28 Marzo 2024
Cinema

Frazer, Kurtz e l’abisso dell’anima: “Apocalypse Now” compie quarant’anni. – Simöne Gall

“Abbiamo un problema: rendere credibile la nostra potenza. Il Vietnam è il posto giusto per dimostrarlo”

Il Presidente Kennedy, con la sua politica delineata nella campagna per la presidenza del 1960, riteneva indispensabile, al fine di rafforzare la posizione statunitense sul piano mondiale, una dimostrazione di potenza politico-militare nel sud-est asiatico come banco di prova della determinazione americana nella lotta alla sovversione comunista. I suoi sforzi erano indirizzati a rafforzare economicamente, politicamente e militarmente il regime del sud, auspicandone il mutarsi in un rigoglioso stato democratico atto a fronteggiare la sfida dei Viet Cong. A “cadaveri fatti”, la guerra in Vietnam sancì la prima vera sconfitta politico-militare della storia statunitense; un fallimento totale sia sul piano strategico che diplomatico. Un ammazzatoio da miliardi di dollari che si tradusse in circa 1,5 milioni di vietnamiti, tra civili e combattenti, mandati all’altro mondo, più 60.000 americani uccisi o finiti dispersi, da aggiungersi agli oltre 300.000 feriti tra i corpi dei Marines, della Marina e dell’Aviazione.

Quando, nel marzo 1976, Francis Ford Coppola si reca a Manila per cominciare le riprese di Apocalypse Now, seguendo una sceneggiatura liberamente ispirata al romanzo di Conrad Cuore di Tenebra, la fine ufficiale della “guerra statunitense” (termine mutuato dalla storiografia vietnamita) era avvenuta ufficialmente solo il 30 aprile dell’anno precedente, con la caduta di Saigon, il crollo del governo del Vietnam del Sud e la riunificazione politica di tutto il territorio vietnamita sotto la dirigenza comunista di Hanoi. Le riprese, secondo le sue previsioni, non dovranno durare per più di cinque mesi, ma il regista non può ancora sapere che le circostanze gli saranno avverse, costringendo lui e il suo equipaggio a fare i conti con l’insorgere di una serie di intoppi tutt’altro che irrisori. Un tifone demolirà il set, mettendo Coppola nelle condizioni di dover interrompere il lavoro per diversi mesi; esattamente un anno più tardi, a riprese ancora in corso, l’attore Martin Sheen, chiamato all’ultima ora per recitare il ruolo del capitano Willard, originariamente destinato a un uscente Harvey Keitel, sarà colpito da un attacco di cuore e la lavorazione subirà per forza di cose un ulteriore ritardo. Marlon Brando, dalla sua, si presenterà in sovrappeso e inizialmente impreparato rispetto a un personaggio, quello del colonnello Kurtz, cui faticava ad approcciarsi.

Questo non è un film sul Vietnam: questo film è il Vietnam”, dichiarerà il regista nel momento in cui la pellicola farà finalmente il suo debutto a Cannes, il 10 maggio del 1979, ricevendo otto nomination nonché la vittoria della Palma d’Oro.

Nel 2001, come forse ricorderemo, il taglio originale del film, di 152 minuti, è stato ampliato di 49 minuti in occasione dell’uscita di Apocalypse Now Redux; per il suo 40° anniversario, Coppola ha già presentato un’anteprima di quello che sarà Apocalypse Now: Final Cut, con un tempo di esecuzione compreso tra la versione originale e quella Redux. Detto questo, rimarcarne nuovamente la grandiosità tecnica e cinematografica, in generale, sarebbe superfluo, dato che per questo si sono già spesi innumerevoli volte critici e critichini da ogni dove. Piuttosto, un aspetto della pellicola che vale la pena riportare in luce è quello relativo ai suoi connotati prettamente culturali e citazionistici. Apocalypse Now può essere infatti inteso come una vertiginosa calata nella profondità dell’umano che abbina al testo di Conrad l’Inferno dantesco, la pregnanza de La Terra Desolata di Eliot, la cultura pop degli anni ’60 – simboleggiata dal brano “The End” – ed anche e soprattutto il James George Frazer de Il Ramo d’Oro da cui la risalita alle origini del folklore, del mito e della religione. Una copia di The Golden Bough viene direttamente mostrata da Coppola in una scena del suo film, annoverandosi fra le letture del colonnello Walter E. Kurtz (assieme a From Ritual To Romance – in italiano noto come Dal Rito al Romanzo – di Jessie Weston, a sua volta ispirato al Ramo d’Oro).

Il campo in cui Frazer estende la sua ricerca è il mondo, il mondo visto nei suoi aspetti più misteriosi e inquietanti, dalle credenze alle superstizioni, cui si rifanno le istituzioni, i miti e le leggende. Come spiegava l’antropologo italiano Giuseppe Cocchiara, il metodo comparativo d’indagine impiegato da Frazer è lo stesso di Edward Burnett Tylor (1832-1917), autore di Primitive Culture (1871), considerato in un certo senso il manifesto di tutta la scuola antropologica inglese. Tylor designò col termine “animismo” le idee e le credenze dei primitivi, che nel conferire un’anima a ogni cosa avrebbero fornito una spiegazione coerente e razionale dell’universo.

Nel culto dei morti e delle anime, Tylor ravvisò l’origine della religione, elevata a forme superiori secondo uno schema evoluzionistico. Frazer, come Tylor, è interessato a studiare la vita dei primitivi – ovvero dei selvaggi – e ad analizzarne la spiritualità. Frazer, sotto questo aspetto, non soltanto completa Tylor, ma in linea generale conferisce al folklore un’organizzazione più metodica di quanto non avesse fatto lo stesso Tylor. Con Il Ramo d’Oro, cui anche il Freud di Totem e Tabù deve molto, Frazer si propone innanzitutto di individuare quale possa essere stato effettivamente il primo stadio del pensiero umano.

Diversamente da Tylor, tuttavia, al principio, secondo lui, bisognerebbe applicare la magia. Per questo motivo Il Ramo d’Oro reca il sottotitolo “Studio sulla magia e la religione”. Nel mastodontico testo, lettura senz’altro scoscesa rispetto a questi tempi in cui a dettare legge è il concetto di ultravelocità, Frazer identifica precisi meccanismi di causa ed effetto nella pratica magica, cercando di equiparare le similitudini di quest’ultima con la scienza, ovvero: l’essere umano interagisce con i fenomeni naturali e con la realtà circostante manipolando e controllando la natura attraverso l’applicazione di determinate leggi, senza dimenticare che ciò che differenzia la scienza dalla magia è che quest’ultima, seppur in possesso di una forte logica interna che riconosce similitudini, vicinanze e connessioni, agisce su una falsa concezione di regolarità dei processi di causa ed effetto. Tali concezioni, però, risultano deboli, poiché, scrive Frazer, “Incantesimi basati sulla legge di similarità si possono chiamare magia omeopatica o imitativa. Incantesimi basati sulla legge di contatto o contagio si definiscono magia contagiosa. […] La magia è tanto un falso sistema di leggi naturali, quanto una guida fallace della condotta; tanto una falsa scienza quanto un’arte abortita”.

Venendo, nello specifico, al punto di contatto tra l’opera di Frazer e quella cinematografica di Coppola, vediamo che nella prima si fa riferimento all’importanza del sacrificio rituale del Re-Sacerdote, figura che può essere collocata a metà strada tra un uomo e un dio. Allo stesso modo, in Apocalypse Now, Kurtz tiranneggia sui suoi selvaggi dai bassifondi naturali del suo inquietante habitat, in una terra ornata di cadaveri amputati (poiché, secondo, lui occorre massacrare e mutilare qualunque essere, se lo si fa per una giusta causa) in cui Kurtz ha smesso i panni del soldato modello per tramutarsi in un guru spirituale della foresta.

Ponendosi al di là del bene e del male, Kurtz è diventato insensibile alla morale, e il suo percepirsi come semidio è la conseguenza di ciò.

“Hai mai preso in considerazione delle vere libertà? Libertà dalle opinioni altrui… perfino dalle proprie opinioni”.

Per lui, l’istinto animale trascende ogni etica, e la possibilità di convivere al fianco della debolezza non è contemplabile. “La sua mente è lucidissima, ma la sua anima è matta”, dice di lui il fotoreporter suo suddito, interpretato da un Dennis Hopper dal look indimenticabile. L’abisso dell’anima di Kurtz è consequenziale all’orrore della guerra; Kurtz è vittima dell’orrore da lui stesso assorbito ed è inoltre pienamente conscio del destino che lo attende, un atto finale che lo eliminerà dal mondo terrestre e a cui non opporrà resistenza. Venendo associato al bufalo sacrificato dagli indigeni, l’esecuzione di cui resterà vittima per mano del capitano Willard veste il manto della ritualità pagana, e quando quest’ultimo avrà portato a compimento la sua missione sarà salutato e celebrato dalla folla dei Montagnard, gruppo etnico di selvaggi vietnamiti (conosciuti anche come Degar), come un nuovo dio.

In molte civiltà primitive, spiega Frazer, gli indigeni tendono a ricercare in un essere umano la figura del dio e ad affidarsi completamente al suo volere. E quando l’uomo-dio manifesta i primi sintomi di cedimento, per evitare che lo spirito divino ne abbandoni il corpo è necessario che il soggetto stesso venga eliminato, così da permettere che il potere rimasto fino a quel momento in suo possesso venga trasferito al suo esecutore il quale diventerà, a questo punto, l’essere supremo da idolatrare. La dipartita del colonnello Kurtz, pur tuttavia, non può che porsi al di sopra di tutto ciò: egli muore, ma solo dopo aver conquistato, di fatto, la sua personale immortalità.

“Ho visto gli orrori, orrori che ha visto anche lei”, dice nel suo monologo finale. “Ma non avete il diritto di chiamarmi assassino. Avete il diritto di uccidermi, questo sì, ma non avete il diritto di giudicarmi. Non esistono parole per descrivere lo stretto necessario a coloro che non sanno cosa significhi l’orrore. L’orrore ha un volto, e bisogna essere amici dell’orrore. L’orrore ed il terrore morale ci sono amici. In caso contrario, diventano nemici da temere. Sono i veri nemici…”

 

Simöne Gall

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