di Giacinto Reale
All’ apparire del minaccioso corteo sovversivo, le finestre si chiudono e i rari passanti svicolano timorosi: appena i manifestanti arrivano in piazza, un randello sorvola il cordone di soldati e vola ai piedi di Marinetti; basta allora un rapido cenno di intesa e tutti si mettono a correre; in testa a tutti Vecchi, Marinetti , Mazzuccato, Luigi Freddi, Chiesa, Mazza e Pinna. All’altezza del bar Mercanti c’è il primo scontro, e l’immediata esplosione di qualche revolverata da ambedue le parti, che provoca tre morti, forse addirittura estranei ai fatti. La maggiore esperienza degli attaccanti, tra i quali molti sono i reduci di imprese arditesche del tempo di guerra, il loro maggiore ardore, la spregiudicatezza dimostrata nell’attaccare in qualche centinaio una colonna di parecchie migliaia di dimostranti, che nella sua marcia verso il centro ha travolto come fuscelli i cordoni di truppa ed impaurito tranquilli e timidi bottegai, hanno presto ragione di ogni resistenza.
Allo scontro vero e proprio, che è brevissimo e dura solo qualche minuto, segue un lungo inseguimento della massa socialista, “dinamizzato” da mille piccole zuffe, lungo via Dante, fino a piazza Cairoli, di fronte al teatro Eden; qui è necessaria agli inseguitori una breve sosta, per ricomporre il gruppo e prendere fiato. Poi, i controdimostranti si tolgono la soddisfazione di assaporare la vittoria testè conseguita, con una sfilata a passo bersaglieresco per le vie del centro, via S. Margherita, via Manzoni, via Montenapoleone, largo S. Babila, sino a via S. Damiano, dov’è la sede dell’Avanti.
Sotto il giornale basta un cordone di soldati, disposto all’altezza del ponte sul Naviglio, a frenare l’impeto di questi primi squadristi; con ogni probabilità, tutto si risolverebbe con una solenne fischiata, del tipo di quelle che sono toccate al Secolo ed al Corriere della Sera qualche settimana prima, se un colpo di pistola, esploso dall’interno dell’edificio, non colpisse un giovane mitragliere di guardia allo stabile, Martino Speroni.
E’ a questo punto che il presidio di sorveglianza si dissolve; i militari hanno ben visto da dove si è sparato; il fatto che un po’ sotto la spinta degli assalitori e un po’ spontaneamente si facciano da parte sembra dimostrare inequivocabilmente che il colpo è partito dalla sede del giornale.
Il Popolo d’Italia, il giorno dopo accentuerà i toni di questa che, in fondo è stata solo una blanda forma di resistenza passiva, e nel suo sottotitolo scriverà: “I fascisti e l’Esercito assaltano l’Avanti” L’attacco al giornale, in verità, si realizza secondo lo stile arditesco, con grandi urla, fuoco alle porte, pugnali balenanti e pistolettate, senza che vi sia alcuna consistente reazione da parte dei socialisti provvidenzialmente e tempestivamente fuggiti da un ingresso opposto a via S. Damiano.
Arrampicandosi sulle basse inferriate del piano terra, un manipolo di assalitori raggiunge il primo piano e, dopo aver gettato nel Naviglio mobili, caratteri di stampa e altro materiale, dà fuoco ai macchinari, servendosi dei molti opuscoli di propaganda e delle foto di Lenin pronte per la spedizione.
In prima fila, ancora Ferruccio Vecchi e i suoi uomini: “Giunti davanti alla redazione designata, molte revolverate vennero sparate da dietro le persiane chiuse del primo piano. L’indignazione dei vendicatori non ebbe più freno: centinaia di rivoltelle furono estratte, centinaia di colpi risposero a quelli nemici: l’intonaco intorno alle finestre, investito dalle pallottole, cadeva spezzato, polverizzato. Poiché non fu possibile forzare la porta che dava sulla strada, un giovane si arrampicò, sospinto dagli incitamenti, fino alla finestra del balcone del primo piano e, mentre da dietro i regoli delle persiane partivano le revolverate e le maledizioni dei difensori , egli, a colpi tenaci di pugnale l’aprì ! Un urlo di tripudio eruppe dai sottostanti: la battaglia era ormai vinta ! S’arrampicò un secondo, un terzo, un quarto. Alcuni che vollero contemporaneamente dare la scalata al balcone, accavallandosi l’uno sull’altro, non ancora giuntici precipitarono a grappoli. Gli entrati dalla prima breccia, discese le scale, tolsero lo sbarramento di corde e travicelli al portone della strada: la gigantesca spalla della moltitudine lo sfondò, benché affidato ancora ad un grosso catenaccio. Il gigante infuriato si lanciò all’interno. Scansie, libri, ritratti, tavoli, annate del giornale e ogni altra sorte di materiale redazionale venivano calati dalle finestre superiori nella strada, e da questa gettati nel Naviglio, che le correva accanto…Un’immensa colonna di fumo, lingueggiante di fiamme e stellata di faville, salì nel cielo d’aprile.”
L’azione nel complesso dura circa mezz’ora e si conclude prima che possano arrivare altre forze di polizia; segue un corteo che, ritmando: “l’Avanti non c’è più, l’Avanti non c’è più !”, va a deporre ai piedi del monumento a Vittorio Emanuele l’insegna divelta dal portone del giornale; Vecchi, al termine, manda un ardito da Mussolini al Popolo d’Italia, con u n biglietto che, anticipando il titolo dell’Ardito del 18 aprile, dice: “Dal balcone dell’Avanti sventola il vessillo nero !!
L’eccitazione è grande: Vecchi è convinto di aver scritto, con la distruzione del giornale socialista, “il più bell’articolo” della sua vita; tutti i partecipanti ancora non riescono a convincersi di essere riusciti in un’impresa fino ad allora ritenuta inosabile.
Una manifestazione di simpatia a Mussolini viene improvvisata da parte dei vincitori del confronto di piazza anche sotto la sede del Popolo d’Italia; alla sede del giornale ed a quella dell’Associazione Arditi viene organizzato, in serata, un rinforzo di guardia, nel timore di possibili rappresaglie che avrebbero nei due “covi” gli obiettivi più probabili.
Ma la legge del taglione non viene applicata; Costantino Lazzari, al Congresso di Livorno, dirà che le ritorsioni “non si erano volute”; sta di fatto che bellicosi propositi di vendetta, che non arrivano ad escludere, tra l’altro, la soppressione dello stesso Mussolini, svaniscono come neve al sole, per fare posto alla più tradizionale dichiarazione di sciopero generale ed al lancio di una sottoscrizione nazionale per il riattamento del giornale che, nel frattempo, viene stampato a Torino.
La risonanza dell’episodio in tutto il Paese è vastissima, e grande è l’impressione che il fuoco milanese suscita nella pubblica opinione, come si può dedurre dal commento di Pietro Nenni, fervente repubblicano ed aderente al Fascio bolognese: “Noi deploriamo sinceramente che sangue fraterno sia corso per le vie di Milano, noi abbiamo sofferto più di quel sangue che di una battaglia persa; ma chi non ha diritto di lamentarsi chi non ha il diritto di protestare, è proprio l’Avanti, esaltatore del “terrore rosso”, esaltatore della guerra civile. Credevano forse in via S. Damiano che si potesse seminare a piene mani l’odio contro gli interventisti ed i patrioti, credevano che si potessero fare le liste di proscrizione, credevano che si potesse esaltare la dittatura del proletariato come redde rationem per chi aveva amato il proprio Paese, senza che la reazione fosse immediata ed imperiosa ?” (fine)
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Categorie: Fascismo, Ferruccio Vecchi, Mussolini, Storia
Pubblicato da Giacinto Reale il 7 Settembre 2013
Nato a Bari intorno alla metà del secolo scorso, vive a Roma. Ha sempre coltivato la passione per cose di storia, alla ricerca di una verità che intuiva essere non di rado diversa da quella dei “sacri testi”.
Coltiva, ultimamente, uno speciale interesse per vicende e uomini del primo fascismo, convinto che lì c’è tutto: quello che il fascismo fu, e, soprattutto, quello che prometteva di essere……
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