Ettore Majorana sparì per ragioni a oggi ignote. Diverse, anzi, numerose sono le teorie e gli indizi a supporto ora dell’una ora dell’altra soluzione all’enigma della sua scomparsa risalente al marzo del 1938. L’ombra spettrale che ha avvolto da allora la sua figura è stata infatti più volte rischiarata da fulminee quanto eclatanti rivelazioni. A rendere ancora più fitto il mistero, c’è poi anche la personalità di Majorana: un profilo caratteriale sfuggente, incomprensibile attraverso la più comune logica, e rispetto al quale può risultare difficile trovare una dimensione di confronto.
Come noto, già dalla metà degli anni Venti ovvero dal suo ingresso nella comunità scientifica romana, Majorana mostrò caratteristiche umane e intellettuali del tutto eccezionali.
Da quanto si può desumere dalle molte biografie disponibili, lo scienziato catanese non trovò mai una piena sintonia con il mondo accademico, soprattutto con coloro che vengono spesso dipinti come i suoi “colleghi di ricerca”, ovvero il gruppo guidato da Ernico Fermi e a tutt’oggi noto come “i ragazzi di via Panisperna”. Sintomatico in questo senso è il nomignolo che quell’ambiente affibbiò a Majorana: il Grande Inquisitore. Per via delle sue eccezionali capacità di calcolo e speculazione matematica il fisico siciliano incuteva infatti nei suoi amici e conoscenti, Fermi compreso, forte soggezione e disagio.
D’altronde, proprio dall’irrisoria facilità con cui il giovane Ettore portava a termine i calcoli matematici più ostici, spesso proibitivi persino per i docenti universitari, scaturì quell’aura quasi leggendaria che ancora oggi avvolge la sua figura.
A dispetto di tale ingombrante talento matematico, pare che negli anni romani da studente Majorana non si sia mai occupato direttamente di esperimenti sul nucleo atomico. Che disapprovasse gli sforzi sperimentali sulle radiazioni nucleari del gruppo di Fermi rimane però solo una possibilità, un’ipotesi; anche se molti elementi e aneddoti inducono a pensarlo[i].
In ogni caso, nonostante il suo disimpegno rispetto alle operazioni di laboratorio, la formazione e l’ingresso nel mondo della docenza universitaria di Majorana furono nel segno di due fisici sperimentali. Lo stesso Enrico Fermi, relatore della sua tesi di laurea[ii], e Antonio Carrelli, amico e mentore di Majorana quando questi venne nominato professore presso l’Università Regia di Napoli[iii].
Date le prospettive e i riconoscimenti accademici che seppe attrarre, già dall’inizio del 1938 per lo scienziato siciliano si prospettava un’esistenza agiata e piena di soddisfazioni. A tali prospettive, non si accompagnava però il più fausto degli scenari: l’Occidente intero si avviava verso la catastrofe della Seconda guerra mondiale e Majorana, acuto osservatore dei sommovimenti politici e militari, doveva necessariamente averne sentore.
Proprio nel quadro nefasto delle manovre belliche precedenti il conflitto mondiale, si consumò infatti la sua ormai celebre scomparsa.
Le poche lettere destinate a Carrelli e ai familiari non parlano di una decisione avventata o presa nella fretta tipica di chi vive una condizione intollerabile. La determinazione di un atto suicida aleggia, sì, in particolare sulle lettere a Carrelli, ma essa ha più le sembianze di uno stratagemma che non di una precisa e ferma decisione. Sia detto escludendo qualsiasi fantasiosa speculazione: con tali missive Majorana sembra mirare più a lasciare un dubbio irrisolvibile circa la propria eclissi che non a offrire elementi precisi sul proprio destino. Una calcolata ambiguità nell’enunciazione dei propri intenti, condensata nell’enigmatica frase «Il mare mi ha rifiutato».[iv]
A tal riguardo, con discrezione e rispetto per la vicenda personale e per il rammarico di parenti e amici, bisogna chiedersi: se «il mare lo ha rifiutato», vi è forse un’altra dimensione, un altro elemento che lo ha invece accettato?
Dalle “ultime” lettere di Majorana (le virgolette su “ultime”, come si vedrà, sono d’obbligo) non traspare né sete di avventura né motivi legati a possibili delusioni amorose o vaghe frustrazioni esistenziali: «Non mi prendere per una ragazza ibseniana, perché il caso è differente»», scrive infatti il fisico siciliano a Carrelli.
E il caso si rivelerà effettivamente molto differente, perché da quel momento, con quelle ultime parole lasciate scivolare sulle cattedre dell’Università di Napoli, il Grande Inquisitore s’inoltrerà nella regione crepuscolare delle scomparse improvvise, le scomparse finalizzate a non lasciare traccia alcuna.
Un nipote di Ettore Majorana – il quale con il celebre zio condivide non solo il cognome, ma anche il nome e l’inclinazione agli studi scientifici – ha dichiarato: «viviamo in un mondo che ha bisogno di miti, miti su cui proiettare le nostre speranze, a volte semplicemente la nostra presunzione. Majorana è un bersaglio perfetto per i mercanti di miti, perché non sappiamo che cosa gli sia successo. Perché non ci accontentiamo di accettare l’indeterminatezza quando la troviamo? Lo facciamo in matematica, perché non con le persone?»[v].
Si tratta, evidentemente, di parole sagge.
Esse lasciano trasparire quel moto dell’anima per il quale, soprattutto nella cultura meridionale italiana, si preferisce consegnare al tacito e intimo ricordo i lutti vissuti in famiglia.
La vicenda del fisico siciliano non va, non andrebbe infatti indagata per le sensazionali illazioni che ha sollevato e neanche per i curiosi retroscena che potrebbe ancora nascondere. Questa, infatti, sarebbe materia attraente per un romanziere in cerca di uno spunto, ma non per chi voglia trarre dal caso in questione qualcosa di veramente significativo: un segno dei tempi che non va lasciato defluire nel mare dell’indistinto.
Non solo. La pruriginosa attenzione per la sua scomparsa ha indotto molti a dimenticare o sottovalutare chi fu effettivamente Ettore Majorana; ovvero, non solo e non semplicemente un fisico dal talento cristallino, ma anche un osservatore acuto e originale della sua epoca. Acume e originalità che traspaiono dalle sue lettere, in particolare quelle risalenti alla prima metà degli anni Trenta, con il loro tono composto e sempre nitido, con le loro riflessioni ben meditate ed esposte con equilibrio.
Dalla Germania del 1933, Majorana scriveva all’amico Giovanni Gentile jr.:
«La Germania, che non trova nella cultura e nella storia elementi sufficienti per fondare il sentimento unitario dei popoli di lingua tedesca, è costretta a ricorrere a quella sciocca ideologia della razza che a quanto pare non ha suscitato in Austria un’eco adeguata. Anche la lotta antiebraica, sebbene in parte giustificata dall’istinto, non lo è altrettanto dalle ragioni che si adducono per sostenerla, fra cui domina tristemente l’eterno tema della razza, ed è probabile che debba presto esaurirsi con frutti poco adeguati ai sacrifici, per la poca chiarezza negli scopi da raggiungere»[vi].
E nello stesso anno, destinava una missiva anche a Emilio Segrè, fisico anche lui cresciuto a Roma, all’ombra di Fermi e, come Fermi, futuro premio Nobel:
«In Germania la situazione era affatto diversa [rispetto a quella italiana] e senza analizzare le cause che a essa hanno condotto si può dire con sicurezza che esisteva una questione ebraica che non mostrava alcuna tendenza a risolversi spontaneamente. Se l’intervento chirurgico non potesse essere sostituito con l’instaurazione di una politica, tanto ferma quanto avveduta, che avrebbe dato risultati più lenti ma più desiderabili, è cosa che la storia dovrà giudicare. Sta di fatto che ciò ha guadagnato alla lotta antisemita il suffragio quasi unanime degli ariani è quella cosa stolta e offensiva che è il nazionalismo ebraico. Gli ebrei non tedeschi non erano nella maggioranza europeizzati, cioè nel caso specifico, germanizzati. Può darsi che questo sia dipeso dal continuo afflusso di elementi fanatici provenienti dai ghetti orientali; almeno questo è la spiegazione che si suole dare. Ma è certo che gli ebrei affermavano la propria separazione dai tedeschi press’a poco con la stessa energia di quest’ultimi, salvo inefficaci tentativi di conciliazione dell’ultim’ora all’approssimarsi della tempesta»[vii]
Lo scenario odierno offre numerose pietre di paragone per misurare la giustezza delle affermazioni di Majorana.
Molta gente contemporanea potrà avere qualche difficoltà a comprenderne il senso, perché il linguaggio e la comunicazione dominanti dell’epoca presente sono caratterizzati da un’attenzione letteralmente morbosa per la correttezza “politica” delle singole parole. È d’altronde questa una delle cause della difficoltà che molti hanno di comprendere la sostanza di ogni dato messaggio e argomentazione.
Le affermazioni di Majorana appena citate sono certamente politicamente scorrette secondo i parametri presenti, ma proprio in ciò risiede una delle prove della loro veridicità. Infatti, ciò che egli intendeva evidenziare nella sua lettera a Segrè era innanzitutto l’effetto nefasto dei fanatismi sulla società; siano essi fanatismi nazionalisti, razziali o di matrice religiosa o etnica. Non si capisce dunque, al di fuori del pregiudizio ideologico, per quale ragione alcuni abbiano ritenuto «indifendibili»[viii] tali posizioni di Majorana sul fanatismo di matrice ebraica. A meno che non si voglia affermare che tutti gli ebrei (o sedicenti tali) siano immuni da qualsiasi fanatismo. Il che sarebbe evidentemente molto lontano dal vero.
La critica a qualsiasi fanatismo di matrice ebraica non ha ovviamente nulla a che vedere con le ingiustizie subite dagli ebrei nell’ambito delle persecuzioni naziste. Anzi, chi ha subito una qualsiasi forma di fanatismo è sicuramente l’ultimo che dovrebbe utilizzarlo come argomento e mezzo contro l’avversario; perché per tale via, presto o tardi, si finisce per fare lo stesso gioco di chi s’intende combattere.
Le parole di Majorana in questo senso sono non solo inequivocabili, ma hanno anche il merito di andare al cuore del problema del fanatismo etnocentrico di matrice ebraica, e ciò nella maniera più sintetica possibile.
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Un intelletto brillante, appena trentenne, fresco di nomina a docente universitario “per l’alta fama di singolare perizia”, scompare dunque tra l’inverno e la primavera del 1938.
Le maree sonnolente che oscillano tra il porto di Palermo e quello di Napoli «lo hanno rifiutato».
Nel dicembre dello stesso anno, Enrico Fermi riceverà a Stoccolma il premio Nobel per la Fisica, prima di proseguire verso gli Stati Uniti dove, tra le aride sabbie del New Mexico, parteciperà al famigerato Progetto Manhattan.
I primi biografi di Majorana esclusero categoricamente la possibilità di una scomparsa dovuta o collegata a una qualsiasi forma «spionaggio atomico»[ix].
E, in effetti, non ci sono documenti pre-1938 che testimonino di contatti tra il fisico catanese e ambienti militari o di intelligence; le stesse indagini dell’OVRA sulla sua scomparsa furono superficiali e poco assidue[x].
Una delle piste più battute, nei decenni dopo la scomparsa, fu quella sudamericana: diverse testimonianze parlano infatti di un certo signor Bini, alias che Majorana avrebbe assunto per entrare in clandestinità e trasferirsi prima in Argentina e dopo, forse, in Venezuela.
In ogni caso, tale pista non ha portato a grandi e consolidate scoperte sul fronte indiziario.[xi]
In linea generale, si può dire che sul finire degli anni Trenta non mancavano scienziati capaci di produrre ordigni basati sulla tecnologia nucleare, e pertanto Majorana non era, né può essere considerato, “indispensabile” al raggiungimento di un tale fine.
NOTE
In copertina: Hieronymus Bosch, Il prestigiatore (1502),
Musée Municipal, Saint-Germain-en-Laye.
[i] Le varie testimonianze relative alla presenza di Majorana in Sud America dopo la scomparsa ci parlano di una profonda avversione da parte del fisico catanese per le sperimentazioni di Enrico Fermi; si tratta però di testimonianze piuttosto controverse, come ad esempio quelle offerte dal giornalista Gino Gullace, cfr. E. Recami, Il caso Majorana, epistolario, documenti, testimonianze, Di Rienzo, Roma, 2011, pp. 109 sgg.
[ii] Titolo della tesi di Majorana: Teoria quantistica dei nuclei radioattivi (1929).
[iii]Majorana venne nominato, con procedura straordinaria, Professore di Fisica Teorica dell’Università Regia di Napoli nell’ottobre del 1937. Per i dettagli su tale nomina, cfr. Recami, Il caso Majorana, cit., pp. 31-33.
[iv] Lettera di Majorana a Carelli del 26 marzo 1938. L’epistolario del fisico siciliano è stato curato e pubblicato dallo stesso Recami, ibidem, pp. 129-208; mentre le lettere post-1938 attribuite a Majorana sono facilmente reperibili in rete.
[v] J. Magueijo, La particella mancante, Rizzoli, Milano, 2010/2016, p. 134.
[vi] Lettera di Majorana a Giovanni Gentile jr., Lipsia, 7 giugno 1933.
[vii] Lettera a Emilio Segrè, Lipsia, 22 maggio 1933.
[viii] Cfr. Magueijo, La particella mancante, cit., pp. 230-238.
[ix] E. Amaldi, Ricordo di Ettore Majorana, (Bologna, 1968), in Recami, Il caso Majorana, cit., p. 261.
[x] Cfr. Magueijo, La particella mancante, cit., pp. 314 sgg.
[xi] Un’inchiesta accurata in questo senso è quella di G. Borello, L. Giroffi, A. Sceresini, La seconda vita di Majorana, Chiarelettere, Milano, 2016. Che dietro il fantomatico Bini si nascondesse Majorana è però cosa ben lontana dall’essere provata; cfr. R. Di Stefano, Il caso Majorana Pelizza, One Books, Torino, 2022, pp. 324-326.
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