In un mio intervento apparso qualche tempo fa su queste colonne avevo presentato il volume Viaggio tra i mistici del Giappone di Paul Arnold, nell’edizione italiana Iduna del 2021. Rimaniamo nel paese del Sol Levante, con la biografia di un personaggio animato da una spiritualità completamente diversa rispetto a quella che illuminava i grandi saggi incontrati da Arnold nei suoi lunghi pellegrinaggi nipponici. Sto parlando di Un mistico giapponese: Kagawa Toyohito di William Axling (Iduna, aprile 2025): il libro risale al 1932 e in Italia fu pubblicato per la prima volta nel marzo del 1945. Axling (1873 – 1963) – un missionario battista americano che dedicò gran parte della sua vita al Giappone, dove visse per oltre quaranta anni diventando rettore universitario e cittadino onorario di Tokyo, ottenendo anche prestigiosi riconoscimenti e onorificenze imperiali – si occupa del suo contemporaneo Kagawa Toyohito (1888 – 1960), un convertito evangelico, noto per le sue battaglie pacifiste e in favore dei lavoratori, sostenitore del suffragio universale, celebre per il suo attivismo politico-sociale e religioso, per il suo impegno nei quartieri poveri – gli slum – delle grandi città nipponiche, contro la malavita, la prostituzione e l’alcolismo.

Come spiega Riccardo Rosati, che cura l’introduzione alla nuova edizione dell’opera, Axling
dà una visione “cristica” di Kagawa: «Aveva in tal modo l’occasione di mettere in pratica il Sermone della Montagna in uno dei momenti in cui il mondo ne aveva più bisogno […]». Questo biografo, il quale non cela minimamente la enorme stima per il confratello orientale, delinea nella sua esposizione la immagine di un “redentore”; vedasi per l’appunto il capitolo sugli slum, indubbiamente il più avvincente, in cui la narrazione lascia trapelare quasi una “follia evangelica” in Kagawa. A questa, spiega l’autore, si affiancava una ricerca dal taglio marcatamente antropologico, con quel “laboratorio degli slums” che fungeva da terreno di coltura per la creazione di un nuovo Comunitarismo, fondato sui pilastri del “giusto” e del “bene”. Kagawa riteneva quei reietti da tutti disprezzati come dei possibili nuovi apostoli: «[…] veder Dio, che è fra i miseri, andarsene altrove. In verità, colui che dimentica i disoccupati dimentica Dio». Se volessimo ricollegare una siffatta percezione al contesto dei nostri giorni, verrebbe pressoché spontanea l’associazione a quel Pauperismo che connota la Chiesa retta da Jorge Mario Bergoglio, centrato non su una scrupolosa impostazione teologica, bensì incline a un moralismo spinto; e se intendessimo trovare un’altra consonanza con tempi abbastanza recenti, in queste parole sofferte e, in parte in contraddizione con quell’amore per gli ultimi (…), lo scrittore e predicatore giapponese ci ricorda la medesima ossessione, quasi una “tassazione di sangue” per dirla in termini taoisti, che turbava l’animo di Pier Paolo Pasolini (1922-1975).
Solo il caso ha voluto che il sottoscritto iniziasse a scrivere queste note il giorno stesso della morte di Jorge Bergoglio (21 aprile 2025), citato sopra. Il riferimento al papa argentino ci avverte che la lettura del libro di Axling deve essere per forza critica in ambito tradizionale. Rosati infatti continua:
Volendo mantenere integra una imparziale esegesi del libro e del personaggio, possiamo affermare di essere consapevoli che, in particolare per un cattolico, la peculiare visione di Dio di Kagawa possa essere reputata troppo antropocentrica e talvolta sincretica, con i rimandi che il nipponico fa sovente al Buddhismo. Tuttavia, dobbiamo tenere a mente che quella di Axling è una biografia e non un testo di teologia, né tantomeno un saggio dottrinario. Se nelle pagine che si andranno a sfogliare, a fronte di affermazioni altisonanti come «abbozzo di santo» oppure «Toyohiko Kagawa si considera, a buon diritto, un miracolo», potrebbero insorgere giustificate perplessità, invitiamo comunque a valutare equamente i meriti specifici di un volume sotto parecchi punti di vista prezioso, giacché ci fa scoprire un Giappone, sì, non molto rappresentativo della totalità del Paese, ma che è innegabilmente esistito e, parallelamente a esso, l’avventuroso percorso di un uomo di religione colto e spavaldo, che ha saputo guadagnarsi con le sue sole forze una considerevole notorietà in una parte dell’Occidente. (…) Quantunque non ci sentiamo personalmente vicini alla Dottrina Sociale della Chiesa e al “dialogo col mondo” che la caratterizza, il quale persiste vigoroso nel pensiero di Kagawa, siamo rimasti intrigati dal racconto di quello che Axling non esita a chiamare un «socialista cristiano». Fondatore di una rivista in favore dei diritti dei contadini dal titolo “Il Suolo e la Libertà” (…) Kagawa fu una sorta di crociato nel teatro di battaglia delle disparità sociali, e che, malgrado talune intermittenti prossimità col Marxismo – vedasi la sua aspra campagna contro le Zaibatsu – non cessò per la sua intera esistenza di essere “pazzo di Cristo”. Decisamente un giapponese inconsueto costui, e sta qui il suo potente fascino.
Angelo Merlin, autore dell’introduzione italiana originale del 1945, fu uno dei fondatori del giornale cattolico “L’Uomo”, ed era dunque molto vicino (politicamente e spiritualmente9 alla singolare figura oggetto dello studio di Axling che andava a introdurre. Così scriveva Merlin, poco tempo prima che si concludesse la Seconda Guerra Mondiale, sottolineando da credente le numerose “incongruenze” di Kagawa:
Kagawa è un mistico, anche se a chi s’accosti a lui attraverso la sua opera di riformatore sociale ciò possa sembrare strano. Strano quando si dimentichi la caratteristica discontinuità dell’irrequieto spirito giapponese, ondeggiante fra un attivismo spesso incomposto e violento e una nirvanica atarassia; strano sopratutto se, indulgendo a un luogo comune, si consideri il misticismo solo come trasumanazione, annegamento dell’io, dissolvimento di ogni distinzione fra soggetto e oggetto: immobilità paga ed estatica. (…) Eckhart ammonisce che la vera gioia mistica non è quella che, elevandosi da uno stato del sentimento, conduce all’unione suprema, giacché «l’amore non unisce», o meglio «unisce ad un’opera, non ad un’essenza». Insomma, «l’anima resta l’anima, Dio resta Dio»: e, fra l’una e l’Altro, una vita da spendere per gli uomini. (…) Prima fra tutte (le contraddizioni di Kagawa) — quella originaria — il concetto dell’esistenza di Dio, inteso in modo dualistico e personale prima, e poi dissolto nella «vita medesima», nella «vita eterna che sì sviluppa». Un Dio «né soggettivo né oggettivo », perché — afferma egli — «cercarlo fuori di noi equivarrebbe cadere nell’idolatria, e cercarlo dentro di noi in un narcisismo nichilistico». Di qui il corollario di tutte le contraddizioni minori, aspetti molteplici dei due momenti dello spirito di Kagawa: quello teocentrico e quello antropocentrico; o, se si vuole, proiezione rifratta su diversi schermi della contraddizione maggiore. Così, a volta a volta, egli può dichiararsi indifferente alla sopravvivenza dell’anima («elemento non originario della religione» ed «egoistico»), salvo poi riconoscere nella morte la via che conduce a Dio: quella che consente di «rimettere l’anima a Lui». Può dirsi scettico sulla necessità della preghiera, e pregare a lungo ogni giorno. Può essere infiammato discepolo della povertà francescana, che è prima di tutto umiltà interiore, e troppo spesso immodesto e compiaciuto biografo della propria santità. Socialista e avversario del marxismo; assertore e fautore della macchina, anch’essa creatura di Dio, e avversario della medesima, soffocatrice di ogni personalismo costruttivo. E ancora: nemico del capitalismo e collaboratore delle forze conservatrici governative; realista o addirittura scientifizzante indagatore di problemi sociali, e utopista vagheggiatore di città con non più di 30.000 abitanti; pacifista seguace della non resistenza, e appassionato spettatore di risse all’ultimo sangue.

L’azione delle forze invisibili è il primo capitolo del testo e si occupa dell’infanzia e della prima gioventù del protagonista. È un racconto “di formazione”. La figura di Kagawa, come in un’agiografia, emerge immediatamente quale perla preziosa in un universo familiare dissoluto o in dissoluzione, feroce e alieno. Sradicato, costretto dopo la morte dei genitori a vivere con la prima sposa del padre, con una nonna burbera, con una sorella bisbetica, con un fratello maggiore scapestrato e dissipatore di fortune economiche…
…rampollo della ricchezza e dell’aristocrazia, ebbe — profeta del proprio futuro destino — un amico: un condiscepolo maggiore di due anni, figlio di uno dei fittavoli che coltivavano il podere famigliare e che viveva in una capanna di terra contigua alla proprietà.
Si tratta della prima esperienza con qualcuno estraneo alla sua classe sociale, che lo vedeva proprietario terriero a capo di svariati piccoli villaggi di contadini, un individuo, questo contadinello, prototipo di quelli che saranno i diseredati urbani dei quali – vedendo in essi il riflesso delle proprie vicissitudini – si occuperà in futuro. La religione entra ben presto nella vita del piccolo Toyohiko:
Come ogni ragazzo d’avvenire, allora, lo si mandava regolarmente al tempio buddista, per studiare i classici del Confucianesimo o esercitarsi negli elementi fondamentali del Buddismo. Dai primi imparò il posto che occupa nel pensiero del suo popolo la pietà filiale e l’amor di patria, mentre i secondi con il loro minuzioso rituale nutrirono nel suo animo un sentimento d’adorazione mistica e di tranquilla prosternazione che gli divenne abituale e assunse con gli anni un’importanza dominante nella sua vita.
Ecco poi la scoperta, nella casa di famiglia, ricca di polverosi ripostigli e bui anfratti, di testimonianze storiche che risalivano fino all’ultima epoca dello shogunato: armi, spade, corazze, attestati, libri, quadri, stampe… In un’epoca preindustriale o comunque di scarsa industrializzazione, e di preponderanza assoluta dell’artigianato Kagawa, nelle pause scolastiche e del tanto amato studio sui libri, scopre il suo legame con il Creato, un’attrazione fortissima per la vita in ogni sua forma:
Il suo spirito e il suo cuore, il suo temperamento e i suoi gusti, tutta la sua personalità nascente, furono prima di tutto formati dalla natura, quale si rivelava a lui nei campi: la pianura, il fossato, le rive e i banchi di sabbia del fiume. Fu là ch’essa esercitò, sempre ugualmente bella, un’influenza penetrante sulla sua vita in pieno sviluppo e diede stabilità alla sua anima.
La svolta avviene per il giovane Kagawa al momento di lasciare la casa di famiglia per essere accolto alla scuola media maschile di Tokushima. Ragazzino estremamente maturo per la sua età, non lega con i suoi compagni e diventa oggetto di scherno: questa situazione lo fa precipitare nella tristezza e nelle lacrime; ma, come recita il titolo del secondo capitolo, Le tenebre annunciano l’aurora. Il sole torna a splendere nella vita di Kagawa grazie a tre insegnanti cristiani – uno giapponese e due occidentali. Il ragazzino è soprattutto attirato dagli stranieri, i dottori Myers e Logan, missionari evangelici che, insieme alle rispettive consorti, accoglievano a braccia aperte nelle loro case questi “piccoli pagani”. Leggendo la descrizione che fa Axling di questo incontro con un mondo totalmente diverso rispetto a quello asiatico i dubbi che affiorano sono molti (incontro o sottomissione?):
Le porte di casa Myers e Logan, a Tokushima, non erano mai chiuse, ed erano lì come ad invitare gli scolari intraprendenti a gettare un’occhiata su un mondo più vasto. Esiste forse un solo studente giapponese che non si drizzerebbe sulla punta dei piedi per rischiare una tale avventura? Ne capitavano dunque a tutte le ore, e certo essi avevano delle buone ragioni per varcare a frotte codeste porte. Infatti, oltre la cordialità dell’accoglienza, questi ragazzi, lontani per la prima volta da casa, trovavano colà una confortevole atmosfera familiare. C’era sempre una tazza di tè, delle focacce, e buone cosette dai nomi stranieri. Meglio ancora, vera gioia, musica, canto: un luminoso squarcio nella grigia e languente monotonia della loro vita di scuola e di camerata. Era anche un’occasione di provare parole e frasi inglesi davanti a perfetti conoscitori della lingua ch’erano inoltre assai compiacenti, e di escogitare con il loro aiuto qualche novità per stupire i compagni e i professori. Era una possibilità di vedere da vicino come vivono gli occidentali e di ascoltarli parlare di quel mondo meraviglioso al di là del mare.
I ragazzi sembravano come stregati da questi educatori, dai loro ninnoli e dal loro cibo. Ma forse la conversione di Kagawa fu sincera se Axling scrive, con trasporto, che dopo la lettura di un brano del Vangelo di Matteo, Toyohiko ebbe quasi un’esperienza estatica:
Egli lesse e rilesse questo passo, imparò a memoria tutto il capitolo, s’inginocchiò; l’aspirazione a lungo compressa esplose nel grido: «Dio, fammi simile a Cristo!» Era a un tempo preghiera e consacrazione del suo essere a un imperioso programma di vita. L’alba si levò: il suo spirito era inondato di luce e di vita, ogni melanconia si dissipò come la nebbia al sole nascente: egli era rigenerato.
Il Kagawa erede delle più antiche e nobili tradizioni del Sol Levante sembra non esistere più dopo l’incontro con la religione cristiana. Capisce fin da subito che la sua nuova vita sarà consacrata ai diseredati. Il paragone che ci viene spontaneo è sicuramente quello con Francesco d’Assisi, che, agiatissimo, rinuncia a tutto per seguire la sua vocazione:
Una violenta opposizione si levò nella famiglia del ricco zio che l’ospitava, ma la gioia gli cantava nel cuore quando scivolava sotto le coperte e comunicava con Dio. Lo zio gli chiese di rinunciare alla sua nuova fede e ai suoi progetti: egli rifiutò d’accondiscendere e si vide perciò diseredato. Ed ecco che questo discendente dell’aristocrazia e dell’opulenza fu scacciato dall’orgogliosa casa dei Kagawa, senz’altro bene che i vestiti che portava indosso. La povertà non era più un ideale di puro sentimento, ma una cruda realtà, di cui assaporò l’amarezza fino alla feccia.
Nella nuova scuola, il collegio presbiteriano di Tokyo, nel quale entrò nel 1905, Toyohiko si distinse per la sua passione sterminata per le letture, scientifiche e filosofiche, e per l’amore verso i randagi animali e umani: nella sua camerata accolse gatti, cani e straccioni trovati per strada; il suo borsellino era sempre vuoto e ogni suo centesimo se ne andava in elemosine. Ma non c’era solo la religione, questo particolare “francescanesimo nipponico”, a guidare il giovane mistico. C’era anche la politica:
Dopo aver letto Tolstoi divenne un fervente partigiano della non-violenza. S’era allora nella fase più critica della guerra russo-giapponese: la tensione in tutto l’Impero aveva raggiunto il punto di rottura. I patrioti al cento per cento davano caccia accanita alle spie e ai pacifisti, e li gettavano in prigione con qualsivoglia pretesto e persino senza pretesto. Kagawa non sosteneva per questo meno apertamente e coraggiosamente le sue convinzioni pacifiste. S’opponeva alla guerra dall’alto della tribuna della scuola attirandosi così la collera del corpo studentesco che lo stimmatizzò come un parvenu, come un traditore, e lo colpì d’ostracismo.
Sopravvisse alle botte dei suoi compagni di classe, a una seria minaccia di espulsione da parte del rettore e anche a una delle malattie più tremende per l’epoca, la tubercolosi. Axling non lo dice apertamente, ma descrive questo continuo accumularsi di asperità sulle spalle di Kagawa che si dissipano come neve al sole grazie alla preghiera e al trascinare gli altri nella preghiera come qualcosa di estremamente spirituale – forse addirittura miracoloso. Stiamo assistendo alla nascita di un santo?
Il terzo capito del libro è dedicato ai bassifondi di Shinkawa, agli slums, come vengono sempre indicati nel libro utilizzando un termine inglese proveniente dal gergo londinese cockney. Il fumettista che per un attimo qui fa capolino non può dimenticare che proprio negli slums era nato il fumetto moderno, quando gli editorial cartoonist, i vignettisti di satira politica americani, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, si erano ispirati ai ragazzini straccioni dei vicoli poveri di New York immortalati dai primi foto-reporter per creare gli iniziali eroi della “letteratura disegnata”, della “narrazione per immagini in sequenza”, della cosiddetta “arte sequenziale”: il riferimento a Yellow Kid e a Richard Felton Outcault è puramente voluto. Ma gli slums di Kagawa non hanno proprio nulla di umoristico. La descrizione che ce ne fa Axling è epocale e stride con l’immagine del Giappone “perfetto” che un occidentale potrebbe farsi:
Nel tempo in cui l’industrialismo moderno invase il Giappone, gli slums sono stati i focolai d’infezione delle sue grandi città. La polizia lo sapeva, ma accettava la loro esistenza. I criminali vi si davano convegno, le case di prostituzione vi cercavano le loro reclute. All’occasione, un giornalista temerario vi faceva un’incursione dalla quale tornava con qualche storia terrificante cui nessuno credeva. È là che si indirizzavano i contadini alla ricerca d’un figlio o d’una figlia traviati. Per la massa erano un paese sconosciuto. (…) Dieci mila abitanti vi erano pigiati come sardine in capanne di sei piedi quadrati, più simili a carceri buie che a dimore. Spesso una di queste capanne doveva bastare per una famiglia di cinque persone, o anche per due famiglie con nove o dieci individui. Di solito non v’erano finestre: la luce e l’aria penetravano per la porta aperta. Una cucina comune, un solo rubinetto, un’unica latrina servivano ai bisogni d’una ventina di famiglie. Queste casupole davano su vicoli non lastricati, larghi da tre a sei piedi, ammorbati d’immondizie: i rifiuti della casa, i resti delle latrine e il rigurgito delle fogne ingorgate. Gli abitanti erano spazzini, noleggiatori, braccianti, operai, panierai, bottai, barcaioli, stradini, aggiustatori di pipe, carbonai, cenciaiuoli, venditori di dolciumi da pochi soldi, facchini, fattucchieri, giocatori di professione, accattoni, ladri, assassini, ruffiani e prostitute. Il loro incasso medio giornaliero oscillava da un franco e venticinque a due e cinquanta, quando c’era lavoro; ma molto tempo passavano in ozio forzato. Il quartiere brulicava di fanciulli denutriti, scrofolosi dalla testa ai piedi e coperti di malattie cutanee. La mortalità infantile raggiungeva la spaventosa percentuale del cinquanta per cento, contro il trenta per cento di altre parti dell’Impero. Malattie di ogni natura svolgevano incessantemente il loro mortale lavoro fra questa popolazione. Sotto il velo della notte, il crimine e l’impurità si mettevano svergognatamente in mostra nelle oscure viuzze e nei sudici sgabuzzini che usurpavano il nome di focolare.
In una delle baracche dei bassifondi, teatro di un omicidio e scansata da tutta la “gente perbene” perché ritenuta una casa infestata dai fantasmi, si insediò Kagawa e lì ospitò ogni genere di rifiuti umani, sordidi personaggi che non avevano più un tetto, più un centesimo per mangiare: un poveraccio afflitto dalla rogna, un alcolista all’ultimo stadio, un criminale assassino, un tubercolotico, un malato di mente, una prostituta sifilitica, un mendicante malato agli occhi e via dicendo. Kagawa si ammalava di tutte le malattie che soffrivano i suoi disperati ospiti e le superava, “miracolosamente”. Dovette lottare contro giocatori d’azzardo rapinatori, contro malfattori di ogni genere, contro le peripatetiche che entravano in casa sua per adescare gli uomini al quale stava predicando, contro la piaga delle “false adozioni” fatte solo per riscuotere il denaro dovuto al mantenimento del figlio adottivo. Il mistico divenne colui che seppelliva i cadaveri dei fanciulli della baraccopoli: quando un bambino moriva era una doppia disgrazia per le famiglie povere allorché il funerale e l’inumazione avevano costi inavvicinabili per i diseredati. Ci pensava Kagawa. Il colpo di fortuna arrivò quando l’editore di una rivista, capitato nella capanna del religioso, ebbe modo di leggere le bozze di un romanzo che aveva iniziato a scrivere tempo prima; il giornalista lo stimolò a completarlo; Kagawa lo riprese, vi aggiunse le sue esperienze negli slums e quel titolo diventò uno dei più venduti in Giappone.

Con gli anni Kagawa intraprese un vero e proprio studio socio-politico sulle cause del pauperismo, ovvero nel tramonto del Giappone “tradizionale”:
Non era soddisfatto soltanto di riformare degli individui poiché la sua esperienza ogni giorno lo persuadeva che il problema degli slums non si sarebbe mai risolto in quel modo. Istituì di conseguenza una vasta inchiesta sociale, risalì fino alla sorgente del pauperismo; ne scrutò le cause, — anche quelle concomitanti —, gli effetti, e si sforzò di scoprirne il rimedio. Fu attraverso codesto studio che divenne socialista cristiano, campione delle classi diseredate, organizzatore intraprendente degli operai, critico perseverante e documentato dell’ordine sociale attuale, capitalista e profittatore. La sua analisi, di fatto, lo aveva condotto alla convinzione che le radici del pauperismo sono nelle condizioni del lavoro. Nel sistema d’artigianato a domicilio, che caratterizza il Giappone d’un tempo, si trattava l’operaio come un essere umano: condivideva la vita famigliare del suo padrone, mangiava alla sua tavola, lavorava nella stessa camera e s’associava veramente alla sua impresa. Il datore di lavoro e il lavoratore si consideravano mutualmente come uomini; le loro relazioni erano cordiali: si conoscevano e si comprendevano. Il più delle volte lo stesso datore di lavoro era mosso da un interesse paterno verso coloro che lavoravano sotto la sua immediata sorveglianza. Ciò creava abbondanti occasioni di lavoro realmente produttivo. L’industrialismo moderno, con le sue superfabbriche, le sue macchine potenti e la sua produzione in serie, aveva cambiato tutto ciò. Il datore di lavoro e il lavoratore non erano ormai più che estranei l’uno per l’altro; i diritti erano esclusivamente dalla parte del datore di lavoro mentre l’operaio, privato di qualsiasi libertà di scelta, non aveva una parola da dire sul genere di lavoro che gli si dava, le condizioni, il numero d’ore o il salario. Ciò avveniva prima dell’esistenza del Bureau International du Travail e della legge sulle fabbriche attualmente in vigore in Giappone. Il datore di lavoro non aveva che una preoccupazione, giacché non gli si chiedeva che questo: satollare l’azionista e il suo insaziabile appetito di grossi dividendi. In parecchi casi le condizioni di lavoro erano uno scandalo. Le ore erano molte e i salari minimi. Kagawa s’accorse, studiando, che molti dei mali che affliggevano Shinkawa risalivano direttamente a questo stato di cose. Constatò, per esempio, una relazione matematica e costante fra la percentuale di mortalità infantile e il salario dei genitori: quando il salario era basso la percentuale di mortalità saliva, e viceversa; a causa dell’insufficienza delle entrate, la metà dei bambini era denutrita e moriva prima d’aver raggiunto il quinto anno. Constatò che le cause principali della tubercolosi e delle altre malattie che menavano strage negli slums erano la denutrizione e l’eccessiva durezza del lavoro. Osservò che intorno a lui si ricorreva al bere per narcotizzarsi e dimenticare così le proprie sofferenze; o, prostrati dal destino, si cercava uno stimolo per sferzare le energie. Era ancora la miseria l’alimentatrice della prostituzione che insozzava gli slums.
Da qui l’interesse di Kagawa per le organizzazioni sindacali, delle quale divenne uno dei promotori in Giappone, animando proteste e scioperi contro i grandi gruppi industriali e portuali – proteste e scioperi che all’epoca erano illegali. Kagawa fu dunque pedinato dalla polizia e infine arrestato. Rimase in carcere per due settimane e quando uscì c’era una folla di mille operai ad aspettarlo. Axling però è chiaro nel suo pensiero:
I movimenti operai hanno talvolta la tendenza a mostrarsi aspri e turbolenti, a mancare di correttezza, a eliminare il lato bello della vita. Questo patrono degli operai, tuttavia, era innanzi tutto un idealista. Era artista e poeta per temperamento e per cultura. Si opponeva alla lotta di classe, all’azione diretta, alla violenza. Anche nel culmine dello sciopero, quando le autorità dei docks e della polizia si sforzavano di spezzare il morale degli scioperanti ricorrendo alla forza bruta, egli scongiurava di rispondere ai colpi con l’amore e non con l’odio, e di cercare appoggio nella giustizia della causa e nella loro forza d’animo.
Non vi erano però solo le città, densamente popolate, e piagate dai quartieri poveri. Kagawa scoprì che il numero degli abitanti degli slums cresceva continuamente perché decine di migliaia di contadini lasciavano le campagne per le grandi aree urbane, incapaci ormai di sostentare con il lavoro e i frutti dei campi loro stessi e le loro famiglie, piegati com’erano dai debiti. Questo scatenava una reazione a catena dando vita a tutti i problemi che abbiamo visto (malavita, malattie, prostituzione, gioco d’azzardo), alimentati dalla povertà. Per evitare il pernicioso spopolamento delle campagne – un male che avrebbe colpito tutto il mondo nel XX secolo, un male che i socialismi nazionali europei cercarono, talvolta con successo, di arginare – nacquero dunque associazioni di contadini. I loro scopi erano ben precisi e seguivano un chiaro programma che…
…considerava in sostanza: l’istruzione complementare per le popolazioni di campagna; il perfezionamento delle cooperative agricole di produzione; l’organizzazione del credito; il miglioramento delle abitazioni rurali e delle condizioni sanitarie; l’incoraggiamento dei metodi scientifici d’agricoltura e la fondazione d’una assicurazione sui raccolti.
Kagawa diventa una sorta di “profeta utopista”, uno scrittore, un poeta, un crociato a fianco degli ultimi, che scorge un futuro diverso per il Giappone e il pianeta intero, un domani che però non potrà realizzarsi senza lottare; Axling tratteggia scenari che sembrano rimandare al capolavoro di Fritz Lang, Metropolis:
Egli scorge nel ventesimo secolo tre tendenze che concorrono a complicare la vita. Dapprima i grandi agglomerati urbani con ciò che comportano di pericolo fisico, morale e psicologico. Kagawa dichiara che delle personalità armoniche e complete non potrebbero svilupparsi senza aver per compagni gli alberi, senza i profumi dei prati, senza il ronzio degli insetti e la canzone del vento, senza attardarsi sulla riva di acque tranquille e riposanti, bagnarsi nella luce del sole quand’essa brilla sulle vallate, sulle colline, sul declivio delle montagne; senza insomma comunicare con la natura in tutti i suoi aspetti mistici. Egli considera trentamila anime come la massima popolazione tollerabile d’una città normale, e chiama calamità le città con più di 200.000 abitanti: nell’esistenza contro natura di questi centri sovrappopolati la civiltà procede, con i piedi incatenati, verso una decadenza precoce. La seconda tendenza è lo sviluppo della macchina e il dominio di questa sull’uomo. Ne risulta un’eterna e monotona ripetizione del medesimo gesto che paralizza l’opera creatrice. Ciò fa del lavoratore un automa togliendogli qualsiasi iniziativa; si contrappone al suo istinto creatore, uccide in lui il bisogno di eccellere, soffoca l’ansia del progredire e infine trasforma lui stesso in una macchina, o lo manda ad ingrossare l’esercito crescente dei disoccupati. La terza tendenza è la concentrazione del capitale nelle mani di un numero ristretto di persone, con tutte le inevitabili conseguenze: una sempre più ingiusta ripartizione della ricchezza, lo sfruttamento, la miseria, il determinismo economico.
Una visione politica che potrebbe essere fraintesa. Ma le cose non stanno come potrebbero sembrare:
Kagawa è un «ingegnere sociale » tutto teso a realizzare programmi d’azione piuttosto che a combinare speculazioni accademiche. Tuttavia i suoi programmi sono costruiti su fondamenta ben profonde e su pilastri ben solidi. Crede nel comunismo, ma in quello della Chiesa cristiana primitiva e di Tolstoi piuttosto che in quello di Marx. Contro l’odio di classe del comunismo russo, egli difende e pratica appassionatamente l’amore fraterno. Contro la lotta di classe di Carlo Marx, si fa patrono della non resistenza tolstoiana. Per l’istituzione d’un ordine sociale migliore e più giusto, egli crede piuttosto nell’evoluzione che nella rivoluzione. Intravvede uno stato di cose in cui gli uomini sono vicini l’un l’altro, in cui i valori umani sono al vertice, mentre il denaro e i beni materiali in secondo piano; un ordine in cui lo sviluppo dell’individuo non è più ostacolato da mille impedimenti in cui le ricchezze sono equamente ripartite e i mezzi di sussistenza assicurati a ciascuno. Insiste sul fatto che la ricostruzione sociale deve venire effettuata attraverso cambiamenti successivi e un’organizzazione graduale, piuttosto, che per mezzo della violenza e della distruzione. Egli ricorda con insistenza che le rivoluzioni francese e russa, realizzate l’una e l’altra con la violenza, furono accompagnate da rovine spaventose, sia economiche che morali e spirituali.
Kagawa scrisse infatti:
V’ha un comunismo-furto che proclama: “Quello che è tuo è mio”, e che per conseguenza accaparra senza scrupoli, e un comunismo-donazione che proclama: “Ciò che è mio è tuo”, e che perciò non tiene nulla per sé. Sotto lo stesso nome sono quindi due attitudini esattamente antitetiche.
Negli anni in cui Kagawa predicava il suo sindacalismo pacifista, il suo comunismo-donazione, il suo socialismo cristiano e sempre più gente lo seguiva nei suoi visionari programmi di riforma e leggeva sempre più le sue opere l’idillio con il popolo cominciò a vacillare e…
…s’iniziò l’invasione dell’estrema sinistra con la sua interpretazione materialistica del mondo e della vita, il suo programma antireligioso e mediocre, il suo appello alla violenza. Codesta propaganda volò sulle file degli operai e dei contadini con gli stivali delle sette leghe, dividendoli in due e rendendo la sinistra sempre più forte ed aggressiva. Allorché Kagawa si rifiutò di «veder rosso», di far ricorso alla forza e di porre le classi le une contro le altre, i contadini e gli operai si rivoltarono simultaneamente contro la sua autorità. Gli voltarono le spalle in gran numero e lo lasciarono alla testa d’un movimento di minoranze. (…) Sulle orme dell’estrema sinistra venne il comunismo russo, con la sua propaganda esplosiva. Esso infisse ancora più profondamente il cuneo fra gli aderenti di Kagawa, e minacciò di eclissarlo del tutto. Ma v’è in quest’uomo una tale passione di costruire un ordine nuovo, da trarre la propria forza dall’opposizione stessa, dalla sofferenza e dal sacrificio. Intrepido, abbrancò stretto per la vita questo nuovo avversario. Si rivelò focoso difensore d’una democrazia sociale fondata sul parlamentarismo, il suffragio universale, il rispetto delle minoranze, la libertà per tutti. Attaccò la dittatura del proletariato, l’azione diretta e immediata, la soppressione delle minoranze e la violenza, predicata e praticata dai bolscevichi. Dichiarò che quello era «rinnegare la democrazia, e incatenare la libertà.» Egli era stato l’idolo delle classi operaie; in seguito a queste dichiarazioni divenne il bersaglio delle loro critiche e l’oggetto del loro odio feroce. Lo misero alla gogna come traditore della causa e come alleato della democrazia borghese in cui pur sempre è implicito un certo qual dispotismo. (…) L’Unione dei contadini del Giappone, di cui era stato il genio tutelare, fu pure sgretolata dalla propaganda comunista.
Nella seconda metà degli anni Venti (ovvero poco tempo avanti la pubblicazione della prima edizione americana del saggio di Axling), la galassia del sindacalismo comunista si allontana sempre più dalla figura del profeta degli slums. Kagawa, che per certi versi era stato il loro “padre”, diventa il loro più acerrimo nemico e al contempo si fa più “istituzionale”, sempre meno inviso alle autorità costituite che sopportano il suo predicare il cristianesimo in quanto sostenuto da forti spinte anti-comuniste:
Kagawa, come tutti gli uomini dalle forti convinzioni, che sanno ciò che vogliono e non esitano a dirlo forte, è oggi uno degli uomini più appassionatamente amati e a un tempo detestati dell’Impero: il comunista rivoluzionario ed il socialista antireligioso, come il capitalista sfruttatore che non vede se non il proprio profitto, il politicante reazionario e il clericale adoratore dello statu quo, non vedono più in lui che un fautore di disordini e, conseguentemente, un pericolo. I suoi avversari amano dire che la sua stella è tramontata. Negli ambienti dell’estrema sinistra, ai quali bisogna aggiungere gli studenti marxisti, ha, è vero, perduto del suo prestigio e non è più acclamato come un profeta. (…) La risoluta opposizione della polizia e del governo durante la sua prima attività da molto tempo si è rilassata. Per uno strano capovolgimento, ora è piuttosto ostacolato dal Direttorio del movimento socialista. Quando egli intraprende le sue campagne in provincia, le autorità centrali di Tokyo ne informano spesso in anticipo i direttori delle scuole pubbliche, dando l’istruzione d’accordargli udienza e obbligare gli scolari ad ascoltare i suoi discorsi, malgrado il loro accentuato carattere cristiano. Egli allora, per la sua lotta contro il materialismo antireligioso comunista e rivoluzionario, appare, ed è una situazione ben strana, quasi un emissario delle autorità.
Già nel 1923, quando un potente terremoto devastò Tokyo e altre grandi città giapponesi, causando fino a 100.000 vittime, Kagawa – un tempo guardato con sospetto dalle istituzioni come agitatore – fu nominato membro della Commissione Economica Imperiale che doveva consigliare il Governo sulla ricostruzione. Questo cambiamento di orizzonte di Kagawa e del modo in cui viene percepito, da nemico dell’ordine a fautore di un “nuovo ordine”, porta in Giappone cambiamenti straordinari:
Nel 1926 il Governo, mosso dalle parole e dagli scritti di Kagawa, iniziò la soppressione degli slums nelle sei maggiori città dell’Impero: Tokyo, Osaka, Yokohama, Kobe, Kyoto e Nagoya, da portarsi a termine nello spazio di sei anni, e consacrò all’impresa cinquanta milioni di franchi. È uno degli atti più arditi della legislazione sociale moderna, uno di quelli più lungimiranti. Le abitazioni-carcere di Shinkawa non esistono più. Gli impuri slums delle sei grandi città giapponesi, questi focolai di malattia e queste scuole di delitto, non sono più. Le minuscole catapecchie sono state demolite e grandi case municipali s’elevano al loro posto. Le strette e sudice viuzze hanno ceduto alle strade pavimentate e debitamente munite di fogna. Il sole, la luce e l’aria hanno ora via libera per compiere la loro opera redentrice e benefica. Vorremmo poter aggiungere che anche le folle miserabili che abitavano gli slums non esistono più. Su ciò Kagawa così si esprime: «Migliori condizioni di alloggio non sono tutto. È necessario completarle con un’altra legislazione sociale. È necessario fissare un minimo di salario, casse soccorso-malattia, un’assicurazione contro la disoccupazione, pensioni per i vecchi e per le partorienti, prima che il pauperismo possa dirsi vinto».
Nel 1927 lo vediamo sferzare, durante un convegno religioso, i capi delle tre maggiori religioni del Giappone – il Buddismo, lo Scintoismo e il Cristianesimo – accusandoli di guardare più alle apparenze che al vero obbiettivo della spiritualità: la triste condizione umana. Con il terribile inverno del 1930-31 e con i debiti contratti dall’amministrazione di Tokyo per le opere di ricostruzione dopo il terremoto di otto anni prima lo spettro del crac economico ammorba l’aria: i disoccupati non si contano più e le condizioni di numerose famiglie, soprattutto quelle degli indispensabili battellieri che riforniscono la capitale di merci e derrate alimentari, sono disperate. Kagawa viene incaricato dal sindaco di Tokyo di occuparsi dell’ufficio di beneficenza per alleviare le condizioni dei più poveri e i risultati non si fecero attendere:
Istituì dame visitatrici, fondò dormitori per fanciulli, case di riposo per i loro genitori. Creò undici stabilimenti sociali nei quartieri in cui il bisogno si faceva più vivamente sentire. Prese misure per assicurare, alla gente povera che moriva, funerali decorosi. Cinque mesi dopo la sua entrata in carica, concepì e fece approvare dal Consiglio Municipale un progetto d’assicurazione contro la disoccupazione, grazie al quale i disoccupati di Tokyo vengono registrati dall’ufficio municipale di collocamento, il quale procura loro lavoro oppure versa un sussidio ogni tre giorni finché dura l’ozio forzato. Prevede anche che il lavoro disponibile debba essere ugualmente ripartito fra tutti i disoccupati.
Kagawa viene definito da Axling un “pacifista militante”, un “combattente del pacifismo”; un aspetto della sua personalità che avrebbe frapposto sul suo cammino parecchi ostacoli:
Convinto che i movimenti individuali e sociali debbano fondarsi unicamente sulla forza dello spirito e sulla potenza dell’amore, si dichiara assolutamente contrario alla guerra, così come a tutto ciò che ad essa si riferisce. Egli fu il solo giapponese a firmare il manifesto contro la coscrizione militare, presentato alla Società delle Nazioni, forte dei nomi di Tagore, di Gandhi, di Einstein, di Romain Rolland ed altri illustri esponenti della lotta contro la guerra. Ciò lo fece annotare per primo sulla lista nera dagli ultra-nazionalisti e dai militaristi del suo paese. Nel 1928 creò la Lega nazionale giapponese contro la guerra. Tale organizzazione non comprende solo l’ala destra operaia e proletaria, ma anche gli spiriti progressisti degli ambienti borghesi, intellettuali, religiosi e letterari. (…) Questa iniziativa attirò su Kagawa la collera dei reazionari e degli ultra-nazionalisti; dall’alto dei loro pulpiti, attraverso la stampa, l’accusarono d’essere strumento nelle mani dei pacifisti americani e dei comunisti russi. Lo denunciarono come traditore del paese e sollevarono una tale ostilità contro di lui che la sua vita ne fu minacciata, tanto che la polizia, per proteggerlo, dovette… arrestarlo. Fu pure oggetto di sospetto da parte dei poteri costituiti, che adottarono misure per mettergli il bavaglio, a lui e agli aderenti alla Lega.
Fra le sue numerose “battaglie pacifiche” anche quelle contro le malattie, la prostituzione, il fumo e l’alcol, cause di quasi tutti i problemi che affliggevano gli slums, battaglie combattute con piglio virile, “guerre sociali” che portò avanti arditamente ottenendo numerosi risultati a livello istituzionale:
Kagawa ha scoperto l’equivalente morale della guerra. Attacca di fronte la malattia, l’alcool, il tabacco, i vizi erotici, perché desidera «che i giovani siano moralmente e fisicamente validi e virili». È uno dei capi più attivi dell’Associazione per l’abolizione della lebbra e della Società per l’estirpazione della tubercolosi. In seguito alla sua esperienza negli slums, considera le bevande alcooliche come uno dei flagelli più esiziali della nazione. A Shinkawa era circondato da schiavi del vizio; piangevano dirottamente per cattivarsi la sua simpatia; gli tenevano discorsi interminabili. Certuni restavano seduti per delle ore intere, in profondo silenzio; altri si scatenavano sì da far parere la sua casupola un campo di battaglia. Mai però respinse questi ubriaconi. (…) Codesto pacifista militante, animato da una fede ben munita d’idee, ma armata solo d’amore e di forza spirituale, s’accinge a vincere la sua battaglia. Il Governo ha preso recentemente misure per sradicare la lebbra, costruendo una serie d’ospedali d’isolamento. La nazione affronta seriamente il flagello della tubercolosi. Il movimento antialcoolico s’estende e prende forza: cinquantatré villaggi hanno adottato il proibizionismo; due milioni di membri si sono aggiunti alle leghe di temperanza. I difensori della prostituzione pubblica sono ridotti alle strette. Sette prefetture hanno dichiarato fuori legge le loro case, e campagne sono in corso in altre trentasette per ottenere un decreto che le sopprima.

La vicinanza maggiore con Kagawa il saggista cristiano Axling la sente quando descrive in lui non il riformatore politico-sociale, ma l’evangelizzatore, il “crociato” (così lo definisce nel IX capitolo). Ma forse siamo oltre: Kagawa è essenzialmente un “mistico moderno” (nella definizione del X capitolo) che ha una nuova visione del divino rispetto a quella del Cristianesimo e non rifiuta la Scienza, con una visione di Dio valida quasi erga omnes:
Per lui Dio è infinitamente di più che l’Assoluto, l’Energia Cosmica o l’Impulso vitale. Non è «marginale e vago, ma centrale e dinamico». Egli è il Padre, l’Amico, il Consolatore, il Grande Alleato, tutto ciò che il cuore umano, in tutte le sue età, ha desiderato fosse. La Sua presenza immediata è realtà suprema. (…) Considera tutti i problemi modernamente; accetta le invenzioni della scienza moderna e se ne rallegra. Esamina ogni problema dal punto di vista scientifico altrettanto che da quello mistico. Per comprendere l’uomo, indaga anche la biologia; per prepararsi al suo compito d’«ingegnere sociale», studia a fondo la psicologia e la sociologia, con tutto ciò ch’esse oggi comportano. Nella sua passione di fondare un ordine sociale più giusto, diventa uno specialista di questioni economiche, con tutte le loro ramificazioni, e scruta le molle segrete della finanza contemporanea. I suoi metodi di lavoro sono moderni. Persuaso che ogni nuova capacità dell’uomo sia data da Dio, s’impadronisce di qualsiasi ritrovato e di qualsiasi innovazione, e li utilizza come strumenti venuti dal Cielo per costruire un ordine sociale di cui Dio sia il centro e la volontà direttiva.
Non solo la scienza e la tecnica, e le altre capacità “artificiali” dell’uomo: Dio, per Kagawa, si rivela soprattutto nella Natura, nei suoi aspetti più potenti, anche in un devastante temporale. Una visione che sicuramente va oltre il Cristianesimo e pare tornare alle radici del Paese che gli ha dato i natali.
Nell’undicesimo capitolo (intitolato Alcuni tratti caratteriali) un fin troppo inspirato e entusiasta Axling rasenta di nuovo l’agiografia. Descrive quasi in trance l’aspetto fisico e l’abbigliamento del mistico, insiste sulla “povertà” del suo alloggio, sul suo assoluto disinteresse per il danaro se non come mezzo materiale per aiutare gli sfortunati. Fa di Kagawa una sorta di “santo vivente”, che riesce persino a guarire da una perniciosa cecità:
Le sue sole stravaganze sono quelle che si riferiscono alla fede e alla devozione. Qui non conosce limiti. La sua fede supera tutti gli ostacoli e il suo amore non s’arresta dinnanzi a nessun sacrificio. Egli rasenta ad ogni passo l’abisso della povertà personale nei suoi sforzi incessanti per alleviare quella degli altri. (…) Gli ignudi si rivolgono a lui ed egli li riveste; più e più volte, d’inverno torna a casa, la sera, senza il mantello. I malati confidano in lui ed egli provvede ai loro bisogni. I disoccupati bussano alla porta ed egli li accoglie alla sua tavola. Dà loro asilo, per settimane e settimane. (…) Nella buona società, come fra la gente del popolo, egli indossa la sua tuta operaia da dodici franchi che gli sta come un sacco; ma sotto questo aspetto grossolano non si tarda a scoprire la luce d’un’anima che può infischiarsene del lustro esteriore.
E le donne? Finora abbiamo visto solo prostitute e povere madri… Ma quando Kagawa predicava, accoglieva gli indigenti e persino i criminali da redimere a casa su non era solo. Dietro il mistico, come una fedele ombra, si muoveva sempre una figura femminile, la signora Primavera (Haru), sua moglie e madre dei suoi due figli. Una giapponese anche lei attivista, anche lei convertita alla dottrina cristiana evangelica, anche lei predicatrice, anche lei scrittrice e studiosa delle Sacre Scritture. Fu una specie di alter ego del marito, una donna rimasta comunque “tradizionale” in senso nipponico:
Essa dava da mangiare ogni mattina a dieci o a quindici persone, riceveva da cinquanta a sessanta visitatori al giorno, leggeva centinaia di lettere e ne curava le risposte. S’abboccava continuamente con i dirigenti dell’Unione operaia e con loro prendeva le misure necessarie per mantenere alto il morale degli scioperanti. (…) Ciononostante è persuasa che il focolare resta per la donna il più fertile campo d’azione, che richiede il meglio di lei: abbellire la casa, allevare bene i fanciulli: questo il cammino più sicuro per ricostruire l’ordine sociale. Considera l’educazione famigliare di primaria importanza per la soluzione di alcuni grandi problemi, quali la purezza sociale, la giustizia fra gli uomini, le avversioni di razza e la guerra.

La biografia di Kagawa termina con tale ritratto della moglie, soffuso a tratti di morbida luce spirituale. Il libro si chiude con un appendice dedicata alla raccolta di “pensieri sparsi” del moderno mistico giapponese, estratti da “Meditazioni” e da altre opere, come spiega una nota a piè di pagina. Alcuni – soprattutto quelli che non riguardano direttamente la religione e la fede cristiane – sono davvero interessanti o curiosi. Quello sulle avversità, per esempio:
Non pensate che l’oscurità non abbia a finire: al l’alba, il sole vi saluterà da Oriente. Il temporale non durerà in eterno; quando sarà passato, una gran calma scenderà.
O quello sugli extraterrestri, dove “Marte” può essere letto come paradigma del “pianeta alieno”:
Se degli esseri viventi, dotati d’intelligenza, abitano il pianeta Marte, io credo ch’essi siano fisicamente molto simili alla razza umana di quaggiù. Ammettiamo pure che i principî che governano l’Universo siano di numero illimitato… quelli che reggono la vita non lo sono altrettanto. Inoltre, benché questo sembri, e sia veramente, meraviglioso, le tendenze dell’evoluzione variano poco da una specie all’altra e, in larga misura, sono identiche. Grande, certo, è la distanza fra la Terra e Marte, ma il principio della vita sui due pianeti sarebbe verosimilmente unico, e le tendenze dell’evoluzione non certo differenti. Non si tratta di impennate fantastiche! Lo studio delle tendenze che si manifestano attraverso le molteplici e diverse forme della vita rivela l’esistenza d’un principio fondamentale comune. Questo principio trascende lo spazio. Secondo ogni probabilità, dunque, la vita non fa distinzione tra Terra e Marte.
Oppure le posizioni di Kagawa sulla delinquenza:
Per chi è troppo occupato, anche la possibilità d’affrontare la voce della coscienza è perduta. Se le grandi città pullulano di delinquenti giovanissimi, bisogna ricercarne la causa nel fatto che non si offrono più al fanciullo occasioni di riflettere. L’imperversare della demenza omicida in America, ove la macchina ha compiuto i maggiori progressi, è un fenomeno analogo. Che l’uomo moderno, distaccato dalla natura e privato di raccoglimento, s’allontani dalla religione, si spiega allo stesso modo.
Fanno poi riflettere i pensieri che il mistico espresse riguardo ai rapporti fra le religioni orientali e quelle occidentali, con una sorta di critica ante litteram alle tendenze new age:
In questi ultimi anni, gli Occidentali si son messi a stimare grandemente le religioni dell’India. Queste religioni sono essenzialmente negative. È spiegabilissimo come l’Occidente che brancola sempre più nell’effimero, e che soffre tutt’ora della stanchezza prodotta dalla guerra mondiale, possa essere influenzato fuor di misura dal pensiero negativo dei credo dell’India. Va da sé che un atteggiamento negativo, il quale procuri sicurezza, è una benedizione maggiore d’uno positivo che conduca alla rovina. Ma la negazione incoerente, quella che nega la realtà pur continuando ad aggrapparvisi, deve presto o tardi mutarsi in Mahayanismo basato su una affermazione. Dal punto di vista della logica pura e semplice, credo quindi che per adottare la via negativa non basti allontanarsi da un materialismo in lotta per dei vantaggi, per il piacere e per il potere, ma che sia necessario elevarsi ad un positivismo basato sulla riflessione e su un risveglio di cui la coscienza sia il fattore dominante. La vita trascende negazione e affermazione a un tempo, e c’impegna ad avventurarci verso il mondo ideale. Ma non vi sono frontiere nel regno dello spirito. Budda non è né indiano né giapponese: appartiene al mondo dello spirito. Così è per Cristo: nacque in Giudea, ma non è giudeo. Appartiene al mondo intiero. Che dico? All’Universo! (…) Ugualmente, non dobbiamo elevarne nel mondo dell’anima. Si può essere orgogliosi dell’amor di patria giapponese; ma è puerile tessere l’apologia della conquista nel regno dello spirito. Sono lieto che i Giapponesi abbiano fiera coscienza della loro tradizione nazionale: non è certo necessario essere affetti d’occidentalismo!
E di grande interesse sono infine le posizioni “anti-moderne” di Kagawa riguardo ai più recenti meccanismi di produzione e alle metropoli:
Ogni volta che si torna in città, dopo aver lasciato le bellezze della Natura, ci prende, con forza rinnovata, la certezza che la civiltà moderna si è assurdamente cacciata in un labirinto. La vita è divenuta comoda, progredisce enormemente, ma è innegabile che la semplicità sparisce gradualmente, insieme ad ogni caldo contatto umano. Ciò dicendo, non intendo rinnegare in alcun modo la nostra civiltà meccanica. A mio parere, però, una tazza da tè accuratamente lavorata a mano sembra assai più desiderabile d’una mezza dozzina di quelle fabbricate a macchina. Non m’importa del suo luccichio, il prodotto della macchina finisce sempre per lasciare un’impressione di sazietà. Le cose fatte a mano, invece, per quanto imperfetta e maldestra possa essere la loro esecuzione, ci fanno attenti e ci procurano una soddisfazione sempre crescente. Le città del Medio Evo non avevano le comodità di quelle moderne; ma in ogni loro pietra, in ogni embrice, si nasconde un’intimità umana che ci tocca il cuore, dandoci un senso acuto d’inesprimibile simpatia e benevolenza. Il massimo tollerabile per la popolazione d’una città è di trentamila anime. Quando questo numero è superato, un desiderio folle di radere al suolo questa città mi assale.
Un libro, questo di Axling, che a tratti sorprende, che apre uno spiraglio su un’altra dimensione della spiritualità; non sappiamo se il minuzioso ritratto di Kagawa tratteggiato da Axling corrisponde in tutto e per tutto al Kagawa reale… il lettore critico è invitato ad avvicinarsi a questo pregevole recupero letterario di Iduna per formarsi una propria idea.
William Axling
UN MISTICO GIAPPONESE: KAGAWA TOYOHIKO
Introduzione alla nuova edizione di Riccardo Rosati
Pagg. 260 – € 20,00
Iduna, aprile 2025