5 Dicembre 2024
Segnali di Luce

Colui che il mondo alluma – Rita Remagnino

Caro lettore, scrive Dante, alza idealmente gli occhi al cielo e osserva insieme a me l’opera ineffabile del sommo Artefice. Fissa lo sguardo sul punto in cui l’Equatore celeste e l’eclittica si intersecano, da questo snodo “si dirama / l’oblico cerchio [lo zodiaco] che i pianeti porta, / per sodisfare al mondo che li chiama” (Pd X 13-15). Qualora la divergenza tra le due linee fosse maggiore o minore, come già è accaduto in passato, l’ordine della Terra muterebbe influendo sul ciclo delle stagioni. Sappi inoltre che a partire da questo momento il nostro rapporto cambierà: finora ti ho imboccato con pazienza, ora però devi mangiare da solo perché io non potrò seguire te e contemporaneamente occuparmi dell’alta materia dei miei versi.
E’ il prologo di quella poetica dell’«inesprimibile» che tanta parte avrà nella Cantica, e qui in modo particolare. Il Paradiso vero e proprio inizia dal Quarto Cielo, sufficientemente lontano dall’ombra della Terra per non subirne gli effetti e libero d’irradiarsi attraverso la luce solare, che, secondo Platone, dà l’idea del Bene, principio in sé inconoscibile ma di cui si può intuire la capacità fecondante (La Repubblica, VI 1260-1270).
Sul Sole i beati non appaiono più sotto forma di immagini astratte che si muovono in ordine sparso ma compongono come tanti piccoli nuclei lucenti una formazione quasi metafisica. Ruotando e cantando essi disegnano dapprima la figura di un cerchio intorno a Dante e Beatrice, poi diventano due cerchi concentrici, ciascuno costituito da 12 spiriti. Totale 24.
Fondato sul rapporto con il sistema di calcolo sessagesimale derivato dai 360° della Circonferenza, il 12 con i suoi multipli ha rappresentato a lungo in Eurasia il numero della «buona armonia cosmica» capace di coniugare lo Spirito alla Tecnica. Diffuso nei vari sub-continenti (Europa inclusa) dalle migrazioni dei popoli Ari, esso era inoltre il numero-chiave del nuovo Zodiaco che rimpiazzò la primordiale simbologia cosmica di matrice polare, basata su una più antica serie settenaria legata alle Pleiadi.
Emblema di perfezione e sapienza la ruota zodiacale girava sulla testa dell’umanità preistorica come adesso gira attorno a Dante e Beatrice la danza solare degli Spiriti Sapienti, paragonati dal poeta alle stelle che ruotano accanto al Polo celeste. “Poi, sì cantando, quelli ardenti soli / si fuor girati intorno a noi tre volte, / come stelle vicine a’ fermi poli” (Pd X 76-78).

 

All’improvviso i lumi danzanti si fermano, come se fossero rimasti momentaneamente senza musica, ma si tratta di una «pausa tecnica» creata per dare la parola a Tommaso d’Aquino, che aumentando ad ogni frase il suo splendore racconta anche le vite di altri due autorevoli «soli»: san Francesco e san Domenico.
Quando Tommaso s’interrompe la corona ricomincia a ruotare e cantare, ricordando a Dante il ticchettio dell’orologio che invita i frati di un convento a partecipare al Mattutino. Vivificato dal contesto il poeta si lascia attraversare da un’emozione indescrivibile. Il cosmo è davvero l’opera perfetta del supremo architetto che in virtù di un disegno preciso ha fatto del Sole il “ministro maggior de la natura” (Pd X 28), il “padre d’ogne mortal vita” (Pd XXII 116), il «misuratore» cosmico che “del valor del ciel lo mondo imprenta” (Pd X 29).
Fonte astrale primigenia della temperatio mundi l’astro d’oro è il principale agente dell’ordine mondano, l’exemplum sensibile del procedere della ruota celeste che vivifica e riconduce a sé ogni creatura terrena attraverso una doppia azione energizzante: l’una naturale (calore), l’altra spirituale (bontà e magnificenza). Qualora l’equilibrio dovesse cessare, regnerebbero corruzione e malignità; difatti il Paradiso è pervaso dalla luce intellettuale piena d’amore che emana da dio (Pd XXX 41) mentre l’Inferno appare come il luogo “dove ‘l sol tace” (If I 60).
Dando origine a effetti caleidoscopici il Sole genera dunque la Luce che crea i colori, produce innumerevoli sfumature e tinge le nubi, cioè dà “quel color che per lo sole avverso / nube dipigne da sera o da mane” (Pd XXVII 28). Direttamente connesso al dono della Grazia divina il Sole rappresenta inoltre lo Spirito, come rivelano gli esseri superiori presenti nel Quarto Cielo, i quali, avendo dedicato la propria vita alla comprensione delle cose, appaiono al poeta come ardenti soli “per lo splendore della dottrina” (Pd X 76).
Beatrice precisa che il sole dei soli, dio, crea “sfavillando” (al verso 74 si legge addirittura “raggia”) e “sanza mezzo”, cioè senza l’intermediazione della materia, tutto ciò che è libero spiritualmente in quanto non soggiace alle virtù delle “cose nove”, ovvero le influenze ondivaghe delle stelle (Pd VII 64-72). E’ interessante notare come il paragone dell’atto creativo con le faville che sprizzano dal fuoco sia presente anche nella Mundaka Upanishad (2,1,1): “Come da un fuoco ben acceso a migliaia si dipartono scintille che hanno la stessa natura, così dall’Indistruttibile diverse creature nascono”. Ne consegue che oltre ad essere Luce e Spirito, l’astro solare è Fuoco.

Uscito dal mondo vedico per entrare nello zoroastrismo come principale agente di purezza rituale, prima d’intrufolarsi in tutte le altre religioni del continente, il Sole /Fuoco ha dato luogo nel tempo a celebrazioni rituali che lungi dall’essere una sequela di offerte e gesti meccanici, sacrifici e preghiere, hanno rappresentato l’intelligenza e l’anima. Ed è proprio questo il «taglio» che Dante sceglie di dare al suo canto, dove il Sole sotto forma di Fuoco è definito l’appagatore di ogni desiderio (Pd IX 8), la luce che illumina di sapienza e accende di carità l’intero consesso celeste (XV 76, XXV 54, XVIII 105), il calore benefico che permette il perpetuo fiorire della rosa sempiterna dei beati in un’aria d’immutabile primavera (XXX 126).
Una delle massime espressioni di questa forza positiva è l’Angelo/Beatrice, che s’infiamma più d’una volta rivolgendosi a Dante e risponde alle sue sorelle “colorata come foco” (Pg XXXIII 9). Più in generale la fiamma rappresenta in Paradiso lo splendore spirituale dei beati, degli angeli, di dio stesso. Persino il cerchio trinitario raffigurante lo Spirito Santo è paragonato al “foco / che quinci e quindi igualmente si spiri” (Pd XXXIII 119).
Sfrecciano tra queste immagini di rovente poesia i fulmini tonanti degli «dèi tempestari» dell’Eurasia arcaica, che, punendo, purificavano. In tutta evidenza i monoteismi successivi hanno rispolverato l’esistente senza inventare nulla di nuovo, a partire dalla nascita del Salvatore da una vergine per finire alla visione astrale, virtualmente latente in ogni essere umano e risvegliabile in chiunque intenda riscoprire la propria divinità attraverso un serio addestramento.
Ma non finisce qui: l’emanazione della luce/calore solare nella Commedia è legata all’irradiamento della divinità. Questo elemento della comune cultura è presente in tutte le tradizioni dell’Eurasia e nel corso dei millenni è stato raffigurato sotto forma di cerchi ruotanti, semplici o con un puntino al centro, raggiati o squadrati. Tutti simboli riconducibili alla swastica (solare, non polare), il cui nome deriva dal termine sanscrito svastica a cui viene dato il significato generico di «oggetto di buon auspicio».

 

Beatrice esorta il suo protetto a ringraziare il Sole degli angeli (dio) che lo ha sollevato fino al regno della luce. Una tappa spirituale di epica importanza. Dante la prende in parola, distoglie il suo amore da lei e si dedica interamente alla meraviglia che lo circonda.
Nel complesso gli spunti offerti dalla rodata simbologia solare camminano nella terza cantica sul doppio binario tracciato dalla Tradizione: da un lato c’è l’aspetto naturale (il rigeneratore del mondo) e dall’altro si trova quello soprannaturale (il rinnovamento interiore). La prima causa che vede il Sole accendere nel cielo stellato “le migliaia di lucerne” è chiaramente Cristo (Pd XXIII 29), mentre il Sole spirituale che motiva il cammino del pellegrino e “largisce la sua grazia appagando ogni desiderio” è dio (Pg VII 26, Pd IX 8, Pd X 53).
Ma neanche in Paradiso è tutto oro ciò che luccica poiché i fasci luminosi generano le ombre che agitano il cuore dell’uomo fino a fargli smarrire se stesso. Puntuali e immancabili, infatti, le ombre si stanno affollando in questo momento nei pensieri di Dante. Se ciò che dio ha creato è immortale, chiede, significa che il Sole fatto di una mistura elementare (il fuoco) può morire? La risposta di Beatrice è una ripetizione di cose già dette in precedenza: solo gli esseri del cielo, come gli angeli, mantengono la loro integrità originaria mentre la materia di cui sono fatti le stelle e gli astri è mortale.
Tommaso d’Aquino aggiunge che entrambi, il mortale e l’immortale, esprimono comunque ciò che il Signore iddio può generare amando. “Ciò che non more e ciò che può morire / non è se non splendor di quella idea / che partorisce, amando, il nostro Sire” (Pd XIII 52-54). Attraverso un sapiente gioco di parole il poeta attribuisce dunque all’azione di dio il verbo creare, che è diverso dal facere (fare, plasmare, modellare), l’azione di Satana.
Come sai, continua Beatrice, il mondo terreno è da millenni teatro della battaglia dei due principi, dio e anti-dio. Ma la «fine dei tempi» è prossima, perciò l’ordine primigenio verrà presto restaurato. Ad ogni modo tu non hai nulla da temere: se pensi a come venne modellato il corpo umano quando furono creati Adamo ed Eva, puoi dedurre logicamente la vostra resurrezione (spirituale, non della carne). “E quinci puoi argomentare ancora / vostra resurrezion, se tu ripensi / come l’umana carne fessi allora / che li primi parenti intrambo fensi” (Pd VII 145-148).

 

In accordo con la visione cattolica il Maestro aveva detto all’Inferno che nel giorno del Giudizio Universale “ciascun (…) ripiglierà sua carne e sua figura” (If VI 95-98), ma quello era Virgilio, non l’Angelo/Beatrice. Nel Quarto Cielo del Paradiso il poeta alza il tiro mostrando le anime sotto forma di scintille, cioè di punti luminosi; il messaggio è chiaro: se costoro si sono smaterializzati, come potrebbero riprendere le antiche sembianze?
In modo assai significativo Dante chiama il corpo “vesta”, cioè veste, rivelando implicitamente la sua convinzione che la vera essenza dell’uomo risieda in ciò che sta sotto: lo Spirito. Per il momento gli uomini sono ancora «vestiti», cioè infagottati nei panni della guerra tra opposti principi ereditata dal monoteismo dualistico di Zarathustra e di Mani (Spirito/Materia, Luce/Tenebre, Bene/Male, eccetera), ma siccome in precedenza il mondo non era apparso ai ragionamenti umani né buono né cattivo, solo imperfetto, non si può escludere un «superamento» di questa fase, ovvero il ritorno all’Unità primigenia.
Leggendo nella mente di dio Tommaso d’Aquino conosce i pensieri di Dante, sa di non essere creduto fino in fondo, e, massimamente, vede quanto l’altro sia riluttante ad accettare l’affermazione secondo cui Salomone sarebbe stato il più sapiente tra i sapienti.
Ma come, dio non infuse la massima sapienza consentita a un essere umano in Adamo, e poi in Cristo che è morto per noi sulla croce? Tommaso gli ricorda allora il sogno del re, che avendo la possibilità di chiedere al Signore qualsiasi cosa si limitò a desiderare la saggezza necessaria a governare con giustizia il suo regno. Avrebbe potuto reclamare per sé la sapienza in quanto tale, ma non lo fece. Quindi la sua affermazione precedente è fondata, oltre ad essere compatibile con quanto Dante crede riguardo alla sapienza di Adamo e Cristo.
Sarà comunque Salomone in persona a dissipare le ultime ombre (canto XIV 34-60). Vuoi sapere se le anime dei beati continueranno ad essere luminose dopo essersi riappropriate dei loro vecchi corpi? Sappi allora che essi saranno avvolti dall’aura luminosa fino a quando durerà la loro beatitudine, cioè per l’eternità. Però … c’è un però: siccome alla fine dei tempi i loro organi risulteranno rafforzati dall’accresciuto ardore di carità, le antiche fattezze non potranno mostrarsi tali e quali a prima; immagina dunque di poterle intravvedere in controluce come scorgi i carboni incandescenti dentro la fiamma di un focolare (Pd XIV 34-60).

 

Ricapitolando: l’uomo è stato fatto in due tempi poiché dio prima «plasmò» e poi «soffiò»; se ne deduce che la creazione dell’umana carne riguarda la prima fase, solo in seconda battuta appare la carne gloriosa e santa (Pd XIV 43) che alla fine dei tempi vedrà crescere ulteriormente la grazia divina, la visione di dio, l’amore e il proprio splendore. Trattandosi di «carni» differenti, appare dunque vana la speranza di poter rivedere con i propri occhi le persone care, non tutte le anime potranno trovarsi nello stesso momento allo stesso punto del percorso, né giungeranno contemporaneamente al medesimo livello di beatitudine.
A ciascuno la sua strada, per tutti c’è una sola certezza: vita-morte-rinascita. Torna il numero «tre» con i suoi multipli che s’impongono nel Quarto Cielo con maggiore forza perché il Sole è l’agente propulsore, il motore uno e trino. La cosa è oltremodo evidente in quello che sorge in congiunzione con l’Ariete, il quale imprime in modo ineguagliabile la virtù generante sulla Terra, regolandone l’ordinato sviluppo.
Il suo culmine è l’equinozio di primavera, scelto per questo motivo dagli Antichi come momento-simbolo per dare inizio all’anno calendariale. Nel massimo della potenza rigenerativa della Natura l’antenato arcaico vide la Terra come un punto su una linea retta mentre le sue sorgenti di luce, il Sole e la Luna, celebravano l’equilibrio perfetto del Cosmo, e, ammirato, pensò che niente avrebbe potuto esprimere con uguale intensità l’ordine perfetto del Tutto a dispetto del caos che lo aveva originato.
Non è escluso che l’importanza astronomica assunta delle Pleiadi attorno al 2.500 a.C. derivasse proprio dall’osservazione del loro sorgere in corrispondenza dell’equinozio di primavera. Fatto sta che il Sole in Ariete, cioè nel pieno della sua significazione sacrale, divenne uno dei capisaldi della cultura solare eurasiatica.
In esso la tradizione cristiana collocò la cosiddetta «Pasqua dei Fiori» dedicandola alla resurrezione di Cristo. Nel medesimo periodo il poeta-viator inizia il suo viaggio oltremondano (If I 38-40) e fa tappa nel cielo del Sole (Pd X 31-32), la cui immagine è il simbolo di dio unitrino, ovvero la meta del pellegrino devoto al quale dio concede la sua grazia (Pg VII 26, Pd X 53).
Non è del tutto chiaro come faccia il Fiorentino ancora vivo a mantenersi in equilibrio tra il sol oriens (che feconda la terra e rinnova i tempi) e il sol occidens (che conclude i tempi). Finora solo il Cristo risorto è stato figurato nel duplice aspetto di sol oriens e occidens, ma non sarebbe la prima volta che Dante si paragona al Salvatore.
Difficilmente, comunque, queste rodate alchimie funzionerebbero un domani; qualora una catastrofe atomica oscurasse per un lungo periodo il Sole, agli uomini mancherebbero gli strumenti spirituali necessari ad aggrapparsi all’energia seminale per fare poi uso del potere illuminante che scalda e rincuora. Sballottata tra gli influssi guerreschi di Marte e quelli giustizialisti di Giove l’ultima umanità del Ciclo presente vagherebbe nel nulla per un bel po’, prima di trovare rifugio nella vita contemplativa del Settimo Cielo, Saturno, in cerca di quiete.

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (Audax Editrice). Altre pubblicazioni: "La vera Storia di Eva e il Serpente. Alle origini di un equivoco" (Audax Editrice, 2024). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

2 Comments

  • Francesco Maggi 1 Luglio 2023

    E forse non è così casuale per il Poeta l’accostamento tra sé stesso e il Salvatore
    nel cammino descritto ( proposto ) da artificio ad artefice.

  • Rita Remagnino 1 Luglio 2023

    In Dante nulla è casuale, poi si può discutere su “salvatore” e “salvezza”, cioè sulla luce che si manifesta “prima” e “dopo”, chiamando in causa il libero arbitrio ……..ma si fa lunga.

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