11 Dicembre 2024
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Almirante e i “valori” della resistenza

In questo scenario di “costruzione” della Destra Nazionale, dobbiamo soffermarci su una dichiarazione di Giorgio Almirante che, tanti anni dopo, venne ripresa dai fondatori di Alleanza Nazionale per giustificare una delle più incredibili tesi fondative di AN: il riconoscimento – e la condivisione – dei valori dell’antifascismo. Una tesi che cozzava con la storia del MSI, ma che si tentò di far passare in sordina giustificando il tutto con il fatto che anche Almirante, negli anni ’70, aveva condiviso tale impostazione. Cosa ripresa da molti che narrano della storia del Movimento Sociale Italiano, manipolandola in senso destrorso.

Senza andare a citare le centinaia e centinaia di articoli e testimonianze verbali di fede nel fascismo che Almirante fece prima e, soprattutto, dopo tale “fatal dichiarazione”, cercheremo di fare chiarezza su un tema così sfruttato dai destronazionali diventati poi alleanzini o alleatinazionali che dir si voglia, ricordando che il Segretario del MSI fu sempre quello che su “Il Secolo d’Italia”, il 28 Aprile 1956, scrisse qualcosa che farebbe accapponare la pelle a qualsiasi politico di destra:

Lo hanno ammazzato ma non sono riusciti ad ucciderlo.

Mussolini è odiato dagli antifascisti; ma sono proprio loro che gli rendono involontario omaggio, anche nell’odio. Lo perseguitano come un vivente. Gli negano la parola, quasi fosse ancora un tribuno. Ne cancellano l’effige, quasi potesse ancora trascinare le folle. Ne scalpellano le insegne, quasi potesse levarle ancora in alto vittorioso.

Odio impotente e inerte: perché la piccola povera gente gli vuol bene.

Gli vuol bene il contadino comunista dell’Italia meridionale, gli vuol bene il repubblicano romagnolo, gli vuol bene lo schietto socialista toscano.

Se ci fosse lui… Non è nostalgia, non è retorica, non è fanciullaggine: è l’anelito umano verso talune costanti della morale e della storia, che Egli impersonò, che Egli impersona tuttora.

Questa è, a nostro avviso, la spiegazione del fenomeno: la sua vera, profonda ragione umana. Ci sono nella vita valori contingenti che spesso hanno il sopravvento, ma rapidamente decadono.

Ci sono valori costanti, che fanno l’uomo, fanno il popolo, fanno la Nazione, fanno lo Stato, fanno la civiltà. Li fanno al di là e al di sopra delle vittorie e delle sconfitte.

Ecco perché Mussolini oggi è vivo.

Egli rappresenta una delle costanti umane del nostro popolo. Noi siamo rinati per dire e dimostrare agli italiani che Mussolini è grande, cioè che Mussolini è vivo, cioè che Mussolini è attuale, e li può aiutare ancora, li può sollevare ancora, lo può riunire ancora.

Ma oggi Mussolini è al di sopra e al di fuori della tattica; e tuttavia, per chi lo ha amato e compreso, non è al di sopra né al di fuori delle vicende del nostro Paese.

È qui, vivo con noi: vivo nelle grandi costanti della sua politica e della sua umanità, nelle grandi linee direttrici della sua battaglia. Fu tante cose, certo; ma fu sempre Nazione, fu sempre mediazione tra individualismo e collettivismo, tra capitalismo individuale e capitalismo di Stato, tra liberalismo e marxismo; cioè fu sempre Fascismo.

Chissà se gli attuali suoi estimatori avrebbero mai il coraggio di mettere una firma sotto un articolo del genere… ma veniamo alla “fatal dichiarazione”.

Diversi studiosi ed esponenti della destra sostengono che il Segretario del MSI, nella “Tribuna elettorale” del 19 Aprile 1972, riconobbe alla Resistenza un “valore di libertà”. Una dichiarazione – se fosse vera – che potrebbe, conoscendo Almirante e la sua storia, essere bollata tutt’al più come una sparata elettorale, fatta alla vigilia delle elezioni, sotto la pressione della violenza antifascista e delle inchieste della Magistratura, in nome della pacificazione nazionale. Una pacificazione che trovava consenzienti tutti i missini, comunque orgogliosamente schierati su posizioni nostalgico-fasciste: nelle sezioni garrivano ancora i neri labari della Rivoluzione fascista ed i quadri del Duce erano venerati come sempre.

Dichiarazioni, quelle almirantiane, che – se fossero vere – probabilmente andarono oltre le intenzioni che si vogliono oggi affidare a lui, come “anticipatore” di alcune tesi di rinnegamento tipiche della nuova destra democratico-liberale. E il precedente giudizio positivo di Almirante sul golpe dei Colonnelli greci dovrebbe chiarire la situazione[1], così come le contemporanee e chiarissime affermazioni del calibro: “Sotto la specie ideologica e politica, ci preme invece dichiarare che il MSI dichiarandosi continuatore dell’esperienza fascista, ritiene di inserirsi in un filone positivo della civiltà italiana” (“All’Erta”, 25 Giugno 1969); “Il MSI intende assumere una posizione sociale avanzata nell’ortodossia fascista, una posizione che non intendiamo assolutamente mollare” (“Il Secolo d’Italia”, 18 Settembre 1970).

Ma allora? Come mai questo “scivolone” così in contraddizione con quanto fatto, detto e sostenuto fino a qualche giorno prima?

Che sotto ci fosse qualcosa di “strano” lo abbiamo sempre immaginato, anche se non ha mai destato il nostro interesse perché conoscevamo bene la realtà fascista del MSI e poco valore abbiamo sempre dato alle “sparate” in campagna elettorale. Però, la centralità ottenuta da questa presunta dichiarazione – mai riportata integralmente! – e l’oblio cui furono confinate le decine di altre che la contraddicevano ci hanno indotto, in questa occasione, ad una doverosa precisazione. Non per “comprendere” cosa disse durante una delle centinaia di tribune politiche pre-elettorali il Segretario del Movimento Sociale Italiano, cosa del resto relativa e di poca importanza, ma per smascherare il tentativo di autogiustificazione di chi, a Fiuggi, rinnegò il proprio passato e scelse l’antifascismo.

Almirante, il 19 Aprile 1972, tenne una conferenza stampa televisiva, riportata integralmente da “Il Secolo d’Italia” il giorno successivo[2]. Il Segretario del MSI esordì denunciando il pericolo dell’avanzata elettorale del PCI, che aveva trovato un argine solo grazie alle recenti vittorie missine.

Ovviamente, non era del programma politico del Movimento Sociale Italiano che si intendeva parlare. Almirante venne subito attaccato dal giornalista Ennio Ceccarini de “La Voce Repubblicana” che, stigmatizzando l’utilizzo della parola “libertà” durante la campagna elettorale missina, lesse alcuni brani “filo-nazisti” e “antisemiti” di Pino Rauti, candidato del MSI, all’epoca ristretto in galera per la falsa accusa di strage. Il Segretario missino non si fece certamente spiazzare ed espresse tutta la sua solidarietà al camerata incarcerato ingiustamente, mostrando le doti di un capo che difende i suoi militanti, anche quando non conviene. Un atto d’onore che farebbe impallidire ogni esponente della “destra di Governo” contemporanea, sempre pronta ad abbandonare in pasto alla canea antifascista i propri iscritti in caso di “scivoloni nostalgici”, per una semplice foto privata postata sui social o per una esternazione non politicamente corretta. La viltà è la prima qualifica del traditore. Almirante, invece, si schierò al fianco del suo camerata “nazista” ed “antisemita” Pino Rauti.

Essendo gli scritti “filo-nazisti” ed “antisemiti” incriminati, precedenti al rientro nel MSI di Rauti, Almirante ebbe facile giuoco a liberarsi da ogni accusa, condannando ogni tipo di razzismo ed antisemitismo che, del resto, nel MSI non avevano mai trovato sponda. Così come evitò abilmente l’accusa di essere un conservatore, ben evidenziando le differenze tra la destra conservatrice e la Destra Nazionale, rilanciando il programma di rinnovamento missino: Repubblica presidenziale; Parlamento aperto non solo alla rappresentanza politica, ma anche agli interessi delle categorie produttive; collaborazione organica tra lavoratori e datori di lavoro.

Nel momento in cui Almirante lanciava l’operazione di Destra Nazionale riaffermava i cardini base del corporativismo e della socializzazione, prendendo le distanze dai conservatori e dalla Confindustria, con cui – specificava – si era in «pessimi rapporti». Ovviamente, siamo ben lontani dalla “destra di Governo” liberal-democratica, sia chiaro!

Il Segretario del MSI riaffermò anche la necessità dell’attuazione degli Articoli della Costituzione “congelati” come il 39 (riconoscimento giuridico dei sindacati), il 40 (regolamento del diritto di sciopero) e il 46 (socializzazione). Infine, giunse al problema della pacificazione nazionale di cui si era fatto alfiere, sebbene – evidenziò – questa ricerca di pacificazione fatta da un partito contro il quale esistevano leggi eccezionali, contro il quale si esercitava una persecuzione e una repressione senza precedenti, potesse sembrare una «capitolazione opportunistica». Almirante non aveva nessuna intenzione di capitolare, né di rinnegare un bel nulla.

«Ho avuto questo coraggio, abbiamo avuto questo coraggio, perché? Perché l’Italia, a 25 anni dalla fine della guerra civile, ha bisogno di pace e nessun problema – soprattutto i problemi economici e sociali, e quelli sofferti dal Mezzogiorno – può essere risolto se non in clima e in spirito di unità, non rinunciando ciascuno alle proprie idee, ma dibattendole per quelle che esse sono alla luce di una realtà attuale. Debbo anche dire che la revisione da me compiuta con coraggio è stata voluta non in termini di moralità, ma anche in termini di intelligenza. Sono un uomo che ha vissuto liberamente e sottolineo liberamente tre esperienze: quella del Regime fascista – avevo pochi anni, comunque l’ho vissuta – quella della Repubblica Sociale Italiana, che fu per me una scelta, e quella della battaglia in democrazia, che è stata per me, fin dall’inizio, anch’essa una scelta. Nel corso di queste tre esperienze e soprattutto della terza – la più lunga e indubbiamente per me la più importante – ho cercato di riflettere, di capire, di rivedere. Non uso mai la parola rinnegare se non in taluni casi, perché chi rinnega è un rinnegato; uso volentieri la parola rivedere e rinnovare, perché penso che questo sia stretto dovere di un uomo politico dotato di senso di responsabilità […].

Noi siamo per una scelta di libertà, abbiamo imparato ad amarla ed apprezzarla, io personalmente – l’ho detto altre volte alla televisione – ho imparata ad amarla ed apprezzarla soprattutto in questi 25 anni, perché me la sono conquistata piazza per piazza, città per città, e ora sto cercando di buttarmi dietro le spalle il bagaglio di tutte le persecuzioni e di poter parlare civilmente a Italiani che civilmente ascoltano».

Il Segretario del MSI – non rinnegando nulla del suo passato… e del suo presente! – specificava che il MSI era un partito moderno ed amava la “libertà” quanto – se non più – degli altri partiti, quei partiti che dell’odio antifascista avevano fatto un delinquenziale “affare”; che non esitavano, da un paio di decenni ormai, a perseguitare chi non la pensava come loro; che avevano chiesto più volte lo scioglimento del Movimento Sociale e ne vietavano costantemente le attività; quei partiti che aizzavano la piazza alla “caccia al fascista” contro gli iscritti ad un partito che vedeva quotidianamente i suoi militanti arrestati senza un perché. Questa era la “libertà” del sistema democratico?

Almirante venne poi messo davanti all’evidenza che, essendo il MSI un movimento fascista, nessun altro partito avrebbe mai voluto allearsi con lui, neanche il PLI di Giovanni Malagodi. Quest’ultimo respingeva addirittura il termine generico di “destra” proprio per non essere accostato alla fiamma tricolore. Davanti questo scenario, secondo i giornalisti presenti, ogni voto dato ai missini era un voto sprecato, perché mai sarebbero entrati in una coalizione governativa per il loro “vizio di origine”. Rispose il Segretario del Movimento Sociale Italiano messo alle strette:

«I comunisti sono riusciti a dare ai vari termini i significati propagandistici che ad essi convengono. A questo punto il fascismo è sinonimo di dittatura, totalitarismo, guerra, razzismo, antisemitismo, insomma tutti i mali e le sciagure. Non si tratta – e vorrete darmene atto perché non lo dico per difendere alcuna posizione – di giudizi storici, che verranno. Si tratta di tesi polemiche e propagandistiche, una parte di fondatezza e di verità, ma che contengono anche senza dubbio una parte di forzatura. Ora, premesso che il fascismo è tutto il male, quando io vengo chiamato fascista, evidente mi ribello, come mi ribello quando si dà l’epiteto di fascista al Movimento Sociale. Se si giungerà ad un giudizio storico – e quando vi si giungerà – ognuno potrà prendere posizione a riguardo. Vorrei che invece che alle parole si guardasse ai contenuti. Vi trovate di fronte a un partito politico il quale ripudia la dittatura, il totalitarismo, il razzismo, l’antisemitismo, il metodo e l’uso della violenza. […] Vi prego di tenere conto di quello che dico in questo momento, dopo di che, chiamatemi come volete non me ne importa, non me ne offendo, non ho la “pruderie” di certa gente che, non essendo mai stata – non alludo ad alcuni, ma alludo a tantissimi – antifascista quando era l’ora di esserlo, lo è diventata dal 26 Luglio 1943, ore 10 o 11 del mattino. Non ho questa “pruderie”, non ho nulla da nascondere, ripeto, né da rinnegare».

Almirante evidenziava come l’egemonia culturale della sinistra era giunta persino a manipolare i significati delle varie parole. Lo stesso termine “fascismo” era stato staccato dalla realtà e utilizzato per dipingere il “male assoluto” d’occasione: in generale tutti criminali – qualunque fosse il loro credo e il loro crimine – erano “fascisti”. Stando così le cose, ormai fossilizzata nella pubblica opinione l’equazione “fascismo=criminalità”, il Segretario del MSI non ingaggiava la battaglia dei termini, considerata una perdita di tempo, e si diceva assolutamente contrariato dal fatto che l’etichetta “fascista” – così come manipolata dai comunisti – potesse essere affibbiata a lui o al suo movimento. Ovvietà.

Accusato da un giornalista di aver esaltato in un suo ultimo comizio l’esperienza della Repubblica Sociale Italiana, Almirante intervenne magistralmente, dosando attentamente le parole e sfuggendo dal “vicolo cieco” in cui si cercava di chiuderlo, utilizzando le stesse armi di chi voleva incastrarlo:

«Lei è stato a Milano ed io ne sono veramente lieto perché non potrà smentire quello che ora sto un po’ clamorosamente per dire ai colleghi della stampa e ai telespettatori. A Milano mi sono permesso di esaltare la Resistenza e sono stato vivamente applaudito dai miei ascoltatori come lei avrà potuto notare. Ho fatto a Milano l’esaltazione dei valori della Resistenza, se è vero, come voi dite, che i valori della Resistenza coincidono con i valori della libertà e con i valori della non discriminazione e della non persecuzione. Da ora in poi, vi avverto, sarò portatore, a nome della Destra Nazionale, dei valori della Resistenza contro i prefascisti e nostalgici che continuano a tenere il Paese immerso in un clima di guerra civile».

Se la Resistenza era stata una bandiera di libertà, di non discriminazione per gli altri, di non persecuzione di chi la pensa diversamente, Almirante non poteva che “battere le mani”, riconoscendo questi valori come bandiera del suo MSI. Ma Almirante – e i missini tutti – sapevano che la Resistenza non era stata questo. La lotta armata per il comunismo, lo sterminio degli inermi, la selvaggia epurazione, la discriminazione e la persecuzione di cui furono oggetto decine e decine di migliaia di Italiani, i fascisti se li ricordavano bene. I missini sapevano cosa era stata la Resistenza! Per averla combattuta in armi!

Almirante, semplicemente, in nome dei tanto sbandierati ideali della Resistenza di cui si facevano alfieri gli antifascisti chiedeva la libertà per il Movimento Sociale Italiano, la fine delle leggi eccezionali, delle persecuzioni, della ghettizzazione e della repressione. Cosa che all’epoca era una “eresia”, se si pensa che nella stessa “Tribuna Elettorale” il giornalista Gironi de “L’Umanità” (organo ufficiale del PSDI) esordì dichiarando che «con i fascisti, o con gli eredi dei fascisti, non sia possibile intavolare un dialogo». I valori della Resistenza verrebbe da dire…

Siamo ben lontani, quindi, da quanto fino ad oggi si è voluto far credere per giustificare l’incredibile tesi fondativa antifascista di Alleanza Nazionale. Almirante, in quella conferenza stampa tanto citata, non solo non rinnegò un bel nulla, non solo ammise di non avere “pruderie” antifasciste, non solo rivendicò la validità dell’alternativa corporativa e della socializzazione, non solo prese le distanze dalla destra economica e conservatrice e da Confindustria, ma “mise in mora” gli antifascisti utilizzando le loro stesse bandiere: gli ideali di “libertà” che – loro dicevano – essere nel DNA della Resistenza. Ma non solo, subordinò l’utilizzo di questi ideali ad una condizione più che problematica. Infatti, il Segretario del MSI ben specificò nel suo discorso che avrebbe esaltato i valori della Resistenza «se è vero, come voi [antifascisti] dite» che questi valori coincidessero con la “libertà”. E sappiamo bene di quale “libertà” parlavano i partigiani comunisti, ossia la massa combattente della Resistenza; quale “libertà” veniva concessa ai missini dagli antifascisti in quegli anni.

Almirante prese in giro gli antifascisti, in quanto i missini ben sapevano delle falsità della vulgata resistenziale. Falsità apprese non solo leggendo periodici come “L’Ultima Crociata” o le sconvolgenti inchieste di Giorgio Pisanò, ma per aver combattuto contro la Resistenza nel biennio 1943-1945, scegliendo la bandiera della Repubblica Sociale Italiana. Una scelta rivendicata con orgoglio e non certo rielaborata – rinnegata o storicizzata – per esigenze elettorali.

Stesse considerazioni di quanto sopra per le successive dichiarazioni, risalenti al 30 Gennaio 1975, spesso dimenticate – per ignoranza – da alcuni cronisti in cerca di un “Almirante-afascista” e che noi vogliamo ricordare per dovere di completezza: «Il MSI-DN non è la diretta discendenza del movimento fascista, ma una revisione critica del Fascismo: noi non siamo né fascisti, né antifascisti, ma, come tutti, postfascisti».

Dichiarazioni ovvie per un uomo e un movimento politico sotto giudizio penale per ricostituzione del Partito Fascista, criminalizzati per qualunque cosa, con i loro ragazzi perseguitati ed ammazzati per il solo fatto di esistere. Cosa doveva dire? «Io e il MSI siamo fascisti! Arrestateci tutti!».

Probabilmente, per qualcuno sì…

Nello stesso scenario – di persecuzione e di criminalizzazione – va inquadrata la partecipazione del MSI alle manifestazioni per il trentennale della Resistenza del 25 Aprile 1975. Ma anche in questo caso non ci fu nessun riconoscimento del “valore della Resistenza antifascista”. La partecipazione sincera dei dirigenti missini fu dovuta alla volontà di raggiungere la pacificazione nazionale, di superare gli odi politici, di finirla con le divisioni della guerra civile. Il MSI era pronto a tutto ciò e lo dimostrava. Gli altri? Assolutamente no!

Almirante, avvicinando De Marzio favorevole a questa operazione, ben specificò che oltre non si sarebbe andato. Non ci sarebbe stata un’altra umiliazione. Pose delle Colonne d’Ercole che mai – e specificò mai – nessun missino avrebbe superato.

Concludiamo questo paragrafo ricordando che mai i missini ebbero libertà di parola nel sistema nel quale si trovarono, obtorto collo, a vivere. Per le leggi che impedivano loro di esprimere opinioni e di associarsi liberamente secondo la propria visione del mondo. Leggi che, più volte, spesso senza che vi fosse necessità, vennero applicate contro gli esponenti del MSI, incarcerati e condannati per semplici reati di opinione. Accusati, solo in virtù del loro pensiero, di questo o quel crimine, anche atroce, in realtà mai commesso. La criminalizzazione del pensiero, del resto, rendeva superfluo provare l’azione criminale: “I fascisti non potevano non aver commesso un crimine”. Punto e basta e… in galera!

Di conseguenza, i missini si trovarono dapprima costretti a modulare la loro “associazione” per renderla legalmente presentabile secondo le leggi del sistema e, quindi, ecco la nascita del MSI, che si chiamò così solo perché ricostituire il Partito Fascista era impossibile. Secondo, subentrò la necessità di modulare anche il linguaggio verso l’esterno per non essere accusati ogni due minuti di apologia di fascismo, stemperando atteggiamenti e posizioni solo per le necessità contingenti di non andare in carcere per un semplice reato di opinione. Il linguaggio esterno – quello su cui si basano troppo studiosi di destra – non era certamente quello interno alle Sezioni!

Vi è da aggiungere che un partito fa politica e non storia, per cui era del tutto ovvio impegnarsi a risolvere i problemi del presente e del futuro, anziché rivangare un passato tanto “scomodo”, quanto criminalizzato. Per questo, Almirante – e gran parte dei missini che, per miracolo, riuscivano ad essere intervistati – quello che pensava del fascismo non lo andava certamente a dire in pubblico, anche se non mancarono prese di posizioni chiarissime ed inequivocabili – sulle quali torneremo – che metterebbero orrore a qualsiasi esponente della destra democratica-liberale. Anche a quelli che, oggi, con Almirante si riempiono la bocca. A sproposito.

 

 

Tratto da: P. Cappellari e I. Linzalone, La rivolta ideale 1993-1995. Nascita e tramonto del Movimento Sociale Italiano. Le radici, l’identità e l’opposizione al sistema, Passaggio al Bosco, Firenze 2022, vol. I, pagg. 90-100.

[1] Cfr. intervista di Ennio Ceccarini a Giorgio Almirante, in https://www.youtube.com/watch?v=P8hDbPUtfk4 (Gennaio 2017).

[2] Cfr. Un voto per cambiare l’Italia ingovernabile, “Il Secolo d’Italia”, a. XXI, n. 98, 20 Aprile 1972.

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