10 Ottobre 2024
Appunti di Storia

 Aspettando la rivoluzione: Venezia, estate del 1922 – parte seconda – Giacinto Reale

 

 

I combattenti che fanno parte dei Cavalieri della Morte non hanno altri diritti da rivendicare, bensì doveri da compiere, quasi a continuare la loro missione di guerra con una nuova missione di pace che educhi il popolo al lavoro e alla fratellanza.

(Gino Covre, in una pubblica conferenza del maggio del 1922)

 

 

Ha termine un singolare fenomeno di fascismo rivoluzionario: i “Cavalieri della morte”

Il nuovo arrivato, Gino Covre, ex Ufficiale degli Arditi, non è uno sconosciuto nell’irrequieto ambiente fascista del primo dopoguerra. A Torino, dove è convalescente per una ferita di guerra, si è messo in mostra tra il 4 e il 12 novembre del 1918, in successive manifestazioni. Dopo aver guidato una cinquantina di Fiamme all’assalto di un corteo sovversivo, invade la Camera del Lavoro in corso Siccardi e per una settimana fa il bello e il cattivo tempo in città. Di lui arriverà ad occuparsi lo stesso Gramsci, scopertosi “uomo d’ordine”, su “L’Avanti” del 19 marzo 1919:

Perché Masaniello Covre potè, per ben otto giorni, scorazzare le vie e le piazze di Torino col suo codazzo di armati di coltello, potè capeggiare un pronunciamento contro la Prefettura, potè oltrepassare, le tasche piene di sassi, in un’automobile “ufficiale” il cordone di Carabinieri che circondava la Casa del Popolo di corso Siccardi, potè lanciare i sassi nel salone gremito di operai, di donne di bambini. Perché non fu arrestato ?… No, non è un avventuriero comune questo falso Capitano Luigi Covre…

E Torino ebbe il suo Masaniello, ebbe il suo Coccapieller, Luigi Covre, che non è un avventuriero comune, non è un volgare scroccone, ma un eroe, un eroe sociale, un uomo rappresentativo, il quale continua la serie di quegli eroi rappresentativi che nella terza Italia, nell’Italia del capitalismo, abbondano più dei Cromwell, dei Martin Lutero e dei Mazzini. (1)

Ben diversa la versione dei fatti che sarà fornita dal Chiurco:

Un eroico Capitano degli Arditi, Gino Covre, che giaceva ferito in un ospedale, esce in piazza, e con alcuni Arditi, impadronitosi di un tricolore, raccoglie intorno a sé tutti gli Ufficiali e i soldati, feriti e non, che incontra.

Cantando l’“Inno degli Arditi”, gli animosi vanno incontro alla colonna dei forsennati, la cui testa era già in via Roma fra piazza San Carlo e piazza San Felice.

Saranno stati sì e no una cinquantina, quando si trovarono di fronte al corteo sovversivo. Al grido “Abbasso lo sporco tricolore” rispondono le revolverate e le grida di “Viva l’Italia”, “Viva l’Esercito”. Tutta quell’orda vigliacca fugge terrorizzata.

Dalle caserme, dagli ospedali, fu un rovesciarsi di ufficiali, soldati, sicchè in piazza San Carlo parecchie migliaia di grigioverdi ascoltavano poco dopo la parola incitatrice e tonante di odio del Covre.

La giornata d’allora contò diversi feriti. Fu, forse, quella la prima giornata dello squadrismo fascista… (2)

 

Dimesso dall’ospedale e congedato, lascia Torino e si reca in Friuli, sua terra di origine. Comanda le squadre udinesi ed assume anche la responsabilità della segreteria cittadina per un breve periodo.

Ma è un incarico che richiede, soprattutto in una zona a forte connotazione “moderata”, accorte doti di equilibrismo politico che non fanno per lui. Entra così in contrasto con gli ambienti borghesi e benpensanti che dominano in campo fascista, e non accettano il suo ruolo di fondatore e capo della componente squadrista e sindacalista. L’assunzione della guida del Sindacato Contadini, e l’inosservanza del “senso del limite” predicato da Mussolini, che preannuncia il Patto di pacificazione, gli procurano troppi nemici, costringendolo così a lasciare Udine, con un pettegolo seguito – comune in casi simili – di accuse per malversazioni finanziarie.

Arriva a Venezia, accolto dalla diffusa speranza che le sue capacità e il suo carisma riusciranno a ribaltare la ancora debole presenza fascista.

Lo stesso giorno del suo arrivo, il 15 giugno, in occasione di scontri tra Guardie Regie e squadristi, che lo vedono schierato a fianco di Marsich, non delude le aspettative, con una trovata (molto dannunziana, va detto) che così verrà riferita dal Questore al Superiore Ministero:

Insieme con un Capitano udinese (è Covre ndr) Marsich si lanciò nel tratto che separava le due linee avversarie, e intimò ai fascisti che, se una bomba si lanciava contro le Guardie Regie, egli doveva essere colpito con le Guardie, e a sua volta disse al Maggiore che se la raffica investiva ai fascisti, egli per primo doveva essere investito.

Il Capitano udinese si scoperse il petto dinanzi alle guardie, e, mostrando i segni delle ferite di guerra, lo espose agli spari. (3)

 

Un gesto che assume grande significato agli occhi dei fascisti veneziani, che si sentono “compressi” tra le istanze normalizzatrici di Marsich e la incombente persecuzione poliziesca, così che, a fine mese Covre viene eletto Segretario politico del Fascio.

Alla sua maniera, dimostra di meritare la fiducia accordatagli guidando la spedizione su Treviso dal 12 al 14 luglio, quando duemila squadristi circa, in massima parte provenienti da Padova, occupano la città e si scontrano, oltre che con i social-comunisti, con i repubblicani, che lì sono particolarmente forti.

Anche in questa occasione viene in risalto la sua speciale natura di “uomo d’azione”, sempre in prima linea:

Si riuscì a fare convergere alle mura di Treviso una massa di circa 3000 fascisti alle due precise di notte.

Senza esitare un momento, applicando il piano più adito e più pericoloso, Covre, con i fascisti Conte Sandro Ferro, Nino Brassoduro e un altro, vanno a Treviso in treno alle otto di sera, prendendo alloggio alla Stella d’Oro.

Appena giunti in piazza, i quattro, vestiti naturalmente da squadristi, non li lasciarono prendere nemmeno il vermout in pace, che cominciarono dei frizzi al loro indirizzo. Essi avevano di fronte una quindicina di persone giovani ed aggressive; ma, ciò nonostante, le loro villanie vennero rintuzzate e vengono messi in fuga…

Una Compagnia di Carabinieri… circonda l’albergo ove sono alloggiati i quattro… All’una e tre quarti la Questura e i RR CC fecero un’irruzione nell’albergo, ma proprio allora, il canto di Giovinezza squillò, e, di corsa, a piedi, entrarono le prime squadre di Udine. (4)

A Treviso tutto si risolve in successo personale per Covre, sicuro quanto effimero, perché già qualche giorno dopo viene espulso dal Fascio. Alla base di questa espulsione vi sono motivazioni personali e caratteriali, stante il contrasto che lo contrappone, in contemporanea, a Marsich e Giurati (che pure non sono concordi tra loro), capi di quella “congrega di pettegolezzi” (lui lo definisce così) che è il Fascio lagunare.

In realtà appare probabile che alla base vi siano ragioni più squisitamente politiche, apparendo la sua linea d’azione di ostacolo (più “fattuale” che “teorico” come quello di Marsich) al predetto Patto di Pacificazione che ormai si intravede all’orizzonte. Né può mancare, anche in questo caso, il sovrappiù dell’accusa di comportamenti scorretti, essendosi egli (in verità il suo Aiutante, Attilio Ghezzo) rifiutato di restituire una macchina da scrivere (sic!) che gli era stata data in dotazione per il suo incarico di Segretario.

Il 18 agosto vengono comunicate alla stampa le sue dimissioni dal movimento, e, in contemporanea, egli scrive a “Il Gazzettino” annunciano la costituzione dell’Associazione dei “Cavalieri della morte”, che riprendendo il nome di un precedente Gruppo irredentista triestino.

I primi aderenti sono quasi tutti dissidenti del Fascio ufficiale, ai quali si unisce ben presto un forte nucleo di giovanissimi (nell’inverno 1921-22, su 40 iscritti di cui fosse nota la data di nascita 23 risulteranno avere tra i 16 e i 19 anni), attratti dal personale fascino e carisma del fondatore, ex Ufficiale degli Arditi e decorato, sempre pronto a dare l’esempio in azione. Il dato della giovane età (e lo vedremo meglio dopo) colpisce molto l’opinione pubblica, al punto che si parlerà di una vera “ribellione dei giovani” interna al movimento mussoliniano veneziano.

Può sembrare strano, ma la “dissidenza” trova modo di manifestarsi anche in forme apparentemente minori che, però tendono a dare alla cittadinanza, in sovrappiù, una immagine “fisica” di diversità. Se il Fascio ufficiale adotta, con apposita circolare, la “camicia con collo Robespierre, polsi Falstaff, in colore nero, con distintivo del fascio ricamato ed applicato sulla parte sinistra del petto”, i Cavalieri, con una scelta più “spartana”, preferiscono la semplice camicia nera ornata da un grande teschio bianco.

Uniforme più gradita ai disoccupati, proletari e sottoproletari, oltre che ai giovanissimi di diversa estrazione sociale che vanno da subito a costituire la base “operativa” del movimento, e che poco hanno da spartire con Giovanni Giuriati e Giuseppe Volpi, la cui ombra lunga si proietta, ingombrante, sul Fascio ufficiale.

Il “biglietto da visita” della nuova formazione non potrebbe essere più esplicito: un mesetto dopo la loro nascita, alcuni Cavalieri (tra i quali un diciassettenne suo allievo, che è quello che probabilmente lo ha riconosciuto) sequestrano Girolamo Li Causi, dirigente comunista particolarmente inviso. E qui l’episodio ha uno svolgimento abbastanza inconsueto:

Li Causi fu poi condotto nella birreria di Campo S. Polo, dove Gino Covre, Comandante dei Cavalieri, lo aveva intrattenuto per circa un’ora con discorsi di propaganda politica, e gli aveva chiesto di consegnargli le armi. Li Causi, che aveva con sé una pistola, l’aveva immediatamente consegnata, per evitare una perquisizione; non gli fu però risparmiato di essere portato alla caserma di S. Polo, dove Covre lo consegnò ai Carabinieri e lo denunciò per detenzione abusiva di armi.

Liberato dalle Forze dell’Ordine, Li Causi denunciò a sua volta i Cavalieri della morte per violenze e sequestro di persona. (5)

 

Il fatto, che, considerati i tempi, sarebbe di scarsa rilevanza (ben diverso trattamento è stato riservato, per esempio, a Matteotti, sequestrato a Castelgugliemo il 12 marzo) offre il destro al Fascio ufficiale per marcare le distanze con gli uomini di Covre, definiti, in un articolo, autori di una “teppistica impresa”, che non ha niente a che spartire con il modus operandi dei mussoliniani “doc”:

Anche noi abbiamo una volta dato una sacrosanta lezione al signor Li Causi, senza rocambolesche avventure notturne, ma in pieno giorno, con cavalleresca e decisa rapidità di azione, impedendo in dieci minuti un comizio di migliaia di persone e una provocazione antipatriottica di cui il Li Causi doveva essere autore.

I Cavalieri della Malavita hanno sistema evidentemente diverso. Sono gli avventurieri della violenza: sono gli avventurieri della politica.

Tra noi e loro c’è una incompatibilità morale e di metodo. (6)

Questa di prendere le distanze è però una scelta che si rivela non felice e non consegue l’obiettivo voluto. Nelle settimane seguenti, molti aderenti al Fascio (soprattutto giovani della “Avanguardia”) parteciperanno, insieme ai Cavalieri alla iniziativa attivistica di procedere all’invasione, una dopo l’altra, di sedi sovversive, a Castello, Cannareggio e Giudecca, nella notte tra il 16 e il 17 novembre. Una successiva assemblea di iscritti giudicherà, inoltre, l’azione dei dissidenti “legittima e giusta”.

A mantenere viva l’attenzione verso la sua formazione, e a marcarne la differenza rispetto a simili, oltre che allo stesso Fascio, è proprio Covre che, come riferiscono i giornali, in una conferenza del maggio del 1922 dimostrerà di tenere anche conto, responsabilmente, della vocazione turistica della città, che richiede una situazioni edi calma sociale (“Oggi a Venezia non si fanno più passeggiate con distintivi o in divisa, perché non si vuole turbare la città, che ha bisogno di mostrare ai forestieri come tutto sia tranquillo).

In definitiva, come si intuisce, la situazione resta piuttosto fluida, per non dire ambigua, aldilà delle stesse intenzioni dei protagonisti. Non appare condivisibile, comunque l’opinione di chi, dal fronte avverso, ritiene che i Cavalieri abbiano agito come “moneta di scambio” per i fascisti, offrendo ai mussoliniani agibilità politica e credibilità, soprattutto dopo la firma del Patto di Pacificazione, “esonerando il fratello maggiore da ogni responsabilità in cado di incidenti gravi e talora sanguinosi”.

In effetti, nell’ottica del tempo, il ricorso alla violenza è un prezzo da pagare per riconquistare la libertà compressa nel non dimenticato “biennio rosso”. E ciò vale soprattutto per le classi medie, ai quali il fascismo guarda e che al fascismo forniscono i quadri. Non certo per la grassa borghesia capace di sopravvivere oggi come allora, proprio in virtù delle sue possibilità politiche ed agganci istituzionali alla sbornia leninista.

È vero invece che, come nel carattere anche dei personaggi, tra i due gruppi vi è sempre rivalità, che tracima nel personalismo tra i capi, come nota il Prefetto, osservatore che potremmo dire “terzo”:

 La lotta sorda e continua che già esisteva tra il Covre e i dirigenti del locale Fascio di Combattimento, che dicono di non tollerare concorrenze in tema di patriottismo, e di fatto temono che il Covre, con la propria associazione, possa prevalere sul Fascio, e far ricadere sui fascisti responsabilità politiche dei Cavalieri della Morte, divenne allora palese, e culminò con contrasti personali tra il Covre stesso ed il segretario politico Leonardi Ugo, appoggiati dai rispettivi seguaci. (7)

 

 

FOTO 3: d’Annunzio a Fiume

FOTO 4: Pietro Marsich

NOTE

  1. Articolo intitolato “Luigi Covre” in “Opere di Antonio Gramsci, sotto la mole 1916-1920”, Einaudi 1960, pag. 471
  2. Giorgio Alberto Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, Firenze 1929, vol. III, pag. 392
  3. Giulia Albanese, Alle origini del fascismo, la violenza poilitica a Venezia 1919-1922, Padova 2001, pag. 128
  4. Giorgio Alberto Chiurco, cit., pag. 448
  5. Giulia Albanese, cit., pag. 167
  6. Ibidem, pag. 169
  7. Ibidem, pag. 184

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