8 Ottobre 2024
Antico Egitto Archeostoria Religione

Ex oriente lux, ma sarà poi vero? (Ottava parte)

Di Fabio Calabrese
Gli anglosassoni la chiamano “serendipity”, con un’espressione che è intraducibile in italiano tranne che nella brutta italianizzazione “serendipità”. L’origine del termine, però, è italiana, risale a un racconto di Cristoforo Armeno che fu tradotto in inglese da Horace Walpole nel XVIII secolo, e indica la capacità o la fortuna di fare scoperte impreviste, che si rivelano di importanza cruciale.
Negli ultimi tempi, però, sembra che, almeno riguardo a uno specifico argomento, di serendipità me ne stia venendo fuori parecchia. Già quando mi ero dedicato a scrivere i primi quattro articoli della serie Ex oriente lux, ma sarà poi vero?, ero partito con l’intenzione di scrivere un solo pezzo, ma l’argomento mi si è man mano allargato sotto le mani e recentemente, dall’idea di sviluppare un aggiornamento, ne sono usciti un secondo, un terzo e adesso un quarto, e più si scava, più pare che ci sia da scavare.

In realtà la cosa non è per nulla così sorprendente: c’è da tenere conto dell’insegnamento di George Orwell: la manipolazione del passato serve a distorcere la percezione che abbiamo del nostro presente, in modo da incanalare il futuro in una direzione prefissata; solo che in democrazia la censura e la manipolazione del pensiero non si attuano in maniera diretta, spiccia, brutale; occorre che la gente conservi l’impressione ingannevole di essere libera e scambi la propaganda ideologica di regime, che comincia fin dai primi rudimenti del sistema educativo, per informazione oggettiva, e non sia quindi portata a metterla in discussione: la verità non viene apertamente messa a tacere ma sommersa da un mare di “informazione” futile, irrilevante o accortamente falsificata, non siamo separati da essa da un muro invalicabile, piuttosto da un inestricabile labirinto, tuttavia abbiamo forse trovato il nostro filo di Arianna.

Quando si percorre un labirinto, può capitare di iniziare imboccando la direzione giusta e poi sbagliare prendendo la diramazione sbagliata a una svolta cruciale, specialmente se i condizionamenti culturali spingono in una certa direzione. Senza volerlo e senza avere l’intenzione di aprire un nuovo fronte polemico, ne ho dato un esempio nella sesta parte. Secondo la mia ipotesi, all’origine della nostra percezione distorta della storia antica, che porta a porre l’origine della civiltà umana non in Europa ma nel Medio Oriente, c’è l’influenza della Bibbia, che ha plasmato letteralmente la nostra concezione della storia. Una volta riconosciuto che questa concezione è un falso, la Bibbia non appare più come un libro da ritenere sacro, “la parola di Dio”, ma nemmeno come un testo che abbia una qualsiasi attendibilità storica. Io penso che occorrerebbe una fantasia enorme per intendere ciò come un’interpretazione che vada in qualche modo a favore del Cristianesimo. 

Ebbene, è innegabile che c’è qualcuno che partendo da presupposti in qualche modo simili ai miei (ai nostri, oso pensare), è arrivato a conclusioni opposte.

Gli amici di EreticaMente si sono premurati di informarmi che l’articolo di Irmin Vinson tradotto da Alfonso De Filippi, che io ho citato nella sesta parte, era stato a suo tempo bocciato dalla redazione perché non in linea ideologicamente. La faccenda è bizzarra. Questo articolo riferisce di una polemica fra un autore mussulmano,  Edward Said, e un orientalista ebreo, Martin Kramer. Secondo il primo, gli orientalisti occidentali non avrebbero il diritto di occuparsi del mondo islamico perché prigionieri di un’ottica eurocentrica, coloniale, razzista e quant’altro. Gli risponde Kramer che tali colpe e tale proibizione possono valere per  gli orientalisti “cristiani” ma non per quelli ebrei, che hanno sempre avuto simpatia per l’Islam e una mica tanto celata ostilità per l’Europa. Entrambi, ci dice Vinson, intendono proibirci di “vedere il mondo con i nostri occhi”. Tutto questo, ci fa notare l’autore dell’articolo, non rimane confinato a un piano puramente teorico ma – assieme a molte altre cose che hanno creato col tempo uno stravolgimento culturale che ci ha impedito – ci impedisce di percepire l’islam come il “radicalmente altro”, l’anti-Europa che è, con le tragiche conseguenze che si sono viste, ad esempio, nelle guerre della ex Jugoslavia.

Il problema è che l’articolo di Vinson potrebbe essere visto come una
perorazione a favore del Cristianesimo, ed è verosimilmente in questa chiave che De Filippi l’ha tradotto e divulgato; ed è per questo motivo che EreticaMentene ha rifiutato la pubblicazione. Ora, che questa sia una lettura sbagliata, è lo stesso Vinson a chiarircelo:

« [La reconquista] è stata letteralmente una guerra razziale contro i Mori, condotta da spagnoli, francesi e portoghesi, la cavalleria della Comunità bianca. In termini semplici, comprensibili a tutti, indipendentemente dall’appartenenza politica, è stata la fine di una dominazione straniera ».

Non si tratta quindi di un conflitto religioso, piuttosto è di tipo razziale; non solo: il riconoscimento dell’importanza del fattore razziale è la più aperta sconfessione della Weltanschauung cristiana. In realtà, noi abbiamo da una parte una “cristianità” che non è il Cristianesimo, ma un’Europa e un mondo occidentale di derivazione europea che ha subìto la cristianizzazione; e – sul fronte nemico – un mondo arabo-islamico a cui, a dispetto di problemi cronicamente irrisolti come il conflitto israelo-palestinese, gli ebrei guardano con simpatia per affinità razziale. Che l’Europa sia, in campo religioso, tuttora dominata da una dottrina che proviene dal Medio Oriente – il campo nemico – è semplicemente un evento disgraziato che è una cronica ragione di debolezza.

Un’ultima considerazione verrebbe da aggiungere al riguardo: che il marxismo sia stato nella pratica il più clamoroso fallimento del XX secolo, questo pochi si azzarderebbero a negarlo, ma questa probabilmente non è che una conseguenza della sua assoluta labilità teorica. Questi docenti di “cultura” marxista che, soprattutto in Italia, monopolizzano ancora l’insegnamento della storia, non solo non hanno mai avuto sentore di come la percezione del nostro passato sia deformata dall’ “insegnamento” biblico, ma sono anche i più accaniti sostenitori di quell’anti-eurocentrismo che vorrebbe negarci il diritto di “vedere il mondo coi nostri occhi”. Tutto si tiene, in ultima analisi: il Cristianesimo è stato il bolscevismo dell’antichità; il marxismo nella nostra epoca si è distinto dal Cristianesimo soprattutto per aver sostituito al Dio trascendente il dio immanente della storia: una sottigliezza teologica, una quisquilia. A partire dal Concilio Vaticano Secondo, il Cristianesimo cattolico ha cominciato a un tempo a rifluire verso le sue origini non-europee e a fare corpo comune col marxismo, sua versione secolarizzata.

Io non vorrei polemizzare oltre con i cosiddetti tradizionalisti cattolici. Costoro si trovano in una posizione insostenibile, e non potranno rimandare ancora a lungo una scelta inevitabile: o con l’Europa, la sua cultura, le sue tradizioni, e soprattutto i popoli che la compongono; o con una Chiesa sempre più mondialista, meticcia, anti-europea. “In mezzo” non c’è più posto. Non è con Fabio Calabrese che se la devono vedere, ma con l’ineluttabilità del reale. 

Torniamo però ora a quello che è l’argomento principale della nostra trattazione, ossia: la concezione ancora oggi considerata l’ortodossia storica e scientifica – che vede la civiltà originarsi in oriente, in particolare nell’area mediorientale tra il Nilo e la Mesopotamia e solo lentamente estendersi all’Europa – quale  sarebbe dimostrata, in maniera incontrovertibile dalle prove archeologiche, è del tutto falsa.

Dalle prove finora raccolte mi sembra risultare che, per quanto indietro possa risalire la ricerca storica (o preistorica), l’Europa si dimostri una terra molto più civile di quel che ci avevano abituati a ritenere; che vi siano motivi validi per ritenere essere europee – e non mediorientali – fondamentali scoperte umane quali l’allevamento, (forse) l’agricoltura, i metalli, la misurazione del tempo; che nulla debbano a supposte influenze mediorientali conquiste dello spirito come la filosofia greca; e che, come abbiamo visto, un elemento europide sembra proprio essere alla base anche delle grandi civiltà dell’Asia orientale e delle Americhe precolombiane. Là dove invece un’influenza europea o europide non si riscontra, come nel caso dell’Africa nera, abbiamo popolazioni che non sono mai uscite da uno stato primitivo o selvaggio fino all’avvento del colonialismo europeo.

Ora, se fosse possibile provare che vi è stata un’influenza europea alla base anche delle grandi civiltà mediorientali – egizia, sumerica, babilonese e via dicendo – il cerchio sarebbe chiuso e le tesi dei patiti dell’oriente completamente rovesciate.

Ebbene, che si debba addivenire a una tale conclusione è tutt’altro che inverosimile. Pensiamo alla civiltà egizia: una stranezza e – per i suoi cultori – un mistero. Noi presumiamo che ogni civiltà debba conoscere un periodo “infantile” di progresso iniziale in cui maturano le sue conoscenze, le sue tecniche, i valori, l’organizzazione politica, la struttura sociale, la religione, le forme culturali e via dicendo. L’Egitto tuttavia non ci presenta per nulla un caso del genere: abbiamo il paradosso di una civiltà che sorge all’improvviso completa e “adulta” in tutti i suoi aspetti senza nessun antecedente, e nei tre millenni che vanno dalle origini alle conquiste persiana, macedone e romana, non manifesta alcun progresso, alcuna innovazione tecnica o stilistica, al punto tale che gli archeologi faticano a distinguere gli oggetti prodotti all’epoca di Cleopatra da quelli più vecchi di tremila anni, se non sono aiutati dal contesto o dal radiocarbonio.

L’unica innovazione che compare in tre millenni è il carro da guerra, che non è un’invenzione egizia, ma fu portato in riva al Nilo dai nomadi Hyksos. Al contrario, abbiamo una progressiva perdita di conoscenze tecniche che l’immobilismo culturale non riesce a fermare: gli Egizi dell’Antico Regno, delle prime dinastie, erano in grado di costruire capolavori architettonici come le tre piramidi della piana di Giza, che i loro discendenti non sono stati più in grado di replicare.


Tutto questo farebbe pensare che a un certo punto, agli inizi della loro storia, gli Egizi abbiano subito un’influenza civilizzatrice esterna, un lascito che è andato lentamente disperso, nonostante tutti gli sforzi fatti per conservarlo intatto.

All’inizio di questo articolo vi ho parlato di serendipità: si tratta di una dote che indubbiamente possiedo, ma che questa volta ha “fatto gli straordinari” in maniera veramente sfacciata. Avevo appena terminato di redigere la settima parte di questo saggio, quando mi è capitato sotto gli occhi il tassello mancante, sotto forma di un libro: Scoperte archeologiche non autorizzate – oltre la verità ufficiale, di Marco Pizzuti, (edizioni Il punto d’ incontro, 2010). L’atteggiamento censorio dell’archeologia ufficiale, tesa a difendere interpretazioni precostituite del nostro passato attraverso la censura e l’occultamento delle prove, non poteva non produrre un florilegio di ricercatori indipendenti fuori dai canali ufficiali, e non tutto ciò che viene fuori da costoro è pazzesco o stravagante.

Bene, ecco cosa viene riportato alle pagine da 49 a 51:

«Le prove fin qui raccolte circa l’esistenza di un’antica casta dominante di diverso ceppo razziale, tuttavia, sono comunque sufficienti a ribaltare completamente l’attuale orientamento ortodosso sulle origini della civiltà egizia. Il professor Carleton Coon, di Harvard, nel suo libro The races of Europe ci informa per esempio che anticamente tutti i più importanti funzionari, cortigiani e sacerdoti che rappresentarono la casta superiore della società egizia possedevano sorprendenti crani nordici, in particolare del tipo comune in Scandinavia, Gran Bretagna, Olanda e Germania settentrionale

Ciò premesso – va sottolineato – per quanto tali notizie possano creare stupore, si tratta di una conclusione che trova riscontro in innumerevoli testimonianze archeologiche rimaste fino a oggi nell’ombra.

Tra queste possiamo citare le seguenti. L’archeologo americano George Reisner, durante gli scavi nella piana di Giza, riportò alla luce una piccola piramide con all’interno la raffigurazione di Hetepheres (V dinastia), la sposa bionda dagli occhi azzurri di Didufri. Lo studioso tedesco Alexander Scharff osservò che essa venne descritta come una sacerdotessa della dea Neith, una divinità dai capelli biondi della regione del delta del Nilo. Egli proseguì inoltre asserendo che anche la regina Hetepheres II è raffigurata con i capelli biondi in un dipinto sul muro della tomba della regina Meresankh III. Dopo anni di studi e di approfondimenti in merito, Scharff arrivò a concludere che l’Egitto dell’età delle Piramidi fu dominato da un’ élite dai caratteri somatici tipicamente nordici. Presso il British Museum di Londra è esposta una mummia del 3300 a.C. soprannominata Ginger a causa del colore rosso dei capelli, dai tratti somatici tipicamente nordici. La moglie del faraone Zoser è stata raffigurata in un dipinto con i capelli biondi. La mummia della moglie del re Tutankhamon possiede ancora ciocche di capelli castani ramati. Numerose mummie dai capelli rosso-ramati sono state trovate nelle caverne di Aboufaida. Una mummia bionda è stata rinvenuta presso Kawamil insieme a molte altre con i capelli chiari e i tratti tipici delle stirpi nordiche. Un dipinto nella tomba di Amenhotep III riproduce il faraone con i capelli rossi. Un antico scriba egizio di nome Sakkarah, vissuto nel 2500 a.C., è stato descritto con gli occhi azzurri dai suoi contemporanei. Il tradizionale talismano egizio raffigurante l’occhio di Horus, ovvero il Wedjat Eye, è di colore blu, come sta a significare la stessa parola egizia wedjat. La regina Thi è stata dipinta con una carnagione rosea, occhi azzurri e capelli biondi.

Alcuni antichissimi dipinti della III dinastia mostrano gli egizi di più alto rango con i capelli rossi e gli occhi azzurri. La dea Nuit è stata raffigurata bionda e con la pelle bianca.

Un antico dipinto di Saqqara mostra un uomo dall’aspetto nordico e i capelli biondi. Una raffigurazione della madre del faraone Amenhotep IV (XVIII dinastia) rivela che aveva i capelli biondi, occhi blu e una carnagione rosea.

La principessa Ranofri, figlia del faraone Tuthmosis III (XVIII dinastia), è stata raffigurata bionda su una pittura murale trovata nel diciannovesimo secolo dall’egittologo italiano Ippolito Rosellini. Nel 1929 gli archeologi hanno scoperto la mummia dai capelli castani della regina Meryet-Amon (un’altra figlia di Tuthmosis III). L’egittologo americano Donald P. Ryan, durante gli scavi del 1989, scoprì nella Valle dei Re la tomba KV 60, con all’interno la mummia dai capelli rossi della regina Hatshepsut (XVIII dinastia).

Nel 1925 L. H. Dudley Buxton, della Oxford University, dopo avere esaminato i resti delle mummie più datate, scrisse quanto segue:

«Tra i crani più antichi trovati nella città di Tebe e raccolti presso il Dipartimento di Anatomia Umana di Oxford, ce ne sono alcuni che devono essere considerati di tipo nordico senza alcuna esitazione» .

Un volume illustrato di egittologia, pubblicato nel 1994, mostra dipinti, sculture e mummie di faraoni per un totale di 189 personaggi dell’antico Egitto. Di questi, ben centodue (ovvero tutti quelli di datazione più antica e di più alto lignaggio) hanno caratteristiche nordiche, mentre solo tredici sono risultati di colore. Il resto delle mummie invece è rimasto difficile da classificare. È risultato dalle perizie somatiche che anche il primo faraone Menes aveva un aspetto di tipo caucasico. Secondo il  parere dell’antropologo scozzese Robert Gayre, l’antico Egitto venne originariamente colonizzato da una razza caucasica; e quando il celebre archeologo inglese Howard Carter trovò la tomba di Tutankhamon, nel 1922, scoprì tra gli arredi funerari anche un piccolo sarcofago di legno con all’interno una ciocca di capelli ca
stani appartenuti all’amata madre, la regina Tiye. Quest’ultima appartenne alla XVIII dinastia ed era figlia di Thuya, una sacerdotessa del dio Amon. La mummia di Thuya venne trovata nel 1905 e presentava lunghi capelli biondo ramati.

Non è finita qui. Anche se in questi casi la ricerca non è stata favorita come in Egitto dalla pratica della mummificazione, vi sarebbero consistenti indizi della presenza di elementi dalle caratteristiche europidi: pelle chiara, alta statura, cranio dolicocefalo, capigliatura bionda o castana nelle aristocrazie sumeriche e maltesi. I Sumeri furono la popolazione non semitica che creò la prima civiltà mesopotamica. Malta è poi un caso ancor più particolare: l’arcipelago maltese, composto da Malta, la piccola isola di Gozo e alcuni isolotti minori che spesso non sono altro che scogli, ospita uno dei complessi megalitici più vasti, articolati e meglio conservati del mondo. In molti casi, secondo Pizzuti, si è deliberatamente cercato di cancellare le prove di queste scoperte imbarazzanti per l’archeologia ufficiale: a Malta si sono intenzionalmente cancellate delle pitture parietali, e migliaia di crani ritrovati nella “caverna delle ossa” sono “misteriosamente” scomparsi, tuttavia il poco che è sfuggito a queste devastazioni sarebbe eloquentemente evidente.
Nel loro insieme, con questi otto articoli ho voluto spaziare in quasi ogni angolo di questo pianeta; e dovunque, la conclusione a cui sono arrivato è la stessa: la civiltà appare sempre legata a un preciso tipo umano, l’uomo bianco di stirpe europide. Conclusioni che trovano l’avallo della più recente archeologia e antropologia, ma sono “pericolosamente” simili a idee che avevano libera circolazione fra le due guerre mondiali, oggi piuttosto considerate “politicamente scorrette”, dunque censurate, bandite, ostracizzate, maledette.

Capito questo, risulta chiaro che i movimenti sorti fra le due guerre – per sradicare i quali è stato scatenato il secondo massacro mondiale, seppellendo l’Europa e il Giappone sotto milioni di tonnellate di bombe (fra cui, per quanto riguarda l’impero del Sol Levante, anche due ordigni nucleari) – hanno rappresentato l’ultimo importante tentativo di riscossa, non solo politica ma anche culturale, del nostro continente.

Oggi, dopo settant’anni di intossicazione democratica, riprendere il cammino, persistere, è senz’altro più difficile, più rischioso; tuttavia non ci sono alternative se vogliamo difendere il nostro futuro e quello dei nostri figli. 

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