5 Luglio 2025
Appunti di Storia

ESALOGIA. Parteggiants Wars – La guerra dei parteggianti. V^ parte. L’impasse colpisce ancora

di Gianluca Padovan

 

Il dopopasto.

Se numerosi testi parlano di quanto è avvenuto in Italia nella lotta fratricida consumatasi tra 1943 e 1945 poco si parla di quanto è avvenuto dopo. Eppure anche su quest’argomento è stato scritto, per quanto spesso la divulgazione sia stata minima. La guerra terminò certamente con la firma della resa, ma non gli omicidi, le stragi e le rapine contro i civili inermi e contro coloro che si erano arresi.

Subito dopo il 25 aprile le cose, ma è risaputo, mutano: «La confusione di quei giorni in Lombardia era appena superata da quanto accadeva in quegli stessi giorni in Emilia. Tutti comandavano e pochi erano disposti ad obbedire. Le “Brigate” dominavano. Formazioni composte in origine di cento uomini ne contavano ora cinquemila. In pianura, là dove erano stati cinque o sei, si ritrovavano improvvisamente in mille. Il caos indescrivibile delle divise, dei gradi, e delle armi confondeva la mente semplice del vecchio patriota il quale non sapeva più se il partigiano era stato lui o tutti quegli sconosciuti che circolavano armati fino ai denti; con aria spavalda, fermando spesso, ironia della sorte, proprio qualche autentico combattente, per svolgere accertamenti sulla sua persona. Si giustiziava dovunque, troppo spesso senza discriminazione; e intanto agli occhi degli esperti non sfuggiva l’intensa incetta delle armi da parte di individui misteriosi che poi scomparivano» (Carlo Simiani, I “giustiziati fascisti” dell’aprile 1945, Edizioni Omnia, Milano 1949, p. 93).

Parlando di Sesto San Giovanni, in provincia di Milano: «A Sesto ognuno pretendeva di ergersi a giustiziare e la parola era al mitra. Quanto vi andava accadendo, unitamente alle vicine località, veniva riportato, deformato, esagerato dalla voce pubblica. Ma i fatti erano da sé già gravissimi, tanto che anche “Radio Londra” intervenne, prima consigliando la moderazione e poi ammonendo. L’euforia si era impadronita della cittadina, la quale, per essere quasi tutta di un colore politico, si sentiva più grande di sé stessa. Ad un certo momento si volevano tagliare i ponti con Roma! Qualcuno, al colmo dell’entusiasmo nordista, propose addirittura di proclamare subito la Repubblica Sovietica Popolare Italiana, fregiando il tricolore della stella rossa. Di queste bandiere, già moltissime, e non soltanto a Sesto, garrivano al vento e la gente guardava sconcertata» (Ibidem, pp. 84-85).

Ancora l’ex “partigiano” Simiani scrive: «Si era al corrente di molti giustiziati che nulla avevano avuto a che vedere con il fascismo, il più delle volte vittime o delle loro ricchezze o di vendette personali. Per avere una idea di quel momento, basti ricordare che il un C.L.N. periferico piovvero 1640 denuncie. Vagliate attentamente da persone di buon senso, esse si ridussero poi a soli quindici casi imputabili» (Ibidem, p. 69).

 

Pancia mia fatti capanna.

Senza andare ad attingere alle edulcorate “verità” (scusate se rido) di Giampaolo Pansa, per quanto riguarda le rapine a mano armata avvenute durante il periodo bellico ecco un episodio raccontatomi una quindicina d’anni fa da un imperiese: «Dal 1943 in poi molta gente era stata ammazzata solo per poterla rapinare della vacca, della terra, della casa. E i congiunti rimasti in vita o sono da tempo emigrati o ancora vivono con la paura di essere presi di mira, perché ci sono ancora i figli e i nipoti… Perché briganti o non briganti i delinquenti erano rimasti impuniti. Un giorno i fascisti sono andati da mio padre perché aveva i polli e l’orto, ma lui aveva acchiappato il forcone e li aveva cacciati, rimettendoci solo un paio di galline. Qualche mese dopo, verso la fine della guerra, erano andati da lui i partigiani e tra questi aveva riconosciuto anche qualcuno di quei fascisti che volevano i suoi polli. Stavolta, con il fucile puntato al petto e la schiena contro il muro di pietra della casa aveva dovuto assistere alla completa rapina dei polli e anche delle vacche».

 

Pruriti di giustizia resistenziali.

Non si possono dimenticare le donne del S.A.F.: «La fine ufficiale della guerra non coincise con il termine delle ostilità, ed anzi espose in molti casi le Volontarie alle violenze dei vincitori. Le Volontarie del SAF Decima uccise nei giorni immediatamente seguenti alla fine ufficiale delle ostilità, e di cui si conosce il nome, sono le seguenti. Antonietta De Simone, infermiera. Romana, figlia unica, studentessa al 4° anno di medicina, era in servizio a Vittorio Veneto. Catturata nei primi giorni del maggio 1945, fu portata nella vicina località di Revine Lago. Da qui si perde ogni sua notizia, anche se sembra sia stata uccisa e gettata nella forra carsica detta “Bus de la Lum”, sull’Altipiano del Cansiglio» (Marino Perissinotto, Il servizio ausiliario femminile della Decima Flottiglia MAS 1944-1945, Ermanno Albertelli Editore, Parma 2003, p. 41).

Seguono altri nomi e l’ultimo è «Rosuccia Amodio, uccisa in un agguato in Liguria nel 1947. Rimangono senza nome le Volontarie uccise mentre prestavano servizio ai comandi tappa di Torino, Zara, Fiume e Pola» (Ibidem, p. 42).

Per quanto riguarda il “Bus de la Lum”: il rilievo planimetrico della grotta è stato pubblicato da Marco Pirina a corredo del paragrafo “Il ‘…Bus de la Lum…’ le foibe del Cansiglio, l’eccidio di Lamosano” (Marco Pirina, 1943-1945. Guerra civile sulle montagne. Vol. 1 Udine-Belluno, Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur”, Pordenone 2001, p. 171 e pp. 172-182).

Come una sorta d’introduzione a questa seconda parte del capitolo si possono citare le “illuminanti” parole di Paolo Corsini, già sindaco di Brescia, nell’introduzione al lavoro Resistenza e guerra totale, recentemente pubblicato dalla Fondazione Luigi Micheletti: «Certamente le nuove generazioni che non hanno vissuto la Resistenza tendono ad investire su di un presente che esclude il passato di sangue e delle contrapposizioni, con il rischio di proporre una pacificazione, una riconciliazione come rimozione-negazione della storia, come reciproca richiesta di porre fra parentesi le ragioni degli schieramenti, come tregua in attesa della consunzione della memoria e del deperimento del ricordo. Occorre, viceversa, evitare ogni forma di accondiscendenza per quanti sono riluttanti a prendere coscienza del passato favorendone la rimozione sino a sottoscrivere lo “sdoganamento” dei vinti sulla base di una parificazione pietistica dei sacrifici sopportati dalle parti, di “tutte” le vittime» (Paolo Corsini, Introduzione, in Pier Paolo Poggio -a cura di-, Resistenza e guerra totale, Fondazione Luigi Micheletti, Grafo edizioni, Brescia 2006, p. 11). Corsini ha fatto parte del Partito Democratico della Sinistra e successivamente del Partito Democratico.

 

Birbantelli in camicia rossa.

Sono dell’opinione che la conoscenza dettagliata della Storia sia necessaria per capire il passato in funzione del presente. Ma è altrettanto necessario che il Popolo comprenda il proprio valore e le proprie capacità, ma non in funzione di una rivalsa sul passato, bensì per evitare di farsi abbindolare a vario titolo e soggiacendo alle imposizioni di una nuova guerra, la cui insorgenza è sempre alle porte. Mai dimenticare l’adagio prettamente politico “divide et impera”.

Anni fa ho raccolto la testimonianza di una persona sui bombardamenti subiti dalla Città di Milano e il discorso è andato inevitabilmente a concludersi con le vicende post belliche. Classe 1934, con discreta lucidità ha ricordato alcuni episodi legati ai bombardamenti e in particolare a quello di Gorla, ma con singolare precisione ha parlato del resto, dopo aver avuto la mia parola che non avrei mai scritto il suo nome e avrei riportato solo i fatti essenziali, privi di ogni dettaglio, della sua vicenda familiare. Aveva ancora paura, non tanto per sé stesso, ma per eventuali conseguenze che potevano derivare ai figli e ai nipoti. Il padre aveva combattuto nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale come graduato, dovendo poi rendersi irreperibile perché cercato dai G.A.P. Dalla fine d’aprile del 1945 la madre è rimasta nascosta in cantina per circa 5-6 mesi, mentre il fratello, ufficiale della Divisione Folgore che aveva combattuto in Nord Africa passando successivamente nella R.S.I., è stato cercato e sempre dai “parteggianti” fino ai primi mesi del 1948. La sorella, ancora minorenne, è stata sequestrata per due settimane da un gruppo di “gappisti” e segregata in una fabbrica subendo violenze soprattutto sessuali. È tornata a casa con le vesti stracciate, la testa rasata, con lividi ed abrasioni su tutto il corpo e mostruosi abusi sessuali con cui convivere.

 

 

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