si lavora al montaggio in una fabbrica.
Se non si dice di che cosa si è di volta in volta ricchi il termine, l’aggettivo ricco che si declina e che fa ricca, ricchi e ricche aggiunto a un nome non significa niente di preciso ma offre soltanto un’indicazione nel senso di un possesso di qualcosa.
Per l’aggettivo libero ancora meglio. Se non si dice da che cosa o di che cosa si è libero, libera, libere e liberi la parola libero è un caffè sospeso che potrebbe finire nel gargarozzo di un poveraccio o in quello di un taccagno mimetizzato come quei disturbati mentali che di tanto in tanto decedono e si viene a sapere che erano dei ricchi di danaro mentecatti.
Parlare di ricchezza senza dire di che cosa è sottintendere qualcosa che non si dice per pigrizia, insipienza, ignoranza, astuzia ecc.
E’ questo il caso della parola risorsa che è una delle più oscene mistificazioni cui sia stato esposto quel popolo, che confonde la carta denaro con le risorse minerarie e l’apparato bellico distruttore e rapinoso o la volontà omicida o suicida di un popolo coeso o che altrimenti si vuole bue nel senso di mite e produttivo anche se si è scoperto di recente troppo flatulento per cui sarà meglio respirare un atmosfera più chimica e meno puzzolente.
Grosso modo gli aggettivi che furono anche chiamati additivi sono parole che si aggiungono ad un nome per dotarlo di ulteriori connotati: taluni di essi però se sono al grado positivo cioè non maggiorato o diminutivo necessitano di un complemento com’è il caso di ricco e di libero.
Dire che siamo liberi noi italiani e che siamo in grado di ricattare l’egemonia e la prepotenza russa privandoci di un gas economico di minor prezzo per le nostre industrie pone il problema di che cosa siamo liberi di fare con uno stipendio di 1500 euro al mese invece che poniamo di 5000 euro al mese. Per sapere quanto siamo liberi è bene consultare non la propaganda politica ma il proprio portafoglio. Se poi il tema è l’eguaglianza il problema si complica enormemente sino al ridicolo. Dire che un tale è eguale senza dire a chi è eguale è un’espressione insensata come x= !. Dire x=y è invece un’espressione corretta e l’inizio di un procedimento di verifica e dimostrazione.
Ricordo per concludere provvisoriamente che in una trasmissione radio sentii la confidenza di taluni insegnanti in carcere i quali rendevano testimonianza del fatto che la materia che più interessava quei carcerati non era tanto la letteratura poesia o prosa che fosse ma proprio la grammatica. Loro non seppero darsi quella risposta che per me sarebbe stata di conferma. Nessuno più di un carcerato può esigere, risentire il tema delle regole che ci guidano e garantiscono la nostra sussistenza. Epperò, va anche detto come osservò il grande Aristotele negli “Elenchi sofistici” che coloro che ci ingannano si servono delle parole come i prestigiatori giocolieri cioè come fanno con il danaro i finanzieri che conferiscono alle cose un prezzo a volte mortale ed esiziale come una minaccia di morte o la promessa di un buon affare o la vincita di un gratta e vinci.