9 Febbraio 2025
Geografia Medievale

Attraverso il Mare Tenebroso. Prologo – Gianfranco V. Strazzanti

Colui che dispensa vera vita
è l’unico che può infondere grazia alle parole,
scritte e proferite.

Nulla è merito nostro. Questo è certo.

Nell’attesa di maggiori certezze
e oltre, in fondo a ogni dolore e tristezza,
dell’autentica liberazione.

 

La minacciosa definizione di Oceano Tenebroso l’Atlantico se l’era guadagnata già nei secoli bassomedievali, quando, oltre le sue mareggiate, marinai e cartografi non scorgevano profili certi, ma disseminate foschie e ancora più impenetrabili oscurità.

Eppure, non tutti si tenevano lontani dal Mare Tenebrosum: non mancavano infatti gli avventurieri e i temerari attratti dai suoi orizzonti smossi e imprevedibili.

Nel Libro di Ruggero (Kitāb Rujār), opera del geografo maghrebino al-Idrīsī, se ne parla come di «un oceano di nebbie», che «nessuno conosce bene» perché «difficile da attraversare». Lì, si narra anche di misteriosi navigatori che, salpati da Lisbona (Ashbûna, nell’originale arabo), sfidarono quel mare fosco, perché «volevano sapere cosa contenesse e dove finisse».

Si tratta dei Mughrarin, ovvero gli avventurosi oppure, secondo altre traduzioni, i viaggiatori.

Questi inizialmente approdarono su «un’isola abitata solo da pecore» e ne uccisero alcune per cibarsene, ma «la loro carne era talmente amara» da risultare immangiabile. Ripresa la navigazione, dopo dodici giorni avvistarono un’altra isola che, già da lontano, appariva abitata e coltivata. Giunti in prossimità delle sue coste, vennero però accerchiati da varie imbarcazioni e fatti prigionieri. Condotti così «in un villaggio in riva al mare», i Mughrarin vi videro «uomini dai capelli lisci» («non crespi») e «donne di rara bellezza», tutti «di colore rosso e abbronzato» («de couleur rousse et basanée», come dice la più nota traduzione francese).

Non è dato sapere se Idrīsī intendesse narrare di un primo contatto tra musulmani e popoli amerindi o caraibici. Questa è certamente una possibilità.

Alla corte palermitana di Ruggero II, che dal 1140 aveva patrocinato il libro-atlante che porta il suo nome, una tale notizia non avrebbe creato particolari scalpori, al massimo qualche tenue sorpresa.

Uomo dalle tante vite e dalle tante rinascite, sposatosi tre volte e con donne di caratteri e provenienze molto diversi, Ruggero II il Normanno era ben abituato a concepire il mondo come un vasto litorale dal quale potevano anche emergere – perché no? – popoli di cui mai si era sentito parlare prima.

Idrīsī, a sua volta, era nato e cresciuto a Ceuta, nel Maghreb al-Aqṣā (Estremo Occidente islamico), regione ben esposta ai racconti sui tentativi di traversata atlantica di cui la storia della navigazione medievale offre notizie sì frammentarie, forse prive di coordinate precise, ma costanti nel tempo e con protagonisti della più varia origine.

Nell’andirivieni di mercanti e cercatori di alte verità che fu il Mediterraneo medievale, la presenza di Idrīsī alla corte siciliana degli Altavilla non ha nulla di occasionale o di esotico. Alcune testimonianze lo dicono peraltro nato in Sicilia.

La presenza di arabi a inizio XII secolo era molto folta sull’isola e comunque Ruggero II era già entrato in contatto con il clan regnante sul Maghreb occidentale, quegli ḥammūdidi a cui lo stesso Idrīsī era legato da parentela. Intorno al 1114, infatti, una banda di pirati saraceni aveva rapito un gruppo di monaci provenienti da Cassino e il re normanno si era prodigato per trovare un accordo con l’emiro ḥammūdida al-Azīz e far così liberare i religiosi.

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Se in occidente l’opera di Idrīsī è nota con il titolo di Libro di Ruggero, e l’annesso atlante come Tabula Rogeriana, il titolo completo dell’opera, nell’originale arabo, è Nuzhat al-mushtāq fī iktirāq al-āfāq.

Tale titolo, comandato a Idrīsī dallo stesso Ruggero, è stato tradotto in vari modi in italiano, almeno fin quando il Kitāb Rujār non è stato completamente dimenticato (o maltrattato) dall’editoria. Tra le varie traduzioni, si trova l’arcaico Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo; oppure Diletto di chi è appassionato per le peregrinazioni a traverso il mondo; e, ancora, Svaghi dell’uomo desideroso di conoscere a fondo le diverse contrade del mondo.

Eppure, una delle omologhe traduzioni diffuse nel mondo anglosassone dovrebbe rendere piuttosto sospettosi circa l’efficacia delle versioni italiane. Tale versione parla infatti di una Excursion of the one who yearns to penetrate the horizons ovvero Escursione di colui che anela a perforare gli orizzonti.

Non era certo facile trovare le parole adatte a rendere un titolo tanto evocativo e lungimirante, né in italiano né in inglese; ma una traduzione influisce tanto sulla trasmissione dei significati più profondi di un testo. E bisogna ammettere che un conto è peregrinare attraverso il mondo, ben altro perforarne gli orizzonti. Il libro-atlante di Idrīsī intende d’altronde parlare non solo di terre note agli abitanti dell’area mediterranea, ma anche di quelle avvolte dalle nebbie dell’oceano occidentale, come nel caso delle esplorazioni dei Mughrarin.

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Oceanus o Mare Tenebrosum e, già al tempo di Cristoforo Colombo, Oceano Mare sembrano i nomi più comuni tra quelli rivolti all’Atlantico in epoca bassomedievale. Il primo sembra trovare origine proprio nel mondo islamico, nel quale l’espressione Bahr az-Zulamat (Mare di Oscurità) veniva destinata, con meditata disinvoltura, a quello che un giorno si sarebbe chiamato Atlantico.

Tale cupa definizione, l’intimidazione da sempre associata alle tenebre, non può certo mancare di una sua precisa funzione simbolica; anche perché, per la mentalità medievale, più o meno qualsiasi cosa poteva averne una.

È infatti possibile che proprio in quell’oceano, fosco e poco noto, le spiccate sensibilità medievali presagissero un che di funesto, un destino letale e incombente sulle loro collettività e sulla loro stessa spiritualità; e che proprio ciò intendessero esprimere, persino esorcizzare, riservandogli definizioni nebbiose, tendenti al notturno e all’imprevedibile.

Definizioni, queste, che venivano loro suggerite non solo dalle muraglie d’acqua grigio-azzurra avvolte da nebbie perenni, ma anche dallo spettro che le avvolgeva, da ciò che esse emanavano. Perché il Mare Tenebroso non era solo un oceano fisico, oscurato dalla luce vespertina del sole calante, popolato da creature bizzarre sui codici e sulle proiezioni cartografiche; ma anche un luogo concettuale e mentale: un abisso dell’anima, avvolto dalle sembianze di una cortina rivolta verso un ignoto minaccioso.

Idrīsī non esclude la presenza di un’estremità di tale oceano, anche se lungo il Libro di Ruggero essa viene lasciata in balìa degli incessanti marosi, un confine mutevole e destinato alla scomparsa, dal momento che «all’estremità di questo mare, non si vede mai il giorno».

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L’Oceano Tenebroso per il quale s’imbarca il presente libro non si riduce all’immane bacino delimitato dalle coste continentali di Americhe, Africa ed Europa, ma si estende anche per l’ampia costa del pensiero; un litorale rivolto verso la comprensione dell’esistente, e attratto dalla possibilità di superare i profili già mappati, le circostanze già previste.

Tra coloro che hanno già esplorato simili coste, vi sono navigatori, pensatori, scienziati, ricercatori; ora tormentati ora rifiutati dal mare oscuro.

Un mare che, oltre il continuo ridestarsi di onde multiformi, ha saputo anche offrire isole benedette e calme ridenti, quantomeno a coloro che, alle spossanti traversate, hanno opposto la necessaria tenacia.

Le odierne mappe isogoniche, tanto care all’epoca del calcolo e della manipolazione, hanno stabilito mari definitivi, privi di poli e approdi immateriali. Per tale ragione molti si sono illusi di poter trovare, nelle proiezioni cilindriche, un oceano esatto, conquistato una volta per sempre alle uniche proporzioni ritenute valide.

Ogni proiezione geografica non mostra altro che le priorità di una data epoca e di una precisa mentalità: quella ancora oggi dominante e vigente ha addomesticato lo spazio, lo ha piegato all’uso e al consumo dei colonizzatori e dei mercanti, assurti non a caso a signori delle mappe.

Fuori dalla comodità dei reticoli, le escursioni e le traversate si fanno però più rischiose, le rotte vengono a mancare di destinazioni prefissate e gli intuiti più pronti sono chiamati ad avvistare, tra coste dimenticate, gli approdi ancora offerti dalle geografie del simbolo.

 

NOTA

 

Edizioni di riferimento del Libro di Ruggero di al-Idrîsî: La première géographie de l’Occident, a cura di Henri Bresc e Annliese Nef, traduzione di Pierre Amédée Jaubert Flammarion, Parigi, 1999, in part. pp. 267-269; la traduzione integrale e originale dello stesso Jaubert che si trova in Géographie d’Édrisi, Tomo II, Chez Arthus Bertrand, Libraire de la Société de Géographie, Parigi, 1840, in part. pp. 26-29.

 

Copertina: Planisfero tratto dalla Tabula rogeriana

 

Attraverso il Mare Tenebroso. Prologo è tratto da Geografia medievale e smarrimento contemporaneo.

L’opera integrale è gratuitamente disponibile ai seguenti link:

https://www.academia.edu/126814164/Geografia_medievale_e_smarrimento_contemporaneo

Geografia medievale e smarrimento contemporaneo

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