Di Enrico Desii
Pare che durante la scorsa settimana sia andata in onda una dettagliatissima rievocazione dello sbarco degli alleati sulle coste laziali avvenuto nel gennaio del 1944. La cittadina di Anzio, finora in collaborazione con quella confinante di Nettuno, organizza tutti gli anni una significativa celebrazione di un evento che, evidentemente, viene considerato fasto, ma, quest’anno, ricorrendone il settantesimo anniversario, il programma è stato particolarmente curato e completo, comprendendo varie manifestazioni tenutesi nell’arco della settimana ed anche oltre, fino ad arrivare alla prossima estate. Una cosa in grande stile, insomma.
Non è mancata (unica occasione alla quale mi dispiace non aver partecipato) una kermesse enogastronomica che prevedeva una serie di menù preparati secondo le antiche ricette della cucina locale.
Il clou della manifestazione è stato, però, sabato scorso. Si è trattato della ricostruzione e della simulazione dello sbarco, con mezzi anfibi, sorvolo di aerei d’epoca, lancio di paracadutisti, esposizione di mezzi militari, sfilate e cortei vari. In questa commedia sono stati coinvolti oltre 150 figuranti in divisa, a voler rappresentare le truppe che, all’epoca, si affrontarono sul campo di battaglia.
Una bella occasione, insomma, per autorità locali e nazionali ovvero aspiranti tali, per mettersi in mostra e sprecare un po’ di denaro pubblico, coinvolgendo i giovani e le scuole nell’immancabile concorso e sventolando i valori della pace e della fratellanza che ci stanno sempre bene. Dimostrando, in poche parole, che quelle comunità hanno assimilato i fondamentali insegnamenti provenienti dagli avvenimenti di allora.
Invece, probabilmente, si è capito molto poco, forse niente, di quella che è stata una vera e propria tragedia per l’Italia. Anche se, naturalmente, tutto era iniziato alcuni mesi prima, in quel momento la crisi e l’abdicazione dal proprio destino visse uno dei suoi momenti culminanti, visto che Roma diventava un obiettivo tangibile per gli alleati e la guerra civile, con i preparativi che si facevano per accogliere i “liberatori”, una dura realtà per gli italiani.
Resta assolutamente incomprensibile, comunque, la necessità di celebrare ancora oggi con tanto servile impegno, nonostante siano trascorsi settanta anni che dovrebbero indurre a più meditate analisi, quella che a tutti gli effetti è una sconfitta, continuando a ritenere in maniera del tutto acritica che la libertà sia arrivata in quei giorni dal mare e dal cielo. Da dove, invece, la cronaca di oggi ce lo insegna ancora, arrivarono morte, violenze gratuite e colonizzazione, militare, economica, culturale.
Del tutto assente, mi sembra, la minima riflessione sulla circostanza che, per arrivare a Roma che pur non dista molti chilometri, i pavidi alleati impiegarono oltre quattro mesi, bloccati a lungo sul litorale dalle ragioni (che durante queste celebrazioni non risultano essere state neanche indagate) e dal coraggio di chi voleva impedire che il nostro mondo fosse definitivamente travolto ed assimilato.
Ma tutto questo meriterebbe ben altri approfondimenti.
Le cronache delle recenti celebrazioni, invece, riportano di una simpatica e tutta italiana querelle tra campanili (Anzio e Nettuno). La quale, con un po’ di malignità, si potrebbe pensare ispirata, viste le prospettive di business internazionale con i turisti americani che si aprono organizzando manifestazioni come quella che si ricordava, non tanto dalla necessità di precisa ricostruzione storica ma da biechi interessi di cassa. In sostanza, dopo sessantanove anni di celebrazioni unificate, il sindaco di Nettuno ha rotto il fronte unitario dei ringraziamenti ed ha rivendicato il suo territorio come il primo a godere dei benefici dello sbarco. Lanciando una “battaglia culturale” (addirittura!) per riaffermare “una verità storica” e per mettere in luce il ruolo svolto dalla sua città. Dal momento che, secondo questa visione chiaramente “revisionista” degli eventi, i primi soldati americani, la notte del 22 gennaio 1944, avrebbero messo piede sulla spiagge che, guarda caso, si trovavano e si trovano ancora all’interno del poligono militare di Nettuno. Lo sbarco, dunque, dovrebbe più correttamente essere definito “di Nettuno”.
La contrapposizione, per inciso, avviene non solo tra due città rivali nel baseball (altro chiaro lascito degli avvenimenti del 1944…) ma anche tra un comune amministrato dal centrodestra (Anzio) ed uno dalla sinistra (Nettuno). E poi dicono che la classe politica italiana non ha un tessuto di valori omogeneo: ma se si litiga per elogiare meglio il padrone!
Da parte nostra, di fronte a tanta miseria, pare importante rilevare che le porzioni dell’arenile laziale decisive per dirimere la questione, sono adesso note come “X-ray beach” e “Yellow beach”. Insomma, per tracciare un parallelismo con altri sbarchi, è accaduto come in Normandia, dove le spiagge che assisterono all’inizio dell’operazione Overlord, nonostante lo sciovinismo dei francesi sia senz’altro superiore al nostro, sono da allora identificate con i nomi in codice che vennero loro attribuiti dagli alleati (Omaha beach, Utah beach, Juno beach…). A testimonianza, anche sotto il profilo linguistico e toponomastico, che la marea che si è riversata su quelle coste, come sulle nostre, ha avuto, tra le sue conseguenze, la progressiva cancellazione della civiltà autoctona. Quella degli sconfitti ma anche quella dei presunti vincitori.
Categorie: America, Enrico Desii, Guerra, Nettuno, Storia
Pubblicato da admin il 28 Gennaio 2014
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“Gli italiani corsero in aiuto ai vincitori” Longanesi dixit
Senza gli italiani a fare la parte dei servi, chi farebbe quel mestiere?
A Nettuno esiste pure un cimitero militare statunitense! Il servilismo di Nettuno verso gli occupanti a striscie e stelle è noto; infatti esiste pure una squadra di baseball, che con le tradizioni sportive italiane non ha da vedere nulla.Si narra che a Nettuno siano stati deportati in tempi remoti, la feccia umana di Roma.I risultati si vedono ampiamente a distanza di tempo.Invece di onorare i valorosi combattenti della RSI che si opposero all’occupazione della penisola, si preferisce esaltare i “liberatori” americani, vale a dire coloro i quali rimisero in sella la mafia in Italia.Non c’è disonore nel perdere le guerre, tutti i popoli hanno subito sconfitte, disonore è tradire l’alleato gemanico colpirlo alle spalle ( via Rasella docet) correre in soccorso al vincitore!Passeranno i secoli, ma il tradimento verso la Germania rimane uno sfregio permanente su volto del popolo italiano.
santi numi quanto piccoli siamo, che miseria…che bisogno c’era di celebrare l’inizio della fine? non ho parole…
Mi fanno schifo coloro che chiamano liberatore il nemico assassino.
Il “to badogliate” di albionica memoria, continua a far sentire i suoi mefitici effetti. Non che da una amministrazione come quella di Nettuno, ci si attendesse di meno, in fatto di servilismo e piaggeria. Spiace che in questo tripudio di ottusa esaltazione del nemico non ci sia stato chi, magari a titolo personale, abbia ricordato il sacrificio dei giovanissimi del Battaglione “Barbarigo”, unici a tenere alto l’onore d’Italia contro gli invasori. Quanto all’alleato germanico, forse è il caso di rivisitare i termini di una alleanza che, in fatto di lealtà, presenta parecchie ombre anche da parte teutonica.