29 Marzo 2024
Storia delle Religioni

L’equivoco mesopotamico – Umberto Bianchi

Quello della storia del Vicino Oriente Antico e della regione mesopotamica, in particolare, ha da sempre costituito un argomento ricco di fascino e foriero di numerosi spunti, trattandosi in questo caso, di civiltà la cui esistenza precede di numerosi millenni, la fatidica data della nascita di Cristo, oggi posta dalla storiografia ufficiale, a simbolico spartiacque della cronologia della storia dell’umanità. Al pari di quella egiziana, le varie civilizzazioni mesopotamiche, ci mostrano un volto straordinariamente attuale, fatto di fitte reti di scambio commerciale con le regioni del Vicino Oriente mediterraneo, con la Penisola Arabica e con la Valle dell’Indo. A dare il “la”, imprimendo una specifica identità all’intero contesto mesopotamico, furono quei Sumeri, o popolo di Shumer/ ”teste nere”, le cui origini sono, ad oggi, avvolte nel mistero. Al pari di altre contemporanee e circumvicine popolazioni, quali gli Hurriti (o Urartiani), (occupanti una zona che, pressappoco, va dal settentrione della Mesopotamia alla regione attorno al Lago Van, nell’attuale Armenia…) o gli Elamiti (occupanti l’altopiano iranico ed in particolare la regione della susiana…), i Sumeri non possono essere considerati di ceppo né semitico né, tantomeno, indoeuropeo. A detta di studiosi del calibro di un Danielou, questi popoli, assieme a quelli della Valle dell’Indo, agli Etruschi, ai Siculi, ai Sardi, agli Iberi, ai Baschi ed un po’ a tutte quelle popolazioni di ambito pre-indoeuropeo (pelasgiche, vedi R. Graves, sic!), sarebbero state parte di quella che egli definisce quale “civilizzazione Munda”, dal nome di una tribù di ceppo dravidico dell’India meridionale.

Lasciando da parte le osservazioni sulla vaghezza e la genericità di certe conclusioni, che lasciano il tempo che trovano, poiché non corredate da precisi dati etnico-linguistici (N.d.a.-Gli studi di Massimo Pittau sugli Etruschi, per esempio, hanno rimesso in discussione questa asserzione, paventando, invece, la collocazione di questi ultimi in un ambito “proto-indoeuropeo”…), sta di fatto che, come abbiamo poc’anzi accennato, i Sumeri dettero luogo ad una vitale e plurimillenaria civiltà che, sebbene caratterizzata da una doppia identità etno-linguistica e da un continuo stratificarsi di popolazioni sulla medesima area geografica, riuscì a mantenere la propria identità spirituale, sin pressapoco al 503 a.c, con l’annessione della regione all’impero achemenide ed il conseguente assorbimento delle locali tradizioni religiose nella grande “koinè” iranica.

Quella mesopotamica, è dunque, una civiltà frutto dell’incontro tra il sostrato sumero e quello semitico, in particolare accadico, a cui fecero seguito altre successive ondate di popoli di etnia, per lo più, semitica. Un incontro non solo di popoli ma, anche e principalmente, di culture. Sino a poco tempo fa, si supponeva che Sumeri, in quanto portatori di un modello economico e sociale imperniato sulla centralità dell’agricoltura e della città-stato, possedessero una cultura ed una visione del mondo più “stanzializzanti”, ovverosia legate ad un aspetto più ctonio (rivolto alla sfera terrestre e ad una spiccata presenza di divinità femminili, Dea Madre in primis) piuttosto che ad uno uranico e solare. Le tribù semitiche, come quella degli Accadi e, successivamente quelle degli Amorrei, invece, in virtù del proprio innato nomadismo, sarebbero state portatrici di una concezione più “uranica” (rivolta verso il cielo) e solare, agganciate ad una maggior presenza di divinità maschili. A ben vedere, però, le cose non stanno proprio così. Al momento dell’incontro e della sintesi religiosa con la cultura accadica, quella sumera si presenta come una forma di religiosità ben più matura e complessa di quello che si sarebbe potuto pensare.

A far da battistrada, un complesso pantheon di divinità maschili e femminili nel quale, a fare la parte del leone, sono tre divinità maschili, affiancate ad una quarta femminile: An/Anu, dio del Cielo, Enlil, dio dei Venti,Enki/Ea, dio delle Acque ed infine Ki o Ninhursag, dea –madre della Terra. La struttura politeista di questa religione, fa si che, al pari di quanto accadeva per esempio in Egitto, dello stesso mito ne esistessero varie scuole, riferite ad una particolare città, posta sotto la tutela di un particolare nume. E così la teologia relativa a Nippur, che aveva eletto a propria divinità tutelare Enlil, narra che precedentemente alla nascita del dio An/Anu e della dea Ki/Ninhursag e di tutti gli altri dei, vi era solamente uru-ul-la (lett. “città antica”/cosmo embrionale), che stava a simboleggiare una forma di Chaòs o stato potenziale di vita, al cui interno esistevano un insieme di coppie di divinità denominate “padri” e “madri” en/signore e nin/signora. Da una di queste coppie divine nacquero An e Ki (Cielo e Terra). Da An e Ki, a sua volta, nacque Enlil, divenuto poi (in un procedimento che molto ricorda le defenestrazioni di Urano e di Saturno di classica memoria , sic!) il sovrano degli dèi. Da An e Nammu/Abzu (dea-archetipo delle acque fluttuanti ) nacque Enki, il dio dell’acqua dolce sotterranea.

Per quanto riguarda la teologia della scuola di Eridu, all’insegna della divinità tutelare di Enki, è il, decisamente più tardo e in lingua semitica testo dell’Enûma Eliš, a narrarci il mito cosmogonico. Qui a farla da padrone è, invece, l’incontro tra Tiamat (dall’accadico “mare”/ “acqua salata”e Abzu/ Apsū; “acqua dolce” sotterranea, unitamente a un non meglio definito mum (accadico: mummu)[22] nascono gli dèi e quindi i mondi. Alla triade Cielo-Terra-Acqua da cui originano in un susseguirsi di eventi, gli Dei ed il cosmo, sembra pertanto sovrapporsi l’idea di uno spazio indefinito di tipo cosmologico (Uru ul la) o a livello di vere e proprie acque primordiali (Tiamat). Sono quindi tre i principi teogonici e cosmogonici originati dal “cosmo embrionale”: il Cielo, la Terra e l’Acqua. La terra è vista come una semi-sfera, circondata da un caotico Oceano Primordiale (Absu…) e da una volta celeste, le cui costellazioni venivano via via identificate con le varie figure del complesso pantheon divino. Al pari della religione egizia nella sua versione tebana, che vede il mondo circondato dalle spire del serpente primordiale Apophis, anch’egli simbolo del Chaòs, quella mesopotamica, è una forma di religiosità che rientra tra quelle “primordiali”, che vede nell’essere umano un attivo collaboratore delle forze sovrannaturali, nel mantenere l’ordine nel mondo, al fine di evitare che questo cada nelle spire del Chaòs di Apophis o di Absu. Strumento-principe di questa azione, è la pratica teurgica con la quale si cerca di agire direttamente sulle forze divine, per adempiere allo scopo preposto, anche attraverso quel rito sacrificale che vuole ripercorrere l’evento del primo e divino sacrificio, quale atto di cosmica e continua rigenerazione. Per inciso, va detto che, quello del sacrificio primordiale, tutto a scapito di una primordiale entità (indifferentemente buona o cattiva…), è un motivo che ricorre in tutte le mitologie. Dalla mostruosa Tiamat uccisa da Marduk, al sacrificio dell’iranico Gayomart, dall’uccisione dello scandinavo gigante Ymir, sino alla tauroctonia mitraica, il creato sorge sulle spoglie di un essere a tal fine sacrificato.

Le città-stato sumere vedranno all’interno di una città-stato, imperniata sull’istituzione templare, accanto ad una forte casta sacerdotale, una figura di monarca nel ruolo di “custode” (“lugal”) e rappresentante delle varie divinità poliadi. Sotto la monarchia di Urukagina si assisterà ad una serrata lotta tra il potere monarchico e la casta sacerdotale, che finirà per ricoprire un ruolo subordinato rispetto a quest’ultimo. Nel ribadire il ruolo della centralità dello Stato, Urukagina si farà, tra l’altro, latore di una ben precisa idea di giustizia sociale, volta a difendere e trutelare i ceti più poveri, le vedove gli orfani ed i malati. L’avvento al potere di Sargon Primo di Akkad e la creazione del “Regno di Sumer e di Akkad”, darà un ulteriore apporto alla religiosità sumerico-mesopotamica. Divinità accadiche quali Ishtar (la Inanna sumera…) dea dell’amore e della guerra ed Hadad (dio della folgore…), caratterizzate da una natura prevalentemente uranica, saranno affiancate e si immedesimeranno con le divinità sumere dalle quali, tra l’altro, non erano molto dissimili senza, quindi, modificarne di gran che l’impostazione spirituale. Con l’avvento di Babilonia, alle figure di An e di Enlil verrà affiancata e sostituita quella del Dio Marduk, che assumerà dall’alto della volta celeste, la guida di tutto il pantheon mesopotamico. Identico fenomeno, avremo in Assiria, con il dio Assur, assurto a ruolo-guida del consesso divino; il tutto, però, senza rinnegare le precedenti divinità, in un fenomeno di successione non traumatica, tipico di quella fisiologia religiosa del mondo politeista che ritroveremo con l’esempio, a noi più prossimo, della religiosità roamana e delle sue varie fasi storiche. Pertanto, al di là delle varie scuole siamo pertanto di fronte ad un ben preciso modello spirituale che lascerà il proprio “imprinting” per i millenni a venire, interagendo ed influenzando tutte le altre culture dell’area vicino-orientale.

L’adozione della scrittura cuneiforme, della lingua sumerica, seguita da quella accadica e babilonese più tardi, quali lingue “dotte” per la redazione di documenti ufficiali e prescrizioni religiose, la foggia nel vestire ed il modello della città-stato, costituiranno i pilastri ideologici fondamentali della civiltà mesopotamica. Non senza omettere l’influenza diretta o indiretta sui vari pantheon religiosi delle popolazioni confinanti, che assumevano presso i propri pantheon, anche gli Dei mesopotamici. Molte volte questo avveniva a seguito di una conquista territoriale, cosi’ come avvenuto per le statue degli Dei babilonesi, più volte trafugate dall’Esagila di Babilonia sia da parte degli Elamiti che degli Assiri, o anche, a seguito di precise invocazioni. Una pratica questa, non solo caratteristica dei Romani, quindi, ma anche di popoli quali i già nominati Assiri, gli Elamiti, ma anche degli Hittiti, questi ultimi di sangue indoeuropeo. Non solo però le annessioni territoriali “manu militari”, ma anche la penetrazione commerciale attuata sin dall’inizio della civiltà mesopotamica, portò, talvolta, a fenomeni di sintesi e sincretismo religioso, in tutta l’area vicino orientale. La comune presenza di una dea dell’amore che si chiamasse Ishtar/Inanna o Anahita (Elam) o Shauska (Urartu) o Afrodite/Venus (presso i Greco-Romani) o di un dio della tempesta Hadad (Siria e Akkad), Teshub (Urartu) o Ishkur (Sumer), al pari del sumero Utu o del Babilonese Shamas o dell’Hurrita Shimegi, tutte divinità solari, oppure del Babilonese ed Hurrita Nergal, divinità dell’oltretomba, presenti, assieme ad altre, in tutti i pantheon politeisti dell’area vicino-orientale, inclusi quelli della civiltà greco-romana, non devono indurci al grave errore di pensare che “tutto viene da Oriente”, di immaginare una comune ascendenza semitica per tutte le culture del Mediterraneo, il tutto in nome di una forma di naturalistica e sensuale religiosità, che rimanderebbe, a sua volta, ad un’ascendenza africana.

Punto primo. Abbiamo già rilevato che i Sumeri, al pari di Hurriti, Elamiti ed altri, ad oggi non sono considertai né semiti né indoeuropei.

Punto secondo. L’aspetto iniziatico presente nell’ambito della religiosità mesopotamica, non è di esclusiva competenza di Babilonesi o Caldei, bensì inizia con i Sumeri e con il loro attribuire alle varie costellazioni celesti la personalità dei vari Dei del loro pantheon. Elemento questo, che sarà ulteriormente esaltato e rafforzato da Babilonesi, (vedi studiosi come Berosso, sic!), Assiri e Caldei, questi ultimi sopraggiunti nella fase terminale della civiltà mesopotamica, contemporaneamente agli Aramaici ma, contrariamente a questi, provenienti dalla penisola arabica. Le valenze iniziatiche presenti in ambito mesopotamico, oltre all’aspetto ed alle connessioni celesti delle divinità, con le rispettive influenze sui destini dell’uomo, sono anche date dalla figura dell’eroe semi dio Gilgamesh, la cui vicenda è tutta legata ad una spasmodica ricerca dell’immortalità. Altro e non irrilevante aspetto, è dato dai culti ierogamici legati alla dea Ishtar /Inanna, volti a fare del miste un semi dio, tramite il veicolo della sessualità. Di tutte queste valenze iniziatiche, ad oggi, resta veramente ben poco, il più essendo stato cancellato dalle invasioni islamiche, visto che il dominio persiano, sotto gli Achemenidi, fu improntato alla tolleranza verso i culti locali. Cosa che non ha impedito, però, il loro disperdersi e confondersi con la religiosità iranico-zoroastriana, dando spesso luogo a quei sincretismi che diverranno il lei motif dell’età ellenistica.

Punto terzo. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la civiltà mesopotamica ha subito svariate influenze, partendo da quelle culture proto storiche della Valle dell’Indo e dei Monti Zagros (da cui si suppone vengano i Sumeri, sic!) sinanche a quegli indoeuropei della cui esistenza, ad oggi, qualcuno continua a dubitare. Il popolo Cassita, che dominò il regno di Babilonia a partire dal 16° secolo AC per ben cinquecento anni, aveva un’aristocrazia i cui nomi denotavano una precisa origine indoeuropea. Uno dei lasciti di questa penetrazione politico-culturale, fu l’istituzione della casta dei “maryannu” o cavalieri con tanto di carro da combattimento, che si diffusero in tutta l’are mesopotamica e vicino orientale e che tanta importanza ebbero negli eventi bellici della regione, a partire proprio dal periodo del Tardo Bronzo. Un ulteriore ed inaspettato lascito cassita, furono tutta una serie di pratiche magiche e divinatorie, volte a propiziarsi i favori delle varie divinità del pantheon mesopotamico, delle quali costoro erano divenuti fedeli e scrupolosi seguaci.

Possiamo concludere affermando e riconfermando la peculiarità etno linguistica e religiosa della Mesopotamia, sin dai suoi esordi sumero-accadici. Possiamo altresì sottolinearne la particolare primigenia impostazione religiosa, volta ad immedesimare le divinità del proprio pantheon con i corpi celesti. Le stesse figure divine sembrano interagire con altre consimili, quanto a ruolo e funzione in ambito mediterraneo, ma sarebbe gravissimo errore considerare le mitologie indoeuropee un’appendice posticcia delle prime. Le varie forme di religiosità e di pratica iniziatica, affondano le proprie origini in un bagaglio archetipico comune all’intera specie umana, così come ben descritto da studiosi come C.G.Jung. Il Politeismo, in particolare, in tutte le sue varianti, possiede una multiformità ed un’intercambiabilità di ruoli e funzioni divine, che ben riflette la struttura “complessa” dell’intera realtà. Il tentativo monoteista da cui discende l’attuale fase di Globalismo, consistente nell’uniformazione della realtà ad un unico ed indiscutibile parametro è, alla lunga, destinato a fallire ed a vanificarsi, disperdendosi nei mille rivoli di una realtà,la cui univoca e facilonesca comprensione, lascia spazio a mille e mille irresoluti interrogativi . E così con la Mesopotamia e con i suoi popoli, le origini dei quali, al pari di altri, si disperdono nelle nebbie del tempo, lasciandoci dinnanzi ad un grandioso affresco storico su cui poter riflettere sul presente e sul futuro della nostra civiltà.

Bibliografia di riferimento:

– Mario Liverani, “Antico Oriente. Storia, Società, Economia”, Laterza;
– Helmuth Uhlig , “I Sumeri”, Garzanti;
– Giovanni Pettinato, “Babilonia”, Rusconi;
– Henri Puech, “Le religioni in Egitto, Mesopotamia e Persia”, B U L Editrice.

Umberto Bianchi

1 Comment

  • Rita Remagnino 23 Ottobre 2020

    Per quanto ne sappiamo non è originale neppure il nome «Sumeri», che venne dato a quel popolo dalle tribù nomadi che lo scalzarono nella terra tra i due fiumi. Né risulta che gli interessati si chiamassero in alcun modo, limitandosi a fregiarsi del titolo di «teste nere». Una definizione non casuale, visto che nel linguaggio di molti popoli preistorici «nero» era il principio, l’Origine, la forza che partiva dal profondo per salire in alto.
    Il «nero» rappresentava per gli Antichi lo stato principale di non-manifestazione, l’essenza di ogni cosa, di ogni essere, l’insieme di aspirazioni umane che oggi vengono genericamente definite «spirituali» ma che, fino a non molto tempo fa, erano il reale scopo di qualsiasi esistenza, quella del povero come quella del ricco.
    Con cognizione di causa la Grecia classica attribuì la nota cromatica primordiale a Saturno, emblema della mitica «Età di Saturno», o «Età dell’Oro», l’epoca più elevata appartenuta all’umanità del Ciclo presente. Un tempo che i Sumeri non conobbero direttamente per ovvie ragioni anagrafiche ma di cui conoscevano l’esistenza grazie ai racconti dei loro «dèi», i quali appartenevano probabilmente a un ramo secondario dell’antichissima cultura uscita dal «Centro del Mondo», emanazione e immagine del Centro spirituale supremo esistito alle Origini in posizione polare. Forse il filo della memoria porta da quella parte. Forse.

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