15 Giugno 2025
Storia delle Religioni

Dio e la chiesa – Marco Calzoli

 I popoli del Vicino Oriente antico fondavano le loro religioni su delle mitologie; invece, l’ebraismo prima e il cristianesimo poi hanno la Bibbia, la quale si fonda su dati storici. La Bibbia non è una collezione di tesi teologiche perfette, ma è la testimonianza dell’incontro che Israele ha avuto con Dio.

 Ora, nella storia c’è senz’altro la presenza di Dio, che viene a cercare l’uomo e a lui si manifesta, ma c’è anche il limite della natura umana corrotta dal peccato e della libertà, che può scegliere anche il male.

 Nel Nuovo Testamento Dio si incarna in un bambino, Gesù Cristo. I vangeli sono la testimonianza dei primi che fecero esperienza di quel Dio di sempre che allora scese dal cielo per la nostra salvezza. Lo prova il fatto che i vangeli mostrano tutto il limite di quelle persone che hanno incontrato l’Assoluto nelle sembianze di un essere umano. Giuda è uno degli apostoli ma lo tradisce per trenta denari consegnandolo alla morte. Pietro lo rinnega tre volte perché ha paura. Di fronte alla croce scappano tutti gli apostoli tranne Giovanni. Tommaso non crede al racconto della risurrezione di Cristo.

 Ma vediamo tra le righe che Gesù è Dio. L’evangelista Giovanni lo chiama proprio così: theos, che in greco vuol dire Dio. Per gli ebrei di allora solo davanti a Dio ci si inginocchia, e lo fa anche Gesù quando prega Dio Padre appena prima della crocifissione, quando suda sangue. Paolo, quindi, arriva a dire riguardo a Cristo (Filippesi 2, 9ss):

 

“Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre!”.

 

 La chiesa, sorta su mandato di Cristo duemila anni fa, da tutto quel tempo annuncia che Gesù Cristo è Dio ed è venuto qui per redimere l’umanità.

 È Cristo che ha fondato la chiesa su Pietro con queste parole (Matteo 16):

 

“13 Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14 Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. 18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»”.

 

 Proprio per questo si vede chiaramente nel Nuovo Testamento che Pietro ha autorità su tutti gli altri apostoli, come si evince nel suo ruolo decisivo assunto nel primo concilio della chiesa, quello di Gerusalemme (Atti 15). Pietro moriva a Roma dove portò la cattedra papale. Nel II secolo abbiamo la testimonianza del quarto Papa, cioè il quarto vescovo di Roma, successore di Pietro, di nome Clemente, il quale invia una celebre lettera alla comunità di Corinto, alla quale dà delle disposizioni, mostrando di avere autorità. Poi i primi concili ecumenici si svolgono in Oriente e in essi decide chiaramente il vescovo di Roma e i suoi delegati. La supremazia sulla chiesa tutta esercitata dal vescovo di Roma è innegabile nei primi secoli e tale è restata entro la chiesa cattolica fino ad oggi.

 Chi nega la autorità del vescovo di Roma su tutta la chiesa, nega una decisione di Gesù Cristo in persona. Non solo, ma chi nega la autorità della chiesa quando pronuncia verità di fede, nega il mandato che Cristo ha dato a Pietro di legare e sciogliere.

 I Padri della chiesa dicevano che Cristo è il sole e la chiesa è la luna, la quale riflette la luce del sole. La chiesa non è la religione del libro, come può essere l’Islam, ma è la religione di Gesù Cristo. E Gesù Cristo non parla all’umanità solamente con i libri canonici ma anche in altre maniere, come per esempio con la tradizione apostolica e con il magistero del Papa.

 Genesi 1, 27 afferma che ogni uomo è creato a immagine di Dio, “a sua immagine”, nell’originale ebraico abbiamo be-tsalm-w: il be iniziale è un bet essentiae, indica che l’uomo nella sua essena è a immagine di Dio, mentre il sostantivo “immagine” deriva da una radice semitica che vuol dire “tagliare”. Pertanto il testo biblico evoca l’idea che Dio sia un archetipo che viene tagliato, cioè limitato per fare l’uomo, pur risplendendo nella sua creatura. Ebbene, la chiesa non solo è immagine di Dio, ma è anche il corpo mistico di Cristo: Cristo è il capo e la chiesa costituisce le sue membra. Anche per questa ragione si può definire Santa. Agostino diceva che chi crede di amare Cristo ma odia la chiesa, è come colui che volendo baciare una persona in volto contemporaneamente le pesta i piedi.

 In Atti 9, 3-5 si legge la conversione di Paolo, grande persecutore della chiesa nascente, il quale sulla via di Damasco incontrò Gesù Risorto:

 

“All’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Rispose: Chi sei, o Signore? E la voce: Io sono Gesù, che tu perseguiti!”.

 

 Evidentemente Paolo non aveva mai conosciuto Gesù prima di allora, lui perseguitava i cristiani, ma Cristo gli dice: “Perché mi perseguiti?”. Questo vuol dire che Cristo stesso è la chiesa!

 Non ogni affermazione di un uomo di chiesa deve essere accettata, per esempio nel Medioevo si diceva che la donna non avesse l’anima. Ma va creduta solo quella verità sancita ufficialmente dalla chiesa, vale a dire mediante la autorità petrina, per esempio le lettere encicliche, i documenti dei concili ecumenici, e così via. In tal modo un Papa può dire anche il contrario del predecessore adoperando la sua autorità di legare e sciogliere. Perché? Forse che la verità non è più la stessa?

 Bisogna dire innanzitutto che la chiesa non nasce da un libro, ma è la chiesa che fa nascere il Nuovo Testamento. Prima viene la chiesa e poi la Bibbia! Non tutto quello che Gesù ha fatto (e gli apostoli hanno tramandato) sta nel Nuovo Testamento. Giovanni 21 dice:

 

“24 Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. 25 Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”.

 

 Questi contenuti sono stati tramandati dalla tradizione ufficiale della chiesa, basata sulla autorità degli apostoli. Per questo la chiesa è Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Si tratta della cosiddetta tradizione apostolica. Per questo Apocalisse 21 contiene la Gerusalemme celeste che scende dal cielo e ha 12 colonne, cioè i 12 apostoli. Per esempio, che il Papa debba stare a Roma è tradizione apostolica.

 Bisogna aggiungere che il canone dei libri ispirati è stato fatto proprio dalla chiesa, non da altri. Quindi chi va in giro per le case a dir male della chiesa ostentando la Bibbia, incorre in un corto circuito.

 In terzo luogo la Bibbia, tutta quanta, Antico Testamento e Nuovo Testamento, è contraddittoria in quanto scritta da autori diversi in epoche diverse. Per questo deve esserci una autorità che dia la interpretazione autentica, che è la chiesa, mossa dallo Spirito. Per questo 2Pietro 1 dice:

 

“20 Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, 21 poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio”.

 

 Questo passo vuol dire almeno due cose. Solo chi ha ricevuto lo Spirito nel battesimo ha la possibilità di essere illuminato circa le cose divine, come scriveva Dionigi l’Areopagita (Ecclesiastica Hierarchia 392 B4):

 

“(Il battesimo) … è ineffabilissima produzione del nostro essere divino … così anche la sacra iniziazione della nascita divina, siccome dà la prima luce ed è il principio di tutte le divine illuminazioni, estin archē tōn theiōn fōtagōgiōn”.

 

 In secondo luogo per capire le cose divine occorre far parte della gerarchia ecclesiastica: è sul Papa (e sui suoi collaboratori, successori degli apostoli) che si fonda il magistero della chiesa.

 Le analisi private degli studiosi sono incoraggiate dalla chiesa, ma è solo lei che ha l’ultima parola sulla interpretazione della Bibbia, in quanto la chiesa è ispirata da Dio.

 L’autore della Bibbia è sia umano sia divino. Gli autori umani sono molti e di epoche diverse e le loro parole formano il senso letterale. Quando in Giosuè 10 si dice che il sole si ferma, intendendo così che è il sole che ruota attorno alla terra, si tratta del senso letterale, cioè della parola di un uomo influenzato dalla cultura del suo tempo, che adesso è stata superata. Gli studiosi privati possono dire qualcosa solo sul senso letterale. Invece alla chiesa compete l’ultima parola sul senso spirituale.

 L’autore umano è come un flauto nel quale Dio soffia, quindi il flauto ha una propria intenzione, dovuta allo strumento (senso letterale) ma chi soffia, cioè Dio, possiede la melodia (senso spirituale). Pertanto quando l’autore umano scrive una cosa, essa ha sia il senso letterale (da lui voluto) sia quello spirituale (da Dio voluto). Sono due finalità che stanno assieme.

 Quando l’autore umano parla dell’esodo ebraico, il racconto storico è il senso letterale, rispondente alla intenzione dell’autore umano. Il senso spirituale è quello voluto da Dio, per cui la chiesa interpreta il senso letterale in chiave spirituale, intendendo non la liberazione dal giogo degli egiziani ma la liberazione dalla morte operata da Cristo molti secoli dopo.

 Ogni cosa che l’autore umano scrive è voluta da Dio, anche il senso letterale, pertanto la Bibbia è pienamente Parola di Dio. Ma il senso letterale è solo preparatorio al senso pieno, che è quello spirituale.

 La chiesa, interpretando in maniera autentica la Bibbia, coglie il senso profondo delle Sacre Scritture.

 La chiesa approfondisce durante i secoli anche le verità della fede, che prima non erano sbagliate ma che dovevano ancora giungere a pienezza secondo una pedagogia divina che è progressiva, cioè Dio rivela la verità per gradi lungo i secoli esprimendola attraverso la comunità dei credenti.

 Per esempio, nell’Antico Testamento Dio comanda ai padri ebrei di uccidere i propri primogeniti. Era una usanza barbara del tempo, che poi Dio ha soppresso, guidando il popolo di Israele come un pedagogo che ammaestra progressivamente il proprio studente, dando a lui solo il cibo che può digerire in quel momento.

 Oppure pensiamo al fatto che nel primo millennio d.C. ancora non si adorava l’ostia consacrata: in seguito Dio, attraverso la chiesa, ha fatto conoscere agli uomini la sua volontà di essere adorato anche nel pane eucaristico.

 È la cosiddetta incarnazione di Dio nelle parole umane. La Parola di Dio si incarna in alcuni periodi con proprie coordinate storico-culturali. Allora il senso autentico della Bibbia va sviscerato togliendo la patina umana che lo vela, come una moneta antica di argento sulla quale lungo i secoli si è formato l’ossido: per farla brillare dello splendore antico il numismatico lava via l’ossido con una soluzione specifica.

 Per questo non si può leggere la Bibbia come fanno i fondamentalisti, senza interpretazione. La Bibbia va interpretata e soltanto da chi ha la autorità dello Spirito!

 Voler conoscere le verità di Dio da soli, senza la chiesa che ha ricevuto autorità da Dio, è la tentazione della Genesi: voler mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Ma questo peccato conoscitivo serba nell’intimo un peccato ben più grave, a cui allude la espressione della Genesi. Per il linguaggio semitico la coppia di opposti (come bene e male) racchiude tutto quello che sta in mezzo, quindi il bene e il male ammiccano alla vita intera; e nella Bibbia la conoscenza è certamente l’atto conoscitivo ma esprime anche il dominio. Pertanto il peccato delle origini certamente ha a che fare con la pretesa umana di sapere la verità senza Dio, ma nel profondo significa pure la pretesa di dominare la propria vita senza ricorrere a Dio, anche mediante quella stessa conoscenza. Insomma l’uomo ha peccato e continua a peccare nel volersi fare dio al posto di Dio. Sarete come Dio, sussurrava ai progenitori il serpente antico.

 Nel libro dell’Esodo Dio si rivela a Mosè per farsi conoscere all’umanità intera. Il nome che Egli dà è: YHWH. Nel mondo semitico il nome è la essenza della persona, quindi Dio nel dare il nome mostra chi Egli è veramente. Ma che significa esattamente quel nome?

 In ebraico il nome di Dio è formato da quattro lettere senza vocalizzazione (che è stata inserita in seguito dai masoreti): YHWH. Dato che non ha vocali, da molti è considerato un nome impronunciabile. Al suo posto gli ebrei dicono la parola Adonai, che significa “signore” (letteralmente “miei signori”, così come ‘Elohim è un plurale: si tratta di plurali intesivi per esaltare la unicità di Dio). La teoria che va per la maggiore tra gli studiosi è che YHWH derivi dalla radice ebraica del verbo essere (HYH) con una variante arcaica (che è: HWH). La Y iniziale si giustifica come prefisso dell’imperfetto, terza persona maschile. Quindi letteralmente YHWH sarebbe: “Egli è” o “Egli sarà” (oppure “Essi sono” o “Essi saranno”), l’imperfetto ebraico indica sia il presente sia il futuro. Probabilmente YHWH deriva da Esodo 3, 14: “Io sono colui che sono”, ‘Ehyeh Asher ‘Ehyeh. Quindi il senso ultimo di YHWH sarebbe: “Io sono” o “Io sarò”.

 In Esodo 3 Dio si rivela in un roveto che brucia. Ma c’è un problema filologico. Al versetto 2 è scritto: “Il roveto sta bruciando (ba’ar) con il fuoco”. Invece dopo qualche riga vi è lo stesso verbo ebraico assieme alla negazione lo, per cui si traduce: “Perché il roveto non si è bruciato?”. Questa contraddizione viene sanata da alcuni intendendo la particella ebraica lo non come una negazione bensì come un asseverativo, traducendo: “Perché il roveto stava bruciando con forza”. Invece la traduzione greca della Settanta cambia i verbi: kaietai (brucia) e katakaiomai (si consuma), pertanto dapprima traduce che il roveto “brucia” e dopo che “non si consuma”. I Padri della Chiesa hanno visto in questo arbusto infuocato ma che non viene meno la maternità verginale di Maria. Ma è significativo che la rivelazione del nome di Dio avvenga nel contesto del fuoco: il fuoco infatti è un simbolo dello Spirito Santo, che Gesù stesso voleva far venire (“Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!”, Luca 12,49) e che richiama la sua risurrezione (il fuoco santo del cero pasquale).

 Molto discussa è anche la pronuncia di YHWH. I masoreti inserirono le vocali di Adonai sotto le consonanti di YHWH e nacque così la forma distorta Geova. Oggi la pronuncia meglio accettata dagli studiosi è Jahvèh: le vocali A-E così inserite si giustificano con una forma causativa del verbo ebraico. Allora YHWH dovrebbe significare: “Io sono colui che fa respirare”, “Io sono colui che dà la vita” (il verbo essere in ebraico significa prima di tutto “respirare”, quindi “vivere”, “esistere”, “essere”, “avvenire”, “divenire”).

 Perché i masoreti inserirono quelle vocali sbagliate? Per ricordare al lettore di pronunciare la parola Adonai al posto del tetragramma. Addirittura, i traduttori sefarditi della Bibbia di Ferrara misero solo la lettera A puntuata. Quindi nemmeno si sbagliarono, anche se sono conosciuti casi in cui la vocalizzazione tramandata dai masoreti non è quella originale. In Qoelet 5,5 c’è: “E non dire: ‘Davanti a me (c’è) l’angelo’, perché è un errore”. È questa forse la vocalizzazione migliore (lepanay, “davanti a me”). Lo scrittore del libro biblico, il Qoelet, era protosadduceo, quindi non credeva negli angeli. Ma il libro ci è stato tramandato dalla sinagoga farisaica. I farisei credevano negli angeli, per questo, cambiando vocalizzazione, fecero imporre un’altra lezione, che i masoreti accettarono: “E non dire davanti all’angelo, perché è un errore …”.

 Pertanto possiamo concludere che il Dio rivelato dalla Bibbia sia unico e sia Colui che ci fa vivere. Se Egli ci fa vivere, è in sé stesso amore misericordioso. 1Giovanni 4, 8 rivela che Dio è amore. In Esodo 33 Mosè chiede a Dio di mostragli la sua Gloria ed Egli fa capire che essa è la misericordia:

 

“18 Gli disse: «Mostrami la tua Gloria!».

19 Rispose: «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia»”.

 

 Il Salmo 103, 8 rivela: “Il Signore è pietoso e clemente, lento all’ira e ricco di bontà”. Noi nasciamo con i salmi nelle viscere, come dicono gli ebrei, perché queste preghiere e poesie costituiscono l’incontro dell’orante con Dio, da esse possiamo capire come Dio si è rivelato già secoli prima del cristianesimo.

 Se diamo al verbo ‘ehyeh il senso di “essere”, l’espressione ebraica di Esodo 3 si può tradurre anche “sarò quel che sarò”, vale a dire che Dio è Colui che è sempre presente nel suo popolo. Come diceva Cristo: “Io sono con voi tutti i giorni” (Matteo 28, 20). Dio ama talmente il suo popolo che è sempre presente. Deuteronomio 4, 7:

 

“Infatti qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?”.

 

 Per l’appunto la rivelazione del nome di Dio in Esodo 3 è preceduta da queste parole di Dio: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto …” (vv. 7-8). Dio non ha fatto orecchie da mercante, ma conosce le vicende del suo popolo e si fa presente per soccorrerlo nella miseria. La parola “misericordia” deriva dal latino e significa etimologicamente avere il cuore proteso verso la miseria di qualcuno. Invece il termine ebraico corrispondente, rachamim, indica etimologicamente le “viscere materne”, come se Dio ci amasse quale una tenera madre. È per questo che Cristo sta nel seno del Padre, come rivela Giovanni 1: Cristo viene generato dall’amore di Dio Padre e riflette la sua misericordia. Papa Francesco parlava di Misericordiae Vultus: Cristo è il volto della misericordia del Padre.

 In Esodo 3, 12 Dio rassicura usando la prima persona del verbo: “Sarò”, ‘ehyeh. In Osea 1,9 Dio minacciando di ritirarsi dal popolo di Israele, dichiara: “Poiché voi non siete il mio popolo e io non sarò (‘ehyeh) per voi”.

 La triplice ripetizione di “sarò” in Esodo 3, 14 indica un’ulteriore estensione del tema della presenza divina. Inoltre l’espressione ripetuta “sarò quel che sarò” ha valore enfatico.

 Forse l’espressione ebraica indica sia che Dio è presente sia che Dio fa vivere. I verbi ebraici, infatti, sono spesso polisemici.

 Pertanto se Dio, nella sua essenza, è Colui che è presente tra di noi e che quindi ci fa vivere, dobbiamo affidarci a Lui e ai suoi inviati per conoscere la verità e per essere guidati nella vita.

 Mormorare contro la chiesa è come quando nell’Antico Testamento il popolo ebraico mormorava contro Mosè, nonostante fosse inviato da Dio. Peccato antico è anche mormorare contro coloro che Dio pone alla guida del suo popolo, secondo un noto stratagemma demoniaco.

 In 2Samuele 16, 18 è scritto: “Cushai disse ad Assalonne: No, poiché colui che hanno scelto il Signore e questa gente e tutti gli uomini di Israele, per lui io sarò e con lui starò”. Ma la traduzione siriaca della Peshitta rende il passo così: “Cushai disse ad Assalonne: Non è forse con colui che il Signore ha scelto, e a cui appartiene tutta questa gente e tutto Israele, che io sarò e di lui sarò?”. La traduzione siriaca presenta una interrogativa retorica, assente nell’originale biblico e frutto della traduzione in siriaco. Ma quello che più fa riflettere è che il testo originale afferma che il re Davide viene scelto dal Signore, da questa gente e dal tutto il popolo di Israele; invece, la traduzione siriaca fa scegliere Davide solo da Dio e al re Davide spetta il dominio su tutto il popolo. La traduzione siriaca esprime una rilettura teologica della figura dell’inviato di Dio: egli viene scelto prima di tutto dal Signore stesso e proprio per questo ha potere sugli uomini.

 La comunione è l’elemento portante del nostro vivere in relazione con gli altri, coltivando lo spirito della fraternità. Agostino ha fatto della comunione il principio costitutivo delle sue comunità religiose, l’asse portante della vita nella chiesa, perché la comunione è propria di Dio Uno e Trino. “Il motivo essenziale per cui vi siete insieme riuniti è che viviate unanimi nella casa e abbiate unità di mente e di cuore protesi verso Dio” (Regola 1.2).

 La chiesa è quella sulla terra e quella salvata nei cieli. Lettera agli Ebrei 12:

 

“22 Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa 23 e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, 24 al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele”.

 

 La comunione nella chiesa si attua nella diversità dei carismi. Nella chiesa ognuno ha il suo compito e gli altri devono accettarlo con benevolenza e con spirito di collaborazione.

 Da sempre Dio sceglie inviati ai quali si rivela affinché questi abbiano gli strumenti per guidare gli altri uomini. Addirittura il Figlio di Dio, Gesù Cristo, venne sulla terra attraverso l’utero di una donna alla quale si era rivelato l’arcangelo Gabriele. Ma al demonio non piace che siano scelti uomini per annunciare i disegni di Dio. Come può il superbo Satana eseguire gli ordini di un essere umano, rivestito della autorità divina?

 Di più, come è possibile concepire che Dio diventi uomo e, anziché far tuonare dal cielo la verità, si serva di umili pescatori come primi “apostoli”, termine greco che vuol dire “inviati”? Anche il sinedrio non accettò questo “scandaloso”, inaudito disegno divino, per questo il popolo ebraico, nonostante che dapprima avesse accolto trionfalmente Cristo che entrava a Gerusalemme, poi in ossequio della decisione del sinedrio cambiò parere e chiese a Pilato di crocifiggere Cristo e di liberare Barabba.

 Alla fine della Lettera ai Romani (16, 20) Paolo scrive: “Il Dio della pace stritolerà ben presto satana sotto i vostri piedi”. Si tratta di un collegamento a Genesi 3, 15:

 

“Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”.

 

 Questa profezia si realizza nella chiesa, la sola che – su autorità che le proviene da Dio – può vincere il male e operare il bene in tutte le altre maniere.

 La chiesa è Santa non perché composta da uomini perfetti, ma perché è guidata da Dio. Dio guida dei poveri peccatori, non migliori degli altri uomini, per annunciare il vangelo e portare la salvezza di Dio.

 Paolo scrive (1Corinzi 1):

 

“26 Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. 27 Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, 28 Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, 29 perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio. 30 Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, 31 perché, come sta scritto: Chi si vanta si vanti nel Signore”.

 

 Questo non significa che Dio sceglie solamente gli umili. La più grande umiltà è quella del cuore (e non della mente e del portafoglio). Facciamo questo esempio. Nel finale della Lettera ai Romani, capitolo 16, Paolo scrive:

 

“21 Vi saluta Timòteo mio collaboratore, e con lui Lucio, Giasone, Sosìpatro, miei parenti. 22 Vi saluto nel Signore anch’io, Terzo, che ho scritto la lettera. 23 Vi saluta Gaio, che ospita me e tutta la comunità. Vi salutano Erasto, tesoriere della città, e il fratello Quarto”.

 

 La lettera è stata dettata da Paolo a Corinto tra il 55 e il 58. Paolo quindi porta alla comunità di Roma il saluto suo e di altri cristiani di Corinto. Da questo saluto si evince che Paolo si circondava anche di notabili del posto. Se Gaio ospitava tutta la comunità era ricco. Erasto era addirittura il tesoriere della città. Gli studiosi ritengono che nell’antichità romana nomi come Primo, Secondo, Terzo, Quarto, e così via, fossero dati agli schiavi, ma alcuni schiavi potevano essere anche amministratori di grandi ricchezze oppure potevano studiare; quindi, Terzo era forse uno schiavo ma colto (Paolo dettava la lettera e Terzo la scriveva).

 Il Vangelo di Giovanni presenta la chiamata dei primi discepoli al capitolo 1: costoro sentendo che Giovanni il Battista si riferisce a Cristo con le parole “Ecco l’agnello di Dio”, si mettono alla sua sequela. Questi discepoli costituiscono la prima chiesa, i primi apostoli di Cristo. Bisogna quindi esaminare nel dettaglio il brano evangelico per capire cosa sia la essenza della chiesa, sin dai primordi.

 Giovanni il Battista si trova a Betania al di là del Giordano. Non si tratta della località chiamata Betania dove Cristo risiedeva quando stava in Giudea. A Betania al di là del Giordano Cristo viene battezzato da Giovanni, Giovanni lo riconosce come l’agnello di Dio e subito dopo i primi discepoli lo seguono. Gli studiosi oggi identificano questa Betania in un luogo nei pressi del Mar Morto, davanti a Gerico. Per questa identificazione vi è una coincidenza di fonti letterarie e di fonti archeologiche. Infatti Origene scrive che Cristo fu battezzato nella stessa località dove Giosuè guidò il passaggio del popolo ebraico nella Terra Promessa attraverso il fiume Giordano. Non sappiamo con certezza come quel luogo si chiamasse, ma Origene lo appella Bet Abara, Casa del Passaggio (probabilmente ci doveva essere una postazione per passare il Giordano). Ci sono anche testimonianze archeologiche molto antiche, alcune delle quali riportate alla luce dall’archeologo Michele Piccirillo, tra cui una basilica del V secolo e la Colonna del Giordano, sotto la quale i catecumeni dei primi secoli si facevano battezzare imitando Gesù Cristo. Se il luogo in cui Cristo venne battezzato e avvenne la prima sequela degli apostoli è veramente questo, allora è significativo che la chiesa nasce in un contesto di passaggio. Perché? Gli ebrei passarono il Giordano per andare nella Terra Promessa; invece, la chiesa permette il passaggio alla vita eterna. Qual è la finalità della chiesa? Annunciare il vangelo affinché ci siano battezzati che, mediante questo sacramento, raggiungano poi il cielo, il paradiso, la vita eterna.

 Facciamo un’altra notazione. Giovanni il Battista viene interrogato dai sacerdoti e dai leviti se lui è il Cristo, cioè il Messia atteso dagli ebrei, e Giovanni risponde di non esserlo, anzi che non è degno di sciogliergli i legacci dei sandali. Questa espressione si può intendere in due maniere. Sulla base della legge ebraica del levirato, se una donna sposata fosse rimasta vedova la avrebbe presa in moglie il parente più prossimo, il quale si impossessava della donna con la consegna del sandalo: allora Giovanni vorrebbe dire che egli non è lo sposo di Israele, ma è Cristo stesso. Ma c’è un’altra possibile spiegazione. Il discepolo andava a casa di un maestro ebreo per imparare e lì faceva il servitore, ma non doveva umiliarsi fino a sciogliere al maestro il sandalo: allora Giovanni indicherebbe in Cristo il vero maestro, del quale è discepolo. In un modo o nell’altro, Cristo viene tratteggiato o come sposo di Israele oppure come il vero maestro. In entrambi i casi Cristo è il centro della vita dei credenti. In tal modo la chiesa nella sua essenza deve essere orientata a Cristo, e non tanto al servizio materiale dei fratelli. Un po’ come si evince dall’episodio evangelico Marta e Maria: Marta si affaccenda in tante cose, invece Maria contempla l’insegnamento di Cristo, che è la cosa più importante. La funzione preminente della chiesa è l’annunzio della Parola e la celebrazione eucaristica. Come diceva papa Francesco, la chiesa senza le sue prerogative sacerdotali sarebbe semplicemente una ONG.

 Ancora. Abbiamo detto che Giovanni chiama Cristo “agnello di Dio”. Potrebbe essere un riferimento all’agnello pasquale, sacrificato dagli ebrei nel tempio. Questo agnello doveva essere senza difetto, senza macchia. Prima della Pasqua ebraica, precisamente il 10 di Nissan, erano i sacerdoti che, nel tempio, esaminavano l’agnello adatto ad essere sacrificato. Gli studiosi osservano che Giovanni era sacerdote (il padre Zaccaria era sacerdote e la madre Elisabetta era discendente di Aronne), quindi Giovanni starebbe indicando ai sacerdoti e ai leviti che è Cristo il vero agnello senza macchia da sacrificare. Cosa significa? Il primo sacrificio pasquale dell’agnello fu quello della sera dell’esodo (quando gli ebrei fuggirono dal giogo egiziano), il quale aveva una funzione di perdono dei peccati, così come quello finale, quando verrà il Messia atteso dagli ebrei (gli altri sacrifici pasquali di agnelli non avevano per gli ebrei funzione espiatrice). Pertanto, Gesù, essendo il Messia atteso dagli ebrei, con la sua morte in croce si sacrifica a Dio Padre per redimere i peccati del mondo, quale sacrificio finale (il sacrificio avvenne in maniera cruenta duemila anni fa, avviene in maniera non cruenta ogni volta che si celebra la Messa). La chiesa nasce appena dopo che Giovanni proclama Cristo “agnello di Dio”: questo significa che la chiesa è nella sua essenza collegata al sacrificio di Cristo. La funzione basilare della chiesa è quella di celebrare il sacrificio eucaristico, che è la fonte e il culmine della vita cristiana. La teologia insegna che tutte le grazie che Dio riversa sul mondo ci giungono attraverso la Eucaristia.

 In Geremia vi è una espressione tipica, che apre la sua chiamata e gli oracoli, pensiamo a 1, 4: nell’originale ebraico abbiamo wayhi debar YHWH ‘elay lemor, espressione tradotta a volte “mi fu rivolta la parola” oppure “la parola cadde su di me”. Letteralmente questo sintagma si traduce: “e fu la parola di YHWH a me dicendo”. In ebraico dabar non indica soltanto la parola, ma anche il fatto, l’azione, il progetto. Questa espressione ebraica vuole suggerire che, nel momento in cui Dio chiama, il progetto divino sopraggiunge nella vita di Geremia. È un po’ la riflessione di Giobbe: il progetto (esa’) di Dio deve avere la meglio sul progetto (esa’) dell’uomo. Allora possiamo dire che, in ogni chiamata divina al discepolato, Dio dà un compito ben preciso, una missione. I battezzati tutti, sacerdoti ministeriali e laici, sono chiamati a portare la salvezza al mondo intero mediante l’annunzio del vangelo, credendo al quale si viene battezzati e si diventa corpo di Cristo per la vita eterna.

 Secondo la dottrina di Caterina da Siena, Cristo è il ponte che consente di superare il fiume del peccato, che rappresenta la perdizione e la separazione da Dio. La Chiesa, invece, è il luogo dove questo ponte viene realizzato, perché è attraverso la Chiesa che Cristo si manifesta e dona la possibilità di attraversare il fiume, offrendo la possibilità di raggiungere la salvezza e il regno di Dio.

 Nella chiesa vi sono tanti altri compiti, essendoci molti carismi. Il termine “chiesa” deriva dal greco ekklesia, “comunità convocata” e ogni comunità non può che avere in sé doni multiformi. Ogni battezzato è come Cristo: re, sacerdote e profeta. Ma le leggi della chiesa prevedono che solo i sacerdoti ministeriali (eletti mediante il sacramento dell’Ordine) possano presiedere la celebrazione eucaristica. Tutti gli altri battezzati, in virtù del sacerdozio comune, svolgono la loro funzione sacerdotale in ogni Messa, ma non la presiedono.

 Ogni battezzato è chiamato a rivivere il sacrificio di Cristo, che si rinnova in ogni Messa, associandosi alla sua passione e alla sua morte in croce mediante le proprie sofferenze. Paolo si rivolge ai cristiani come “sacrificio vivente” (Romani 12, 1).

 Teresa di Gesù Bambino scriveva: “Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l’amore è eterno. Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore. Si, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio. Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà”.

 Proprio perché fondata sull’amore, la chiesa è un mistero. L’amore è un sentimento, quindi non si può spiegare con la logica razionale. Ma, come diceva Pascal, ci sono ragioni del cuore che la mente non conosce. De Lubac ha queste parole: la chiesa è per noi “come la sede di tutti i misteri. E il mistero esclude per definizione la curiosità indiscreta: deve essere creduto nell’oscurità, meditato nel silenzio”.

Marco Calzoli è nato a Todi (Pg) il 26.06.1983. Ha conseguito la laurea in Lettere, indirizzo classico, all’Università degli Studi di Perugia nel 2006. Conosce molte lingue antiche e moderne, tra le quali lingue classiche, sanscrito, ittita, lingue semitiche, egiziano antico, cinese. Cultore della psicologia e delle neuroscienze, è esperto in criminologia con formazione accreditata. Ideatore di un interessante approccio psicologico denominato Dimensione Depressiva (sperimentato per opera di un Istituto di psicologia applicata dell’Umbria nel 2011). Ha conseguito il Master in Scienze Integrative Applicate (Edizione 2020) presso Real Way of Life – Association for Integrative Sciences. Ha conseguito il Diploma Superiore biennale di Filosofia Orientale e Interculturale presso la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa – Istituto di Scienze dell’Uomo nel 2022. Ha dato alle stampe con varie Case Editrici 56 libri di poesie, di filosofia, di psicologia, di scienze umane, di antropologia. Ha pubblicato anche molti articoli. Da anni è collaboratore culturale di riviste cartacee, riviste digitali, importanti siti web.

 

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