11 Aprile 2024
Libreria Tradizione Classica

La bellezza dei corpi: il risveglio pagano nella società liquida – Giovanni Sessa

Hegel, nell’occuparsi del primo momento dello spirito assoluto, quello dell’arte, sostenne che la fase apicale dell’intuizione estetica si era manifestata nell’arte classica, in particolare in quella greca. Nella scultura ellenica, dedita prevalentemente alla raffigurazione del corpo umano, la natura si mostrava spiritualizzata, mente lo spirito assumeva abito naturale. L’arte antica realizzò la compiuta sintesi di finito ed infinito. Il corpo, il nostro costitutivo dasein, nel suo limite alludeva all’oltre. Ne nacque una religione della corporeità, con i suoi riti e i suoi culti. In particolare, il corpo, esperito quale microcosmo, divenne medium nei riguardi del macrocosmo: un tempio, un luogo sacro carico di verità e degno di venerazione. Su questo tema, e su altri ad esso legati, torna a richiamare l’attenzione dei lettori un interessante lavoro di Riccardo Campa, Della bellezza dei corpi. Il risveglio della sensualità pagana, nelle librerie per i tipi di D Editore (per ordini: info@deditore.com, pp. 227, euro 14,90).

Il volume raccoglie quattro saggi dell’autore, scritti successivamente al 2013, anno in cui dette alla stampe, La rivincita del paganesimo: una teoria della modernità. La silloge rappresenta, pertanto, un approfondimento tematico in continuità con le tesi espresse nel primo volume. Argomento centrale del testo è da individuarsi nella ricerca degli elementi più disparati che possono legare la paganitas, ad alcuni tratti significativi della modernità. Anzi, nella prospettiva di Campa, è proprio il culto del corpo, l’attenzione per la sua salus, assai diffuse tra tutti gli strati sociali nella società liquida, ad indicare una «rinascenza pagana» nel mondo contemporaneo. Il titolo del volume discende dall’opera del grande incisore del Rinascimento Albrecht Dürer, Della simmetria dei corpi umani. Il pittore di Norimberga, supportava la propria trattazione del bello, pescando ad ampie mani nella letteratura classica. Non solo, in quelle pagine del 1591, egli distingueva il carattere relativo che in pittura era assunto, nella rappresentazione della figura umana, dai colori, rispetto alle forme del corpo che, in ogni arte degna di questo nome, hanno tratto universalmente condiviso. Nei suoi riferimenti sono assenti richiami e citazioni desunte dalla cultura del Medioevo. Infatti: «Non era pressante preoccupazione dei padri della Chiesa, né dei filosofi della Scolastica, stabilire come dovessero essere le cosce, le natiche e il petto» (p. 14). Cose queste che avevano interessato gli antichi e che ora interessano i moderni.

E’ noto che l’egemonia acquisita, all’interno del cristianesimo delle origini, dalla linea speculativa paolino-agostiniana, di cui principale avversario fu Pelagio, determinò nella cultura dei seguaci del Cristo il contemptus mundi, una radicale svalutazione del cosmo, della libertà d’azione dell’uomo in esso e, conseguentemente, della stessa corporeità. Il corpo fu esperito quale luogo della tentazione carnale, capace di vincolarci alla dimensione abbagliante della bellezza degli enti, allontanandoci dal compito, ineludibile per Agostino, almeno per chi volesse farsi uomo nuovo, di amare e conoscere Dio. E’ pur vero che un certo recupero della physis animò talune correnti del cristianesimo, e non solo delle origini, si pensi, tra le altre, all’esperienza storicamente neutralizzata dalla gerarchia ecclesiale del francescanesimo, o alle posizioni novecentesche di Giuseppe Petich, opportunamente ricordate da Campa. Si trattò comunque di posizioni marginali, carsiche, rispetto allo sviluppo storico del cristianesimo positivo.

Il metodo adottato dall’autore è quello della storia delle idee, che punta a rilevare la vigenza (per utilizzare un’espressione cara a Bachofen) di un’idea nel tempo, cogliendone interazioni e sviluppi. Per questo, il primo saggio del volume, dedicato alla discussione della religiosità mazdea, non solo è condotto in termini comparativi rispetto al cristianesimo, ma tende ad evincere, dalla prassi cultuale di tale sensibilità religiosa, il debito mutuato nei confronti della visione indoeuropea del mondo. Nell’Avesta è possibile rilevare il primato del bello in ambito teologico, etico e soteriologico, e ciò lega il mazdeismo al mondo pre-cristiano. D’altro lato, l’attenta analisi compiuta da Campa, alla luce della più recente critica storico-religiosa in argomento, chiarifica come in tale fede fosse implicita una teologia della storia fondamentalmente lineare, atta a rendere il dualismo che la connota, niente altro che maschera dell’intuizione monoteista di fondo. La vittoria di Ahura Mazda ha una sua inevitabile necessità. Nel terzo e conclusivo periodo della storia, questi: «non soffrirà più per attacchi sferrati da Ahriman» (p. 40).

Nel secondo saggio l’autore attraversa tre diversi modelli di bellezza femminile, oggi assai diffusi nella realtà e nell’immaginario collettivo: la «donna bambola», la «donna madre» e la «donna amazzone». Il valore estetico della prima è dato dalla magrezza (è il tipo della Barbie, incarnato dalle modelle delle sfilate d’alta moda). La seconda punta su curve sinuose ed accoglienti (il suo archetipo eterno è la Dea Madre), mentre la terza esibisce un corpo muscoloso, perfettamente costruito con il fitness e la chirurgia estetica. E’ così importante, per le donne contemporanee, essere inquadrate in uno dei tre tipi ricordati, che spesso fanno ricorso, per adeguarsi ad un dato modello, a rimedi medici e/o sportivi che, al contrario delle aspettative, deturpano il loro aspetto.

Il terzo scritto si occupa del culto del corpo. Richiama, innanzitutto, le tesi di Bauman, il quale riteneva che gli individui post-moderni, non potendo più identificarsi con la comunità di destino del popolo di appartenenza, o con gli ideali diffusi dalle grandi narrazioni novecentesche, hanno trovato nel corpo l’ultimo rifugio per salvare un’identità in dissoluzione. Ciò, a detta di Campa, è vero solo in parte. Foucault, nelle pagine dedicate alla biopolitica, aveva notato come l’attenzione al corpo si fosse mostrata fin dal primo affermarsi del modo di produrre capitalistico e si fosse perpetuata, in modo assolutamente evidente, nei regimi totalitari del Novecento. Nietzsche, più volte, sottolineò come l’origine di tale culto fosse greco-romana. Per questo, il quarto saggio del volume si occupa della pedagogia di Vittorino da Feltre, letta quale paradigma della riemersione pagana nell’età rinascimentale. In tale approccio educativo il corpo era centrale: l’autore dice dell’attenzione di Vittorino per le diete mirate cui sottoponeva i propri allievi, perché potessero beneficiare dell’unità di mens sana in corpore sano.

La tesi di Campa sulla rinascita pagana nella modernità è interessante, a condizione che non si trascuri che l’animus moderno, per definizione rivoluzionario (Voegelin in ciò è maestro), è segnato dallo stigma cristiano, che fa di Dio il Santo e del mondo una valle di lacrime da emendare. In tale contesto, anche il ritorno al corpo, rischia di mostrare, oggi, la vacuità in cui il cosmo è stato fatto precipitare dalla buona novella.

Giovanni Sessa

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