11 Aprile 2024
Alchimia

Vulcano ed Elio: la segretezza alchemica di Fulcanelli – Simöne Gall

“La scienza alchemica non si insegna; ognuno deve apprenderla da sé, non in modo speculativo, ma per mezzo di un lavoro perseverante, moltiplicando i saggi e i tentativi, in modo da sottomettere sempre la produzione del pensiero al controllo dell’esperienza”.

– Fulcanelli

Scrive Dario Argento (nelle pagine dell’autobiografia Paura) a proposito del suo Inferno, del 1980: “Uno dei temi centrali del film, il secondo della Trilogia delle Madri (Mater Tenebrarum vive a New York, ecco il perché dell’ambientazione americana), è l’alchimia. L’intera storia è piena di enigmi che rimarranno per la maggior parte irrisolti, alcuni dei quali avranno una chiave di lettura alchemica, che però non viene fornita al pubblico”.

Così come per il precedente Suspiria, imperitura opera d’arte horror/esoterica (senz’altro singolare ma alquanto pleonastica la più recente reinterpretazione ammodernata di Luca Guadagnino), l’uso espressionistico dei colori è una cifra dominante in Inferno. Il film, che qualitativamente, nel complesso, non raggiunge i livelli del suo predecessore (ma che senza dubbio assume istantaneamente lo status di capolavoro se paragonato al capitolo conclusivo della Trilogia, l’inaffrontabile La Terza Madre, del 2007), vede tra i personaggi l’enigmatico architetto Varelli. Il nome di costui è un tributo nemmeno troppo mascherato alla figura altrettanto impenetrabile dell’alchimista francese Fulcanelli, per il quale un Dario Argento ancora molto operoso subì indubbiamente una fascinazione. (L’alchimista in questione è altresì menzionato in altre due discrete pellicole minori del genere cinematografico cui afferiscono i titoli di cui sopra, La Chiesa, di Michele Soavi, e Zeder, di Pupi Avati).

Da sempre si specula sulla reale identità del Fulcanelli. Sappiamo che, con ogni probabilità, il suo nome non era che uno pseudonimo segreto riconducibile, per accostamento fonetico, alla combinazione che vede intersecarsi Vulcano ad Helios, l’antica divinità solare. Nel libro Il Mattino dei Maghi, Jacques Bergier narra di aver incontrato la misteriosa figura, una mattina del 1937. Stando a quanto raccontava lo stesso co-autore del volume, Louis Pauwels, l’uomo misterioso avrebbe riferito al giovane Bergier che gli alchimisti erano ben coscienti dei progressi della scienza in campo metallurgico, ma che sarebbe oltremodo esistita una via alternativa di manipolare la materia e l’energia secondo una modalità del tutto diversa da quella operata dai fisici moderni, capace cioè  di produrre ciò che è a noi oggi noto come “campo di forza”, da cui la posizione privilegiata dell’osservatore di contemplare l’universo nella sua interezza.

Anche il principale discepolo di Fulcanelli, Eugène Canseliet (1899-1982), afferma di aver frequentato per lungo tempo il suo mentore, il quale sarebbe stato in grado di raggiungere l’immortalità dopo aver prodotto la popolare Pietra Filosofale. Canseliet riportava che la storia di Fulcanelli, riempita di segretezza e incantesimo, divenne nota nella Parigi degli anni Venti del Novecento in un dato periodo in cui presero a circolare voci inerenti uno strano individuo dedito segretamente alla pratica alchemica di laboratorio. Oltre a Canseliet, un altro personaggio spesso accostato alla figura di Fulcanelli è il pittore ed illustratore Jean Julien Champagne. Sia Champagne che Canselier appartenevano ad una misteriosa società segreta conosciuta come La Fraternità di Eliopoli, le cui origini, si dice, sarebbero risalite all’Egitto dell’inizio dell’era cristiana. Champagne, in quel di Parigi, era a sua volta discepolo di un certo Pierre Dujols, libraio, editore, ma soprattutto alchimista. Nella sua Librairie du Merveilleux, si incontravano soggetti dediti allo studio della Grande Opera, personaggi come Henri Coton-Alvar o l’egittologo René Schwaller de Lubicz.

La vera identità del Maestro, tuttavia, sarebbe stata nota solamente a Canseliet e a Champagne, i quali descrissero il Fulcanelli come un soggetto in età non più giovane, dotato di grossa cultura, ma soprattutto facoltoso. Champagne sarebbe morto nel 1932, a sessant’anni. La sua ultima compagna raccontò di quanto lui e Canseliet fossero intimi, e di come Canseliet si rivolgesse a costui chiamandolo “maestro”. Secondo la Biblioteca Nazionale di Francia, infatti, non vi sarebbe alcun mistero sulla identità del Fulcanelli: tutti i suoi lavori furono redatti nientemeno che da Champagne. Fulcanelli, o chi per esso, scrisse Il Mistero delle Cattedrali nel 1926, testo sui simboli alchemici presenti nelle architetture delle antiche cattedrali gotiche, per poi comporre ufficialmente un secondo volume nel 1931, Le Dimore Filosofali, concernente altre costruzioni architettoniche. La prefazione alla prima edizione è firmata da Canseliet, il quale afferma che l’autore, ora scomparso, era stato il suo maestro, per poi ringraziare l’amico Jean-Julien Champagne che si era occupato di illustrare il testo:

“Fulcanelli non è più. Eppure il suo pensiero è rimasto, ardente e vivo, chiuso per sempre in queste pagine come in un santuario, e questa è la nostra unica consolazione. Grazie a lui, la Cattedrale gotica ci confida il suo segreto. E non senza sorpresa né emozione apprendiamo in che modo fu tagliata, dai nostri antenati, la prima pietra delle fondazioni, gemma abbagliante, più preziosa dello stesso oro. […] Tutta la Verità, tutta la Filosofia, tutta la Religione si basano su quest’unica Pietra sacra. Molti uomini, pieni di presunzione, si credono capaci di fabbricarla eppure, quanto sono rari gli eletti abbastanza semplici, abbastanza sapienti, abbastanza abili da riuscirvi! Ma ciò non ha molta importanza. Ci basti sapere che le meraviglie del nostro medioevo contengono la stessa verità positiva, gli stessi fondamenti scientifici delle piramidi d’Egitto, dei templi greci, delle catacombe romane e delle basiliche bizantine.

Tale è, grosso modo, la portata del libro di Fulcanelli. Gli ermetisti – o almeno quelli che sono degni di questo nome – scopriranno anche dell’altro. Si dice che la luce nasce dallo scontro di idee differenti: essi potranno riconoscere che qui, nel confronto tra il Libro e l’Edificio, si libera lo Spirito e la Lettera muore. Fulcanelli ha fatto per loro il primo sforzo; tocca ora agli ermetisti fare l’ultimo. La strada che resta da percorrere è breve. C’è ancora bisogno di individuarla con esattezza e di non muoversi senza sapere dove si va. Che cosa si vuole di più? Io so, non per averlo scoperto da solo, ma perché l’Autore stesso me ne diede la certezza più di dieci anni fa, che la chiave dell’arcano più grande è data, senza alcuna finzione, da una delle figure che illustrano quest’opera. E questa chiave consiste unicamente in un colore, manifesto all’artista già dall’inizio del lavoro. Nessun Filosofo, a quanto mi è dato sapere, ha colto l’importanza di questo punto essenziale”.

Per il Fulcanelli le cattedrali gotiche erano da intendersi come veri e propri codici di pietra che custodivano i segreti dell’alchimia. Pertanto, i capolavori architettonici dell’arte gotica dovevano essere interpretati come l’espressione di un pensiero alchemico. Il termine gotico, in questo caso, non deriverebbe dall’etnia di barbari passata alla storia come Goti, bensì da argot (“gergo, linguaggio convenzionale”). Arte gotica andrebbe quindi inteso come argotiques, dove argot è il linguaggio segreto usato da un cerchia riservata di eletti. Fulcanelli fa inoltre riferimento a un certo idioma degli uccelli, ovvero a una lingua arcana che solo gli adepti, coloro che sono vicini alla divinità – come gli uccelli, i quali solcano liberamente i cieli – sanno comprendere.

Canseliet afferma che Fulcanelli scrisse anche un terzo libro, Finis Gloriae Mundi, che gli fu consegnato per la pubblicazione ma che fu in seguito ritirato; il titolo di quest’ultimo libro fa riferimento a un dipinto di Juan de Valdés Leal conservato presso la chiesa della Santa Caridad a Siviglia e intitolato proprio “Finis Gloriae Mundi”. Il filo conduttore alchemico del Finis Gloriae Mundi è la cosiddetta via breve (ars brevis) e più volte vengono riprese nozioni alchemiche già trattate precedentemente nei due testi precedenti.

Le opere dell’inesplicabile autore francese furono considerate straordinarie poiché, come spiegava il noto alchimista torinese Paolo Lucarelli, “[Fulcanelli] ricostruiva, partendo dal simbolismo ermetico, i punti principali della Grande Opera illustrandone i principi teorici e la prassi sperimentale con un dettaglio e una precisione mai visti prima”. Quel che il fu Lucarelli sosteneva è che l’enorme importanza di Fulcanelli quale alchimista del XX secolo fosse da ricercarsi nella sua volontà di ristabilire l’arte antica dell’esercizio dell’arte alchimica, sia nello stile che nella vita pratica. Fulcanelli, al contrario degli alchimisti suoi predecessori del Seicento, che consideravano la branca alchemica da un punto di vista strettamente spirituale, recuperò e nobilitò il lavoro manuale in laboratorio, inteso come un mero procedimento fondamentale per potersi considerare un seguace della Grande Opera.

 

Fulcanelli e la pratica alchemica trasmutativa

Per Grande Opera, conosciuta in latino come magnum opus, s’intende l’itinerario alchemico di lavorazione e trasformazione della materia prima, finalizzato a realizzare la cosiddetta “pietra filosofale”. La pratica in sé consta di diversi passaggi che conducono gradualmente alla metamorfosi personale e spirituale dell’alchimista, ai quali corrispondono, secondo la tradizione ermetica, altrettanti processi di laboratorio caratterizzati da specifici cambiamenti di colore, tutte metafore del percorso iniziatico di individuazione. Fulcanelli disponeva degli strumenti fisici e conoscitivi per realizzare la Grande Opera e quindi l’immortalità, convinto che la simbologia della pietra fosse un codice che una volta decriptato poteva fornire istruzioni circa le operazioni alchemiche e la creazione della lapis philosophorum, appunto, la Pietra Filosofale, l’eterna sostanza catalizzatrice simbolo dell’alchimia risanatrice della corruzione della materia. Si diceva che la pietra filosofale, una volta realizzata, si sarebbe dotata di tre proprietà straordinarie: quella di fornire l’elisir di lunga vita in grado di garantire l’immortalità, costituendo il balsamo universale per qualsiasi malanno; quella di condurre all’onniscienza, ovvero la piena conoscenza del passato e del futuro, del bene e del male; quella di trasmutare in oro, infine, i metalli vivi. Questo triplo potere avrebbe avuto radici profonde; essendo considerato l’oro un metallo immortale, comprenderne la consistenza materiale e spirituale a partire da metalli vivi significava comprendere come rendere immortale un corpo per natura mortale. L’oro è luce, dunque spirito: trasformare tutti i metalli in oro voleva dire, pertanto, trasmutare la materialità in spirito.

L’alchimista che se ne sarebbe occupato, però, era tenuto a raggiungere un elevato livello di moralità, condizione prima per la riuscita della Grande Opera, che gli impediva di arricchirsene a fini egoistici. L’oro, piuttosto, era ricercato soprattutto per essere utilizzato come strumento catalizzatore nelle reazioni chimiche, dunque per finalizzare l’arte trasmutatoria, essendo l’unico metallo conosciuto in grado di restare inalterabile nel tempo. Nella Grande Opera, infatti, l’individuo non era che una forma transitoria. Ciò che contava per davvero era il messaggio, qualunque fosse stata la fonte che lo tramandava ai fratelli nella Vera Conoscenza.

Canseliet: “L’alchimia per l’uomo molto probabilmente non è altro che la ricerca ed il risveglio della Vita segretamente assopitasi sotto il pesante involucro dell’essere e la grezza scorza delle cose, ricerca e risveglio derivanti da un certo stato d’animo molto prossimo alla grazia reale ed efficace. Sui due piani universali, dove siedono insieme la materia e lo spirito, il processo è assoluto e consiste in una permanente purificazione. A questo scopo niente è più utile, per quel che riguarda il modo d’operare, dell’apoftegma antico e così preciso nella sua imperativa concisione: Salve et coagula; dissolvi e coagula. La tecnica semplice e lineare, esige sincerità, decisione e pazienza, ed ha bisogno d’immaginazione, ahimè! ormai quasi totalmente scomparsa in un gran numero di persone, in questa nostra epoca dominata da una saturazione sterilizzante ed aggressiva. Sono pochi quelli che si dedicano all’idea vivente, all’immagine fruttuosa, al simbolo inseparabile da qualsiasi elaborazione filosofale o avventura poetica, aprendosi a poco a poco, in lento progresso, ad una luce più grande ed alla conoscenza”.

Le cattedrali, incanalate in questo contesto, erano opera di una comunità di sapienti che avevano affidato all’architettura la chiave della Grande Opera. La conoscenza celata nelle grandi costruzioni sacre era già nota in epoca medievale, ma il sapere alchemico presentato da Fulcanelli si snodava in un percorso operativo più occulto e di conseguenza più indecifrabile. Nel Medioevo, la pietra, il materiale utilizzato per edificare le cattedrali, recava in sé un messaggio di eterna immutabilità, essendo una struttura pensata, potremmo dire, come un corpo pervaso di vita.

Dopo Il Mistero delle Cattedrali, fu dunque pubblicato Le Dimore Filosofali, altro testo incentrato sulla simbologia alchemica custodita nell’architettura delle cattedrali, che andava inoltrandosi fino al XV secolo. Risale a quel periodo una nuova e ardita tesi formulata da F. Jolivet Castelot, un ricercatore, Presidente della società degli alchimisti francesi e membro della Rosa Croce, il quale asseriva che Fulcanelli fosse la reincarnazione di un abate alchimista vissuto nel XIII secolo e legato al complesso sacro di Mont Saint Michel. Castelot era giunto a sostenere la tesi dopo avere individuato sulla quarta di copertina dei volumi di Fulcanelli il disegno dello stemma utilizzato in tempi antichi dall’abate.

Paolo Lucarelli: “Fulcanelli era un grande sperimentatore, un filosofo “operativo” nel senso più proprio del termine. Nei suoi testi le parti dedicate esplicitamente alla teoria – quasi esclusivamente ne “Le Dimore Filosofali” –  sono poche e disperse, sempre molto succinte. Inoltre quando l’argomento può avere attinenza con la religione si comporta con estrema prudenza, quasi fosse trattenuto dallo scrupolo di non urtare i sentimenti dei fedeli, e non volesse dar prova di una qualche eterodossia da una tranquilla fede cattolica”.

La leggenda narra che il grande alchimista, dopo aver portato a compimento la Grande Opera, si sarebbe letteralmente volatilizzato nell’etere, forse per spostarsi in una dimensione a noi ignota, sconfiggendo per sempre la nozione di mortalità. Anche se poi, ci dice infine Lucarelli nella prefazione de Il Mistero delle Cattedrali (Edizioni Mediterranee, 2005):

“La morte è un momento di purificazione, ogni nuova esistenza segna un progresso rispetto alla precedente e al punto in cui questa si è interrotta. La vita umana è concepita come una lunga purificazione della materia e la morte o, più correttamente, le morti, non sono altro che una rigenerazione necessaria per acquisire una forma ogni volta migliore, con una nuova energia che la precedente non possedeva. È chiara qui l’applicazione alla vita umana dei fenomeni che si osservano durante le fasi finali della Grande Opera. La scintilla divina, l’anima immortale e individuale, diventa allora una specie di piccolo operatore, lo zolfo umano, con il compito preciso di contribuire a un’evoluzione…”

 

Simöne Gall

 

 

Elementi Bibliografici:

Fulcanelli – Il Mistero delle Cattedrali (Edizioni Mediterranee)

Lucarelli, Paolo – La Tradizione Alchemica del XX Secolo (Zenit Studi).

Bergier, Jacques – Pauwels, Louis – Il Mattino dei Maghi (Mondadori)

Argento, Dario – Paura (Einaudi)

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