5 Dicembre 2024
Ahnenerbe

Alla ricerca delle origini, prima parte – Fabio Calabrese

Sabato 20 novembre 2021 sono stato invitato a tenere presso il gruppo de “Il Drago Verde” di Udine una presentazione del mio libro Alla ricerca delle origini. Sintetizzare 270 pagine di testo, e che per di più affrontano una vasta gamma di tematiche storiche delle quali è difficile presupporre nell’ascoltatore medio una conoscenza sia pure approssimativa, in uno scritto relativamente contenuto, si è dimostrato un compito per nulla facile. Tuttavia, come dico sempre: “Per i miracoli ci vuole tempo, ma le cose impossibili le faccio subito”. Quello che segue è il testo della presentazione da me tenuta, e credo costituisca un buon ripasso delle nostre tematiche.


Il testo che vi presento è un’indagine sulle nostre origini condotta al difuori di ogni scuola e di ogni dogma. Vorrei per prima cosa raccontarvi come è nato questo libro. Il primo germe di esso nacque molti anni fa da una discussione piuttosto accesa che ebbi con una collega nella sala docenti di una scuola dove allora insegnavo. Questa signora osservò che le pareva strano che l’invenzione delle staffe come finimenti per cavalli fosse un’invenzione europea, poiché a suo dire gli Europei non avevano mai inventato nulla. Peraltro, costei non affermava nulla di originale, ma si limitava a riportare un’opinione comune fra i patiti di orientalismo.

L’osservazione mi urtò profondamente nel mio orgoglio, nel mio, diciamolo pure, patriottismo europeo. Reagii, affermando in primo luogo che se anche le staffe fossero state l’unica invenzione europea, non era una cosa così da poco come sembrava pensare, basti pensare che prima della loro invenzione un cavaliere per reggersi, doveva sempre tenere una mano sul collo del cavallo, mentre con esse, il suo peso si scarica verticalmente ai due lati dell’animale, e in combattimento ha entrambe le mani libere per impugnare la spada o la lancia e lo scudo, fu l’invenzione delle staffe a trasformare la cavalleria franca dell’epoca carolingia nella più potente macchina bellica del tempo, e a permetterle di fermare lo slancio conquistatore degli Arabi nella battaglia di Poitiers, uno scontro davvero epico, durato tre giorni e due notti, nel quale sembrava che nei guerrieri Franchi si fosse incarnato lo spirito dell’Europa che non accettava di essere trasformata in un pezzo di islam.

Ma naturalmente non bastava, le buttai addosso, nonostante pesassero parecchio, i complessi megalitici di Newgrange e Stonehenge, i tolos micenei, l’ascia di rame dell’uomo del Similaun, il più antico attrezzo metallico conosciuto, che suggerisce appunto il fatto che una scoperta fondamentale come quella dei metalli sia avvenuta nel nostro continente.

Senza contare le invenzioni dell’Europa di carattere intellettuale e spirituale: la filosofia greca, lo spirito giuridico e amministrativo dei Romani, la fantasia mitopoetica dei Celti che ha ancora una presa così forte sull’immaginario moderno. Credo che poche discussioni in una sala insegnanti si siano concluse con un KO così netto.

Non mi bastava aver avuto ragione, volevo essere certo di avere ragione, così ho intrapreso una serie di ricerche i cui risultati ho poi riportato sul sito di “Ereticamente” in tre serie di articoli, Ex Oriente Lux, ma sarà poi vero?, Una Ahnenerbe casalinga, L’eredità degli antenati. Il quadro mi divenne man mano più chiaro, nel senso che la menzogna orientalista non è che una parte di una serie di menzogne tendente a mistificare le nostre origini per fini politici che nel loro insieme costituiscono la visione truffaldina “politicamente corretta” della democrazia.

Altre menzogne “politicamente corrette” sarebbero quella della nostra presunta origine africana come specie, e quella che ci riguarda molto da vicino come italiani, secondo la quale come popolo saremmo tenuti insieme dalla conformazione della nostra Penisola e da un lieve collante culturale, ma da nessuna omogeneità etnica. Lo scopo di tutto ciò è molto chiaro: da un lato le teorie africano-centriche sulle nostre origini hanno lo scopo di promuovere un atteggiamento favorevole verso coloro che ci invadono dalla sponda opposta del Mediterraneo, dall’altro la negazione degli Italiani come etnia ha lo scopo di persuaderci che con questa invasione e il conseguente meticciato, non perderemmo nulla di essenziale.

L’Out of Africa non è nemmeno una teoria chiaramente formulata, ma una falsificazione grossolana ottenuta confondendo due piani temporali, l’origine degli ominidi milioni di anni fa, e quella dell’Homo sapiens che si suppone molto più recente, attorno ai 200-100.000 anni fa, ma non è nemmeno vero che gli ominidi, presunti, sottolineo presunti precursori della nostra specie, fossero presenti milioni di anni fa soltanto in Africa. Una scoperta che ha provocato inconsulte reazioni di rabbia nei democratici antifascisti, è stata quella di un ominide europeo i cui resti sono stati rinvenuti nei Balcani, il Graecopithecus Freibergi, confidenzialmente detto “El Greco”, nemmeno assieme alle sue ossa fosse stata trovata una tessera fossile del PNF o del NSDAP.

La prova definitiva, la pistola fumante, per così dire, tuttavia viene dalla paleogenetica, la scienza che studia il DNA antico e lo compara con quello moderno: essa ha chiaramente rivelato una storia di ripetuti incroci fra i nostri antenati Cro Magnon con gli uomini di Neanderthal, che non erano affatto i bruti scimmieschi come tante volte sono stati raffigurati, e un’altra varietà umana recentemente scoperta, gli uomini di Denisova. L’appartenenza a una medesima specie è definita dalla possibilità di accoppiarsi generando una discendenza feconda. Cavalli e asini, accoppiandosi generano discendenti sterili, i muli, e le due specie rimangono separate, ma nel nostro caso non è così, questa discendenza fertile esiste, e siamo noi. Neanderthaliani e denisoviani erano dunque Homo sapiens, semmai separati da noi da una differenza – uso una parola che fa inorridire i buoni democratici – razziale. Che senso ha allora sostenere che Homo sapiens sarebbe “uscito dall’Africa” meno di centomila anni fa, quando era presente in Eurasia da centinaia di migliaia di anni? Nessuno, a parte la propaganda pro-immigrazione.

Questo, tuttavia, è il quadro generale, nel libro mi sono concentrato soprattutto su una tematica più specifica. Quella che la civiltà sarebbe nata in Medio Oriente e arrivata in Europa attraverso un complicato passaparola tra Egizi, Babilonesi, Assiri, Fenici, Ebrei, Persiani, Greci, Romani, è la storia che trovate raccontata in tutti i libri di testo, dalle elementari all’università, si tratta tuttavia di una concezione non meno falsa dell’Out of Africa.

Vi riferisco in sintesi quanto affermato da Colin Renfrew, considerato il maggiore archeologo vivente, nel suo testo Before Civilization (Prima della civiltà) nel 1973. Finora, spiega, si è sempre supposto che le più antiche civiltà europee derivassero da quelle mediorientali, ma oggi il radiocarbonio e la dendrocronologia che ci permettono finalmente di disporre di date certe, ci dimostrano che non è così. Tutti i collegamenti saltano. I grandi complessi megalitici europei come Stonehenge e la magnifica tomba irlandese di Newgrange furono portati a termine ben prima che in Egitto a Giza si costruissero le piramidi. Gli antichi Europei avevano realizzato opere ingegeristiche notevoli, fondevano il bronzo, avevano inventato ingegnosi strumenti per la misurazione del tempo, senza alcun apporto mediorientale e prima che in Medio Oriente.

Di acqua sotto i ponti, dal 1973 a oggi ne è passata parecchia, tuttavia non è difficile constatare che della rivoluzione del radiocarbonio prevista/auspicata da Renfrew, non si è vista traccia, e si continuano a raccontare le solite favole mediorientali di falsità ormai provata. Non è il solo esempio di censura di intere categorie di fatti in ambito scientifico. Nello specifico, noi capiamo che al grosso pubblico non deve essere fatto trapelare nulla che possa risvegliare l’orgoglio europeo.

Vi sono però dei paletti che è opportuno mettere al nostro discorso. Quando parlo dell’Europa, intendo riferirmi al nostro continente, ai popoli, alle culture che l’hanno abitato dalla preistoria a oggi, non intendo in alcun modo riferirmi a quell’organizzazione parassitaria, la cosiddetta Unione Europea, la UE, che è l’Europa tanto quanto un tumore è l’uomo che ne è affetto e in realtà non è che la sponda su questo lato dell’Atlantico del dominio planetario mondialista. Allo stesso modo, la polarità contraria all’Oriente non è l’Occidente ma l’Europa. Questo termine che un tempo indicava l’Europa e i Paesi di cultura europea (Americhe, Australia, Nuova Zelanda, eccetera) ha dopo il 1945 completamente cambiato di segno a causa dell’emersione nell’ambito occidentale degli Stati Uniti come potenza egemone, Stati Uniti portatori di una “cultura” (le virgolette sono più che mai d’obbligo) derivata da quella europea, ma in maniera del tutto distorta e mutila. Io consiglierei a tal proposito la lettura dello stupendo saggio di Sergio Gozzoli L’incolmabile fossato, pubblicato parecchi anni fa su “L’uomo libero”, ma che dovrebbe essere sempre reperibile in internet, e che ho citato nel mio libro. L’incolmabile fossato, o che potrà essere colmato solo dal cadavere dell’Europa, è quello che separa le due sponde dell’Atlantico.

A ciò si può aggiungere che durante la Guerra Fredda abbiamo probabilmente sottovalutato gli effetti negativi dell’americanizzazione, un vero veleno che distrugge la cultura europea. Occidentalismo, in pratica significa servilismo verso il padrone americano, nulla con cui possiamo neppure lontanamente avere a che fare. Io ho anche dedicato all’argomento alcuni articoli su “Ereticamente” alcuni articoli molto chiari fin dal titolo: La malattia Occidente. Noi possiamo infatti paragonare l’americanizzazione della nostra cultura a una malattia, purtroppo non una malattia o un’invalidità stabile come una paraplegia, ma progressiva come una distrofia muscolare.

Altro paletto: c’è Oriente e Oriente. Dal Medio Oriente semitico non sono venuti all’Europa altro che elementi di dissoluzione, ma questo giudizio non può certo essere esteso al mondo estremo orientale L’estremo oriente con le grandi civiltà cinese e giapponese rappresenta un mondo a cui è meglio non accostarsi con superficialità: culture antichissime e diverse da noi, ma più che meritevoli di rispetto, tuttavia un mondo che per certi versi ci appare più “nostro” di quello in cui viviamo, perché non contaminato da influenze mediorientali, basta pensare per tutti al bushido nipponico, il codice etico dei samurai.

Che dire dell’India? È da lì, dai Veda, i testi sacri indiani, che viene la dottrina delle quattro età, che è un po’ il cardine di tutto il pensiero tradizionalista.

Concentriamoci però ora sull’Europa. La scoperta dell’agricoltura che ha permesso l’abbandono dello stile di vita del cacciatore nomade e la creazione di civiltà stabili, è un passaggio cruciale nell’incivilimento umano. Dove è avvenuta. Sebbene senza prove, generalmente si suppone sia avvenuta in Medio Oriente, vi sono invece almeno delle prove indirette che suggeriscono che sia avvenuta in Europa: l’allevamento bovino e la scoperta dei metalli. La prova che l’allevamento dei bovini sia stato introdotto in Europa è di tipo genetico: la tolleranza al lattosio in età adulta è un adattamento darwiniano al nuovo tipo di alimentazione che l’allevamento bovino ha reso disponibile, essa è massima nelle popolazioni del nord e del centro dell’Europa, e in quelle di origine europea del Nordamerica e dell’Australia, e diminuisce man mano che ci si sposta verso il sud e l’est, d’altronde gli ultimi uri, i bovini selvatici da cui sono discese le nostre razze domestiche, vissero in Polonia fino al XVIII secolo.

Che la scoperta dei metalli sia avvenuta in Europa è fuori dubbio: non solo l’ascia dell’uomo del Similaun è il più antico attrezzo metallico conosciuto, ma la miniera sfruttata più antica che si conosca si trova a Rudna Glava, nella ex Jugoslavia.

Cosa hanno a che vedere i metalli con l’agricoltura? Gli uomini paleolitici erano giunti a produrre strumenti litici di notevole raffinatezza ed efficienza, il loro abbandono in favore del metallo può essere spiegato con i tempi lunghi della loro produzione, non più in grado di soddisfare le esigenze della crescita della popolazione, ma crescita demografica significa agricoltura, perché le condizioni di vita dei cacciatori nomadi, la limitata disponibilità di risorse, impediscono alle loro tribù l’incremento demografico. Una volta realizzato un crogiolo, è possibile fondervi attrezzi a ripetizione in tempi brevi, venendo incontro alle esigenze di una popolazione crescente, una popolazione agricola.

Un altro importante esempio, la scrittura. Le scritture si distinguono in ideografiche, in cui un segno rappresenta un concetto, sillabiche e alfabetiche, in pratica però quasi tutte le scritture non alfabetiche, dai geroglifici egizi alle moderne scritture cinese e giapponese, sono una mescolanza di ideografico e sillabico. L’immenso vantaggio di una scrittura alfabetica rispetto alle altre, è il fatto di poter rappresentare qualsiasi concetto con poco più di venti segni invece che con centinaia. Questo ha reso possibile il possesso della scrittura da parte della massa della popolazione invece che di una casta di scribi specializzati.

Solitamente l’invenzione dell’alfabeto è attribuita ai Fenici, ma costoro non fecero altro che semplificare la scrittura demotica egizia eliminando le vocali. Provatevi a scrivere una frase senza vocali né spazi fra le parole, poi chiedete a qualcuno di interpretarla, e vi renderete conto di quanto sia pratico un simile sistema.

La vera invenzione dell’alfabeto fu opera dei Greci che introdussero i segni per le vocali e lo spazio fra le parole, creando il sistema semplice e pratico tuttora in uso dopo quasi tre millenni.

Ma non è tutto, l’invenzione di una scrittura di qualsiasi specie è anch’essa avvenuta in Europa. Nel 1961 l’archeologo romeno Nicolae Vlassa scoprì nel sito di Turda in Romania appartenente alla cultura Vinca una serie di tavolette che chiamò tavolette di Tartaria, con esemplari di una scrittura tuttora indecifrata, ma che permisero di riconoscere come iscrizioni i segni trovati su altri oggetti vinca e fin allora interpretati come semplici fregi ornamentali. Questa scrittura è oggi nota come scrittura del Danubio, ed è risultata essere di almeno mille anni più antica dei più antichi pittogrammi sumerici conosciuti.

Ora è facile comprendere che se da allora sono passati sessant’anni e informazioni di questo genere non sono mai giunte al grosso pubblico cui si continuano ad ammannire le solite favole mediorientali, è perché esiste un vero muro di gomma che non permette loro di passare, guarda caso, tutto ciò che ci indurrebbe ad avere maggiore considerazione di noi stessi in quanto europei.

 

NOTA: Nell’illustrazione, una rielaborazione della copertina del libro Alla ricerca delle origini, opera dell’autore.

 

1 Comment

  • Joe Fallisi 23 Gennaio 2022

    PERFETTA sintesi. Complimenti vivissimi a Fabio Calabrese.

    Joe Fallisi

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