14 Dicembre 2024
Mitologia

Alcune osservazioni su mitologia e spiritualità – Fabio Calabrese

In un paio di articoli di qualche anno fa, vi avevo parlato del mito di Antigone, come è stato fissato dall’omonima tragedia di Sofocle, dei personaggi di Antigone e di Creonte, e dell’interpretazione che ne ha dato lo psicologo Eric Fromm, partendo dall’osservazione assolutamente corretta, del fatto che Sigmund Freud, inventandosi il complesso di Edipo, ha dato del mito di Edipo, in realtà ben più complesso, una lettura estremamente riduttiva.

Solo che a sua volta, Fromm ha dato della vicenda di Antigone un’interpretazione fortemente attualizzante. La storia è questa: Edipo ha avuto due figli maschi, Eteocle e Polinice, e una femmina, Antigone. Dopo che egli ha rinunciato al trono di Tebe, diventa re Eteocle. Polinice, che ha un odio mortale per il fratello, muove guerra contro di lui (I sette a Tebe). I due fratelli si uccidono a vicenda. Il nuovo re, Creonte (fratello di Giocasta, madre e moglie di Edipo), decreta esequie solenni per Eteocle, mentre il cadavere di Polinice, traditore che ha levato le armi contro la città, deve essere lasciato insepolto. Trasgredendo i suoi ordini, Antigone decide di dare sepoltura al corpo del fratello. Venuto a sapere la cosa, Creonte fa imprigionare la donna in una grotta, dove essa muore.

Fromm ha fatto di Antigone un’eroina della ribellione alla legge in nome di una propria morale. Voi potete fare facilmente un piccolo esperimento: se andate su “Google immagini” e digitate “mitologia”, vi escono in schiacciante maggioranza immagini che si riferiscono ad Antigone. Il motivo per il quale essa è divenuta così centrale nella lettura che fanno i moderni della mitologia classica, non è certo un mistero: Eric Fromm (seguace eterodosso di Freud, e talmudista appartenente a una famiglia di rabbini), ne ha fatto l’incarnazione e il simbolo, oltre che del conflitto fra legge e morale, della ribellione contro l’ordine tradizionale, qualcosa in cui i nostri contemporanei, perlopiù si riconoscono senza esitazioni, e magari, visto che si tratta di una delle non molte figure femminili di spicco della mitologia greca, una proto-femminista.

Lasciamo stare il fatto che si tratta di un’interpretazione profondamente scorretta del personaggio di Sofocle, e concentriamoci sulla figura di Creonte, l’antagonista di Antigone che per Fromm rappresenta l’assoluta negatività. Egli condanna Antigone che ha infranto la legge, nonostante che quest’ultima sia sua nipote. Egli rappresenta la giustizia che non guarda in faccia nessuno, non tiene conto di affetti e parentele (non è un caso che la raffigurazione tradizionale della giustizia ce la presenti come dea bendata), ma proprio l’enfatizzazione della figura di Antigone fatta da Fromm, ci spinge a vedervi qualcosa di più: l’uomo che si sforza di uscire dalla visuale di una morale soggettiva per cogliere il punto di vista della polis, implicito nell’oggettività della legge.

E qui viene in mente il paragone con un grande calunniato da democratici, sinistri e clericali, Niccolò Machiavelli, secondo il quale il principe deve essere “disposto a dannare l’anima sua pur di salvare lo stato”.

Permettetemi qui una digressione utile a comprendere come questo grande uomo sia stato frainteso e calunniato. Spesso le mosche cocchiere della critica gli hanno rimproverato di aver interrotto la stesura dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio per redigere Il principe, visto nel brusco passaggio dalla celebrazione della Roma repubblicana a quella della tirannide o presunta tale, una prova di insensibilità morale. Costoro non tengono conto delle condizioni dell’Italia in cui egli si è trovato a vivere, che non potevano non straziare la sua grande anima di italiano, divisa e asservita agli stranieri. Le libertà repubblicane potevano essere una bellissima cosa, ma erano destinate a rimanere lettera morta in queste condizioni concrete, da qui il sogno di un uomo forte, capace di rimettere le cose a posto. Pensate che non sia un insegnamento valido anche oggi?

Fromm considera Creonte la figura tipica del tiranno. Tiranno e tirannide non ci appaiono così odiosi oggi che vediamo chiaramente cosa è la democrazia: un lento, dolce veleno che attraverso il meticciato, la sostituzione etnica, l’imbastardimento culturale, distrugge popoli e nazioni. Per gli antichi greci, tiranno era colui che esercitava un potere di fatto, non previsto dagli ordinamenti della città. In questo senso erano tiranni anche Giulio Cesare, Augusto, Lorenzo il Magnifico. Avercene oggi di tiranni così!

Charles Maurras diceva: “I comunisti non sono i peggiori, almeno non sono democratici”. Non possiamo dire che avesse torto: Noi oggi possiamo vedere che dopo la caduta dell’impero sovietico, i Paesi dell’Europa orientale appaiono molto meno intaccati nella loro identità, molto meno stravolti di noi dopo tre quarti di secolo di democrazia occidentale “made in USA”, e per questo, ad esempio, è difficile credere che dietro l’attuale conflitto ucraino vi sia qualcos’altro oltre all’ambizione americana di portare quanto più a est possibile, non solo i missili della NATO, ma la corruzione “occidentale”, un’ambizione a cui, sciaguratamente per il suo popolo, l’Ucraina si è prestata a fare da cavallo di Troia.

Un aspetto della questione mitologico-spirituale forse bisognoso di approfondimenti, è quello del sincretismo religioso. Per quanto riguarda il cristianesimo, in più di un articolo pubblicato su “Ereticamente”, ve ne ho riportato diversi esempi, al punto che potremmo dire che tutto il cristianesimo medioevale è percorso da una vena sotterranea di paganità, e quando questa si inaridisce, scatta, lenta, ma progressiva e inarrestabile, la secolarizzazione, come se nella dottrina del Discorso della Montagna allo stato puro, ci fosse qualcosa che in fondo ripugna all’animo europeo.

Cito qualche esempio di questa commistione. Nell’articolo Il mito del Graal e il mistero di re Artù, ho accennato alla leggenda secondo la quale una semi-divinità celtica sul punto di essere sopraffatta da un santo cristiano, avrebbe reclamato invano l’aiuto di re Artù. Artù, come leader del celtismo britannico, istruito da un druido (come in effetti era Merlino), nonostante gli aspetti cristianizzati del mito del Graal, è stato palesemente percepito come una sorta di capo naturale della paganità britannica.

Ancora nell’articolo su La figura dello psicopompo, gli aspetti e i simboli odinici riscontrabili nella cattedrale di san Michele a Pavia, centro spirituale e politico del dominio longobardo in Italia. Assistiamo palesemente a una fusione tra la figura dell’arcangelo e quella della divinità germanica.

Per nulla dire degli aspetti esoterici e cripto-pagani (un paganesimo a volte nemmeno tanto mascherato) presenti nella Divina Commedia e nella figura di Dante, di cui ho parlato in Un druido di nome Dante Alighieri.

Un argomento di cui in genere si parla pochissimo o per nulla, è il sincretismo tra la mitologia germanica e quella classica. È una questione che mette in imbarazzo, forse perché le popolazioni germaniche si riversarono su di un impero romano già formalmente cristianizzato, e questo sincretismo evidenzia il fatto che al disotto della nuova religione imposta ope legis e manu militari, gli antichi culti erano tutt’altro che morti, tuttavia, che esso sia avvenuto, è incontestabile e se ne scorgono le tracce con facilità.

Venerdì, ad esempio, si dice “Friday” in inglese e “Freitag” in tedesco. In entrambe le lingue suonerebbe qualcosa come “giorno libero” (libero è “free” in inglese e “frei” in tedesco), il che è perlomeno strano, perché nel mondo occidentale non è mai stato un giorno festivo – lo è nel mondo islamico, ma questo non c’entra – e tralasciamo pure il fatto che se noi continuiamo a dare ai pianeti del sistema solare e ai giorni della settimana i nomi delle divinità della mitologia classica, è anche questa una testimonianza della sua tenace sopravvivenza.

In realtà, Friday-Freitag non significa “giorno libero”, ma “giorno di Freya”, la divinità femminile che è l’equivalente di Venere nel pantheon germanico.

Ricordo con una certa soddisfazione di aver spiegato una volta questo concetto nel corso di una conversazione nella sala insegnanti della scuola dove allora lavoravo. Una collega, insegnante di tedesco, si alzò stupita e mi disse che le avevo risolto un busillis che si portava dietro dai tempi in cui era studentessa al liceo.

Un altro esempio, martello in latino classico si dice “malleus”, come mai nel latino medioevale diventa “martellum”, da cui poi deriva la parola che usiamo oggi? Perché esso è lo strumento, o meglio l’arma “di Marte”, e anche qui capiamo che è avvenuta una sincretistica fusione tra il Marte della mitologia classica e il germanico Thor. È ovvio, però che il martello di Thor non serviva a piantare chiodi, ma a spaccare teste.

A questo proposito, come mai Carlo, padre di Pipino il Breve e nonno di Carlo Magno fu soprannominato “Martello”? Questo non ha a che fare con l’attrezzo da falegname, ma significa “piccolo Marte”, soprannome che gli fu dato a motivo della schiacciante e quasi miracolosa vittoria sugli Arabi riportata a Poitiers.

Vi ho parlato varie volte dell’intervista che il filosofo Massimo Cacciari rilasciò al giornalista Maurizio Blondet, e che quest’ultimo ha riportato nel suo libro Gli Adelphi della dissoluzione, un testo che ci permette di comprendere alcuni aspetti profondi della mentalità cristiana e, per contrasto, della mentalità antica, che altrimenti ci sarebbero forse sfuggiti.

Una frase sibillina di questa intervista sulla quale finora non mi sono particolarmente soffermato, è quando Cacciari dice: “Il cristianesimo è necessariamente sovversivo verso ogni potere che si pretenda autonomo”.

Qui bisogna dire che Cacciari si muove in una prospettiva che non è tanto cristiana in genere, quanto specificamente cattolica (oggi tendiamo poco a cogliere la differenza tra il cattolicesimo e gli altri cristianesimi, e soprattutto non cogliamo il fatto che esso è, anche nell’ambito di questi ultimi, in un certo senso, un’anomalia).

Che il potere religioso pretenda non solo di fare politica, ma che ogni potere politico gli sia subordinato e non possa, come dice Cacciari, “pretendersi autonomo”, questa non è una concezione cristiana, ma cattolica, ed è legata alle condizioni storiche in cui la Chiesa cattolica stessa si è formata.

Costantino non fu soltanto il cristianizzatore, ma il liquidatore dell’impero romano, che doveva essere sostituito da una realtà più ristretta, bizantina, una tirannide sacrale che riprendeva i costumi del mai estinto dispotismo orientale, basandosi sulla parte orientale dell’impero, attorno alla nuova capitale, Bisanzio, non a caso ribattezzata Costantinopoli.

In questa prospettiva, l’occidente diventava solo un deposito di risorse da saccheggiare il più possibile attraverso un’asperrima fiscalità.

Nel vuoto così creato, non s’infiltrarono soltanto le invasioni barbariche, ma anche la Chiesa “di Roma” che restava l’unica forza organizzata e a cui si aprivano notevoli possibilità di sviluppo, mentre fin allora era stata di gran lunga sopravanzata dalle ben più popolose ed avanzate diocesi orientali. Ancora oggi, il papa è l’unico leader religioso che pretende di essere “indipendente e sovrano”, cioè di avere un potere politico, per svolgere la propria missione spirituale, cosa di cui non pare che i leader di tutte le altre confessioni religiose, cristiane e non, sembrino avvertire la necessità, e abbiamo quella ridicola resurrezione dello Stato della Chiesa che è il Vaticano, e non contiamo le sue pesanti interferenze sulla vita civile italiana.

Il cristianesimo ortodosso, per contro, non ha mai avuto problemi ad accettare la subordinazione all’autorità politica nella vita civile, ma neppure il luteranesimo, ricordiamo che Martin Lutero invitava i principi tedeschi a non osare levare la mano contro l’imperatore che è “l’unto del Signore”, che l’autorità “viene da Dio” e che contro di essa “nulla si può che non sia sacrilegio”. Per il calvinismo, che è la forma più degenere di cristianesimo, il discorso è ovviamente diverso.

Maurizio Blondet, che è forse oggi uno dei più lucidi intellettuali cattolici, ha espresso un certo disagio per certe parti della bibbia dove si narra degli antichi ebrei che con l’aiuto e la benedizione di Dio che glieli “avrebbe dati in pasto”, avrebbero allegramente massacrato e sterminato altri popoli dell’area mediorientale. A prescindere dal fatto che l’effettiva storicità delle narrazioni bibliche è estremamente dubbia, queste giustificazioni e santificazioni della violenza contro altri popoli sono eticamente ripugnanti e inaccettabili. Blondet le ha definite “un residuo dell’Età del Ferro” interpolato non si sa come nel testo sacro.

Io ho la forte impressione che uno dei motivi che spiegano la perdurante ossessione biblica degli Stati Uniti sia proprio questo “residuo dell’Età del Ferro”. Al fondamento stesso della pseudo-nazione americana c’è infatti un genocidio, quello degli Americani nativi, che chiamiamo impropriamente Pellirosse. Che cosa c’è di meglio, allora, per rimuovere i relativi sensi di colpa, che immaginare che Dio abbia “dato in pasto” agli yankee i Nativi americani come gli antichi Madianiti, Aramei, Gebusei agli ebrei, giustificando e santificando la violenza nell’ottica di una presunta realizzazione di un disegno divino, di un “destino manifesto”?

Violenza, rozzezza, fanatismo, sono le inevitabili stimmate della mentalità yankee.

 

NOTA: Nell’illustrazione, le principali divinità dell’Olimpo.

 

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