28 Ottobre 2024
Società

Delitti senza castigo – Roberto Pecchioli

La stagione delle piogge – scandita dal terrorismo dell’allerta – tiene a casa e invoglia ad accendere la TV. Il malcapitato spettatore occasionale verifica non solo l’indottrinamento continuo in film, serie televisive e notiziari, ma anche la creazione del nuovo senso comune di massa. Alcune trasmissioni sono vere e proprie istruttorie relative a fatti di cronaca o delitti. Affollate di esperti, sussiegosi opinionisti – comoda professione per cui bastano faccia tosta e lingua sciolta – psicologi e criminologi, prevalentemente donne, hanno una caratteristica in comune, la giustificazione, con i più vari pretesti conditi di sociologia d’accatto e moralismo senza morale, dei delitti e dei peggiori comportamenti. Tranne se si tratta di colpevoli maschi di delitti familiari. I responsabili meritano la massima severità e la più assoluta riprovazione, ma non sono gli unici meritevoli di condanna.

I casi, purtroppo, abbondano. In un programma sono stati affrontati i casi della ragazza che ha seppellito vivi in giardino i figli neonati, della giovane donna che lasciò morire di stenti la sua piccina di un anno e mezzo abbandonandola per trascorrere un fine settimana con il fidanzato e l’omicidio di Rozzano commesso per rubare delle cuffie da smartphone. Tutti casi – potremmo aggiungere quello dell’adolescente che ha sterminato la famiglia senza un perché oltre al numero enorme di reati commessi sotto l’effetto di droga o alcool- che evidenziano la decomposizione della società. Anziché interrogarsi sulle cause di condotte sempre più frequenti, cercando di fornire ricette sensate, chi forma l’opinione pubblica insiste nell’insulsa litania della giustificazione. Fragilità, vulnerabilità, disagio, attenuanti, sono le parole più frequenti in bocca alla pletora di ben pagati protagonisti di un coro a senso unico.

Chi parla di responsabilità, educazione, punizione viene zittito o schernito. Anche questo contribuisce a costruire una società priva di centro, incapace di produrre principi comuni, prigioniera di un lassismo irresponsabile, segno di resa senza condizioni. Delitti senza castigo, come senza punizione è un numero imponente di comportamenti e reati. Regna un’indifferenza che rende impermeabili al male sinché non tocca personalmente, nel qual caso si attivano meccanismi che mescolano incredulità, violenza verbale, isterico desiderio di vendetta con ridicoli appelli a un perdono da notte del mondo, in cui bene e male si equivalgono e non si ha il coraggio di distinguerli. La conseguenza è una società che offre l’amnistia a se stessa, non sa e non può punire perché non possiede principi di riferimento.

Chi sa che non pagherà il conto è legittimato a fare ciò che gli aggrada. Domani genitori, psicologi, sociologi, insegnanti, intellettuali, stenderanno una rete di protezione, di comprensione, un buonismo dolciastro il cui esito è il nichilismo. Se si è condannati, si è avvolti da una pletora di leggi, interpretazioni e benefici che renderanno breve l’espiazione della pena . Il diritto penale è scavalcato dalle valutazioni – sovente intrise di ideologia – di una quantità di terapeuti, esperti, periti sociali. La vera pena è sopportata dalle vittime, che la legge non protegge e il sistema vigente di fatto deride. Ma vittime, a lungo termine, diventano le generazioni allevate senza controllo, esentate dai salutari no che hanno temprato chi le ha precedute. In quel senso, e solo in quello, è vero che colpevole è la società. Non per autoritarismo, bensì per il contrario: lasciar fare, lasciar passare, come in economia. Se la destra è severa con la delinquenza comune e indulgente con le malefatte dei colletti bianchi, la parte avversa si comporta in maniera uguale e contraria. Risultato: ogni tentativo di ordine civile e morale è vanificato da interessi in fondo convergenti.

La scuola insegna poco e non educa per niente; chi ci prova è accusato di autoritarismo, la velenosa lezione di Adorno degli anni Cinquanta diventata normalità dopo il Sessantotto. Intanto tre generazioni si sono perdute e le ultime – schiave di un cocktail di individualismo, indifferentismo etico e assenza di identità – sono prigioniere del consumo. Nessun perdono, nessun riscatto senza ammissione di colpa e la giusta punizione, l’espiazione che redime. Lo sapeva Dostoevskij narrando la storia di Raskolnikov che, nutrito di astratte teorie, uccide senza un movente un’usuraia ed è redento dall’assunzione della colpa, dall’accettazione della pena e dalla vicinanza salvifica di Sonia, a sua volta ferita da un doloroso passato.

I Raskolnikov contemporanei non conosceranno il castigo e spesso non si rendono conto del delitto. Hanno mille giustificazioni, attenuanti ed esimenti. La società muore di indulgenza, un aspetto dell’ingiustizia. Fa’ ciò che vuoi era il motto di Thélème, la comunità immaginaria di Rabelais. Un programma devastante se diventa attitudine di massa. Siamo passati da “ conosci te stesso”, il motto di Socrate, a fa’ ciò che ti piace nell’accezione di un sordido figuro come Aleister Crowley, pervertito e satanista, assai popolare negli ambienti della musica rock, indirettamente una guida delle ultime generazioni occidentali. Milioni di soggetti senza nerbo, convinti da una grancassa assordante che la libertà non abbia limiti e regole morali. Spaventa la noncuranza delle conseguenze dei propri atti e l’incapacità di valutarli. Un tratto comune di molti delitti è il non discernimento prima, l’indifferenza durante e l’assenza di elaborazione dopo.

La ragazza parmigiana che ha seppellito i suoi neonati in giardino è tuttora in casa sua, mentre l’assassino di Rozzano è stato presumibilmente consigliato dal padre alla fuga. Fuga, appunto. Plotoni di “esperti” lavoreranno per affievolire le responsabilità. Proprio l’irresponsabilità è la caratteristica che abbiamo consegnato ai nostri figli proteggendoli oltre ogni logica. L’ errore di fondo – calpestiamo un dogma maggioritario – è di considerare le pene rieducative, il baco antropologico di una civiltà fiacca, latrice di un ottimismo smentito dalla storia umana. Il male esiste, la violenza anche. Chi detiene il monopolio della legge deve innanzitutto “retribuire “ il male. Senza timore delle conseguenze, senza un sistema che sappia castigare, non c’è convivenza civile. Certo, occorrono esempi: il lassismo delle leggi e del senso comune è figlio della cattiva coscienza di chi esercita potere. Un mondo nel quale tutto è merce, come può condannare le condotte e i reati che considerano l’altro una cosa o una proprietà ?

Tutto è banalizzato, privato di ogni valore simbolico o spirituale. Nessuna agenzia di senso (scuola, chiesa, famiglia, mass media) osa lottare contro le innumerevoli dipendenze che devastano anima e corpo, movente diretto o indiretto di gran parte dei peggiori comportamenti. L’individualismo rampante trova giustificazioni per tutto. I giovani maschi sono privati dei riti di passaggio che ne forgiavano il carattere , colpevolizzati negli istinti. Le ragazze trovano sfogo a fragilità autentiche, negate, in atti di autolesionismo e disturbi alimentari. Banalizzato l’uso di farmaci, generalizzata l’assunzione di droghe, revocato ogni valore diverso dall’utile , dal consumo e dal tornaconto immediato, ogni difficoltà è vissuta come drammatica sconfitta. Aggravata dalla precarizzazione, dall’assenza di identità collettive sostituite da appartenenze momentanee, da relazioni deboli, dall’ ossessione per gli oggetti firmati, abbigliamento, accessori, cose, i marchi che definiscono e ammettono nella fiction in cui è trasformata l’esistenza.

La forma merce, il divertimento (un concetto assai equivoco) la vacanza, ieri intervallo, oggi unica esplosione di vita “vera”, sono le aspirazioni collettive di una generazione di schiavi inconsapevoli. La madre milanese che ha fatto morire di stenti la figlia ambiva al sacro week end, il ragazzotto milanese aveva voglia di nuove cuffie e se le è prese cancellando una vita, l’adolescente che ha sterminato i parenti era annoiato. Su tutto il vuoto, la noia, il fastidio di sottostare a regole, limitazioni, non riuscire a fare ciò che si vuole. Fatti che richiamano la decadenza, la fine di un sistema di principi . Nulla di nuovo: lo dimostrano alcune osservazioni di Platone relative al suo tempo.

L’irrisione di ogni idea ricevuta rende ovvio il rifiuto dei valori trasmessi; la maggioranza si comporta in maniera mimetica, imitativa. Oggi segue senza riflettere un concetto folle di libertà come altre generazioni aderivano a valori opposti. Il potere vigente ci vuole indifferenti, senza legami, incapaci di discernere. L’eccesso di falsa libertà conduce al dominio del più forte, quello la cui volontà di potenza unita alla larghezza di mezzi sa determinare gusti, idee, atteggiamenti tra pedine inconsapevoli in un gioco di cui non sospettano l’esistenza. L’abolizione degli studi che educano al pensiero a favore del semplice addestramento a compiti professionali fa il resto.

Raskolnikov non abita più qui, giacché è bene ciò che soggettivamente io ritengo tale. Guai a chi mi contraddice o intralcia il mio cammino: divento violento, cinico, aggressivo, perfino un assassino, senza rendermene conto, in assenza di pentimento. Ho seguito il precetto di Crowley: ho fatto ciò che ho voluto, che è il mio bene. Così mi avete insegnato. Perché mi volete giudicare e condannare ? Non siete migliori di me, penso, ed è l’unica verità in tutta questa follia. Che ne so, in fondo, di mascalzoni chiamati filosofi che hanno teorizzato la norma dell’assenza di norme (Foucault), la proibizione di vietare, l’odio per ogni limite, l’inversione e il ribaltamento di tutto.

L’abitante del presente questo ha trovato, questo vede, a questo si adegua. Perché dovrebbe comportarsi diversamente, se psicologi, esperti, insegnanti e genitori – i pilastri della società – dicono che va bene così, salvo stupirsi se poi capita il peggio. Proprio a loro, ai loro figli e allievi iperprotetti, a cui, affermano in buona fede, hanno dato tutto. Emmanuel Todd ne La sconfitta dell’Occidente parla di stadio zombi della morale, della religione, di estinzione delle credenze collettive, di vuoto storico che ha pervaso le classi alte e i ceti medi, tracimando ovunque, specie tra i giovani, privi di anticorpi, un cancro che sconfigge le difese immunitarie e genera cellule impazzite. Liberato da tutto, l’individuo lasciato a se stesso è insicuro, impaurito, capace di ogni cosa, specie del male che nessuno gli ha insegnato a identificare. Pregiudizi, anticaglie, limitazioni del buon selvaggio. Menzogne, balle colossali alle quali questa civilizzazione in metastasi crede e a cui non può porre rimedio. Aveva ragione Edmund Burke, il primo a comprendere la portata del 1789: affinché il male trionfi, basta che gli uomini buoni non facciano nulla.

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