11 Aprile 2024
Pitagorismo

Storia dell’Associazione Pitagorica – 2^ parte – Roberto Sestito

Capitolo II
1983: Rinasce l’Associazione Pitagorica

Iniziamo questa seconda parte della nostra storia dalla fine, dall’evento che determinò la cessazione dell’attività del sodalizio: la morte di Sebastiano Recupero. Riproduciamo qui di seguito l’Orazione Funebre che Roberto Sestito avrebbe dovuto leggere sulla tomba del fratello Sebastiano. Tale recita gli fu impedita da Gennaro D’Uva, un amico di Sebastiano presente al funerale, con la speciosa motivazione che la lettura non sarebbe stata gradita alla famiglia. La pubblichiamo adesso in onore del fratello Sebastiano, scusandoci dell’involontario ritardo:

Fratello carissimo amico del nostro cuore!

Mentre la tua spoglia mortale visibile ritorna alla madre fertile e generosa che ti partorì come un fiore, sicuri come siamo che in questo momento tu abbia già vinto sulle forze turbinose delle passioni e dei sensi, contempliamo la tua anima purissima che ascende vittoriosa per occupare il suo posto nel Simposio divino. Noi ci siamo, testimoni di una vita trascorsa con dedizione suprema al culto della Patria e degli Iddii nazionali e quando molti di noi ancora brancolano nel buio e cercavano una strada tu eri un lume vivo e splendente nella notte dei tempi.

Nessuno potrà dimenticare il tuo portamento nobile, il tuo stile sobrio, il tuo carattere schivo, la tua fermezza di sentimenti, la tua fedeltà al supremo ideale dell’Amicizia; e per quanto l’Amicizia oggi sia parola mal compresa e male usata noi siamo certi che tu la intendevi nel suo più genuino significato che noi attingiamo della Divina parola dei maestri della tradizione nostra.

E dai lontani confini della Patria, ove nei tormentati giorni della Prima Guerra Mondiale, il tenente di artiglieria Arturo Reghini teneva alta la bandiera della stirpe Latina, giunga a te fratello Sebastiano il dolce canto che il filosofo-matematico tradusse, nell’imminenza della Battaglia nei giorni del supremo sacrificio, e che intitolò:

 

INNI ALL’AMICIZIA

Odi, Amicizia, o tu Divina il canto
che noi Vogliamo cantare all’amicizia!
Vi splende ancora l’occhio dell’amico
e gode per la gioia dell’amicizia:
vieni propizia, aurora nello sguardo,
eterna giovinezza, al nostro fianco
pegno sicuro di diritti santi.

E’ passato il mattino
Ed il meriggio avvampa
di caldi raggi il capo.
Sediamoci nell’ombra
là sotto il pergolato
e riprendiamo dell’amicizia il canto
che fu la Primavera della vita
ESSA PUR NEL TRAMONTO CI SARÀ…

Con questi versi noi ti diamo l’ultimo saluto, Amico e Fratello, e se le lacrime che velano i nostri occhi sono simbolo di tristezza e di dolore perché ci mancherà la tua parola, il tuo consiglio, la tua presenza, noi siamo certi che con la tua anima magnifica

“…il corpo lasciando nell’etere libero andrai,
spirito nume immortale, non più vulnerabil, sarai…

Nella “Premessa” (vedi puntata n.1) cito il nome di Thomas Hakl il quale in una sua Introduzione scrive: l’Associazione Pitagorica, nel 1984 sorse sotto la guida di Gennaro d’Uva, assistito da Sebastiano Recupero, che morì purtroppo di cancro in giovane età. Ma le cose andarono molto diversamente. Come risulta dallo Statuto approvato durante la riunione del 22 dicembre 1983, i Soci fondatori provvidero alla distribuzione delle cariche che risultarono, come recita l’Art. 2 qui riprodotto dello Statuto, le seguenti:

Come è evidente il prof. Hakl, probabilmente male informato, è incorso in un grossolano errore perché il Presidente dell’Associazione rimase, sino alla morte, Sebastiano Recupero e l’Addetto Stampa che curò tutte le pubblicazioni del sodalizio fu, sino allo scioglimento dell’Associazione, l’autore del presente saggio. Sebastiano ed io eravamo stati iniziati nella Fratellanza di Myriam negli anni ’70. Ma il nostro cuore batteva verso il pitagorismo e la tradizione italica. Pertanto dopo numerosi viaggi a Scalea, Roma, Napoli, Torre Annunziata e Firenze giungemmo sino alla soglia di un Tempio occulto della Sapienza e finalmente un giorno, per merito soprattutto del nome e della immagine di Armentano che era il nostro nume tutelare nella ricerca, fummo ricevuti nel Tempio e in occasione di una delle visite fummo autorizzati a rifondare la prestigiosa Associazione Pitagorica emanazione visibile della Schola Italica. Quel giorno fu per noi un giorno di immensa gioia, ma ci fu subito detto che il sodalizio era protetto dal sigillo posto da Reghini e che ne dovevamo rispettare la forma e la sostanza.

Rispettosi come eravamo e siamo della Tradizione e della Gerarchia osservammo con rigore assoluto le raccomandazioni ricevute e una volta tornati in Calabria invitammo a Crotone gli amici che condividevano con noi le stesse scelte e ottenemmo la loro adesione come soci fondatori. Il gruppo era composto da calabresi e siciliani e la scelta dove riunirsi cadde su Crotone perché alcuni di loro abitavano nella storica città di Pitagora e la nostra decisione di riunirci a Crotone non poteva essere più appropriata. Pubblichiamo solo i nomi dei soci fondatori che entrarono a far parte della Direzione, citando gli altri con le semplici iniziali: Sebastiano Recupero, Roberto Sestito, Francesco Riganello, Stelvio Marini, Carmelo Paratore, (Direzione) S. S., R. L. G. P., M. F., G. G. (soci fondatori). La ragione di tale riservatezza si deve al fatto che i nomi del Comitato Direttivo furono resi pubblici sul Bollettino dell’Associazione, mentre quelli dei soci fondatori non furono mai divulgati. Ci riunimmo il 22 dicembre ed eleggemmo le cariche direttive. Conoscevo i grandi sacrifici che faceva Sebastiano per rispettare gli impegni assunti nella Myriam ma conoscevo anche il suo grande amore per il pitagorismo e la tradizione romana e pertanto lo proposi subito come Presidente riservandomi la carica di Addetto Stampa e indicando alla carica di Segretario il crotoniate Stelvio Marini. Gennaro d’Uva non era né tra i soci fondatori né tra le cariche direttive.

Nella prima riunione del 22 dicembre si decise di stabilire una quota di iscrizione annuale di £ire 50.000. Si partì con un fondo cassa di £ire 250.000. Ma speravamo di aumentare presto questa dotazione di cassa con donazioni e quote delle future nuove iscrizioni. Cominciammo a spargere la voce (a quel tempo non avevamo internet, solo lettere, telefono e contatti personali) e una delle prime adesioni che ricevemmo fu quella di Lorenzo Armentano dal Brasile (figlio di Amedeo e sulla cui personalità e carisma come continuatore dell’opera del padre mi riservo di parlarne in futuro).

Prima di andare avanti è opportuno dire chi era Sebastiano Recupero (1954 – 1988) (fig.2). Il ricordo che ho di Sebastiano è di un uomo alto, magro, occhi nerissimi, viso scarno con l’eterno toscano tra le labbra. “Come i siciliani buoni e migliori non amava la <cosca>”, amava l’eloquenza in modo misurato e con le compagnie giuste, ma normalmente era di poche parole, ritroso, riflessivo. Si ritirava dopo il lavoro nella sua piccola casa per operare in silenzio e per dedicarsi ai suoi studi preferiti. Le parole che usò Sciascia per descrivere il grande Ettore Maiorana gli si addicono in maniera perfetta:

Appena toccata, nell’opera, una compiutezza, una perfezione; appena svelato compiutamente un segreto, appena data perfetta forma e cioè rivelazione a un mistero – nell’ordine della conoscenza o, per dirla approssimativamente, della bellezza: nella scienza nella letteratura e nell’arte – appena dopo è la morte. E poiché è un <tutt’uno> con la natura un <tutt’uno> con la vita, e natura e vita un <tutt’uno> con la mente, questo il genio precoce lo sa senza saperlo. Il fare per lui intriso di questa premonizione, di questa paura. Gioca col tempo, col suo tempo, coi suoi anni, in inganni e ritardi. Tenta di dilatare la misura, di spostare il confine. Tenta di sottrarsi all’opera, all’opera che conclusa conclude. Che conclude la sua vita”.

Fig, 2 Sebastiano Recupero (a dx nella foto insieme a Lorenzo Armentano a San Paolo sul tumulo di ARA)

Non appena si diffuse la notizia cominciarono a giungerci le prime adesioni e numerose lettere. Alcune di notevole valore. Ne elenchiamo le più importanti:

Piero Fenili: noi eravamo tutti giovani e consideravamo Piero un padre spirituale. Fu sempre prodigo di consigli e di appoggi. Come kremmerziano era all’epoca un uomo di punta della CEUR, persona stimata e rispettata in tutti gli ambienti esoterici. Ci fu sempre vicino, nei periodi di maggiore espansione e in quelli del tramonto.

Sergio Capparelli, figlio di Vincenzo Capparelli autore dell’opera in due volumi “La sapienza di Pitagora”, straordinaria opera di divulgazione e di conoscenza del pitagorismo sotto tutti gli aspetti. Il merito della ristampa dell’opera da parte delle Mediterranee di Roma è nostra. Piero Fenili la propose al sig. Giovanni Canonico, editore delle Mediterranee, il quale dopo avere ottenuto dalla Cedam di Padova l’autorizzazione alla ristampa, si impegnò a pubblicarla chiedendo all’Associazione Pitagorica l’acquisto di alcune copie. Ricordo che Piero ed io ci impegnammo personalmente con Canonico all’acquisto.

Ricevemmo lettere di sostegno e di appoggio da Giuseppe Tramarollo presidente dell’Associazione Mazziniana Italiana, da Gustavo Raffi, ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, da Marco Baistrocchi Ministro Consigliere presso l’Ambasciata Italiana di Brasilia. Fummo invitati Sebastiano ed io a collaborare alla rivista Abstracta diretta da Roberto Scaramuzza. Dalla Germania ci scrisse il Prof. Dr. Johannes Thomas “molto interessato alla nostra iniziativa”. Aldo Mola del Centro per la Storia della Massoneria ci chiese di “tenermi informato sull’attività dell’Associazione Pitagorica”. Marco Mori figlio di Moretto Mori, ricordandoci Reghini grande amico del padre ci scrisse “ogni cosa che viene fatta al fine di divulgare il pensiero di quel grande genio non può che rendere spiritualmente soddisfatti tutti coloro che si uniscono con impegno lungo il sentiero dell’iniziazione”. Dalla Grecia il prof. Harry Ghitakos si congratulò con noi e invitò la nostra Associazione a spese del governo ellenico per una grande manifestazione culturale. Da Parigi Jean Paul Garrigues si manifestò per sostenere “il progetto per l’avvenire dell’associazione”; ricevemmo altre lettere da Marsiglia e da Bruxelles di persone di cui ignoravamo l’esistenza tutti però interessati al nostro lavoro sul pitagorismo. Gianfranco De Turris con una lettera del 6 febbraio 1987 chiese di voler ricevere con regolarità il bollettino dell’Associazione Pitagorica e un nostro articolo su Reghini e Armentano da far pubblicare sulla rivista “Abstracta”.

In poco tempo insomma la notizia della rifondazione dell’Associazione sostenuta dalla pubblicazione del bollettino informativo YGHIEIA fece il giro d’Italia e in parte anche d’Europa. Ricordo che ne discutemmo a lungo con Sebastiano il quale non nascondeva la sua preoccupazione per questa improvvisa e inaspettata notorietà. Sebastiano era un uomo schivo e naturalmente riservato e non era abituato a uno scenario di questo tipo. Per cui l’attività esterna e la stampa del Bollettino finì per ricadere sulle mie spalle. A distanza di tanti anni credo di poter dare ragione a lui: la nostra filosofia, la nostra morale andavano e ancor di più oggi vanno totalmente controcorrente per cui non si aveva il diritto di essere ottimisti, bisognava esser prudenti e non fidarsi troppo, altri gruppi simili al nostro per essersi fidati troppo e delle persone sbagliate hanno pagato un duro prezzo. Comunque sia, quel che conta è raccontare i fatti così come si svolsero.

 

L’Associazione appena nata si dotò, come dicevo, di un Bollettino interno dal titolo YGHIEIA (Salute), antico simbolo pitagorico che aveva contornato il sigillo dell’Associazione fondata da Reghini, mediante il quale comunicavamo col mondo esterno, dando notizie della nostra attività e interagendo su alcuni avvenimenti sui quali ci pronunciammo in maniera forte e determinata. A parte il sottoscritto Addetto Stampa direttore del Bollettino, collaborarono ad esso il Presidente Recupero ed altri nomi giudicati in possesso di un valido spessore culturale, con speciale riguardo alla cultura classica. Ne parlerò nel prossimo capitolo.

Note:

(1) Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana, 1997.

 

2 – continua

 

Roberto Sestito

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