11 Aprile 2024
Libreria Tradizione Romana

Culto degli Antenati e trasmissione iniziatica: il Genius secondo Alessandro Orlandi – Luca Valentini

Gli antichi chiamavano Genio il dio naturale di ogni luogo, di ogni cosa o di ogni uomo” (1)

Per la storica casa editrice napoletana Stamperia del Valentino, Alessandro Orlandi, già esimio studioso del mondo greco ed ermetico, ha pubblicato un agevole libretto inerente ad un aspetto centrale e vitale della religiosità arcaica romana: “Genius Familiaris, Genius Loci, Eggregori e forme pensiero”. L’autore, protagonista come relatore, al convegno “Sacra Romana” per il Natale di Roma 2019, organizzato presso il Tempio di Apollo di Ardea dall’Associazione Tradizionale Pietas, ha sapientemente analizzato, da punto di vista esoterico oltre che storico-religioso, la dimensione sottile che era sottesa al culto degli Antenati ed a ciò che era afferente ai cosiddetti Numina. Come abbiamo approfondito nell’ultimo numero della rivista Politica Romana (2), vi erano, nelle pratiche cultuali private romane, entità numinose legate alla dimensione familiare, a quella agricola, militare, ma anche a quella funeraria e del post-mortem, passibili di una comprensione che andasse molto ben al di là di un ambito profano o limitatamente religioso. Se sinteticamente possiamo inquadrare, in un’ottica storico-religiosa, i Mani come espressione generica delle anime dell’oltretomba, i Penati come spiriti protettori della casa, della famiglia, dello stesso Stato, i Lari rappresentavano la divinificazione degli antenati defunti, potenze tutrici del singolo e della famiglia e molto legate al Genius, quale collegamento esoterico e sottile. Sulla medesima linea interpretativa Orlandi, nella prima parte della sua opera, infatti, evidenzia:

Cercheremo di mostrare perché il demone individuale di ogni uomo, il Genius della stirpe, connesso con la casa, con la natura di una data famiglia e con gli spiriti degli antenati e il Genius loci, che esprime il carattere e la natura profonda dei luoghi, fossero tutti e tra collegati tra loro e al simbolismo del serpente” (3).

La dimensione interiore e comunitaria, come evidenzia l’autore con magistrali comparazioni tradizionali con le dottrine iniziatiche egizie, elleniche, platoniche e cabalistiche, era inevitabilmente connessa con quella giuridico-istituzionale, in un quadro organico, in cui le potenze diversamente evocate non potevano essere considerate distintamente, ma dovevano necessariamente essere ricomprese in un complesso sistema sacrale che le ricollegava tutte in un ottica iniziatica, in funzione di un profondo processo palingenetico.

Proprio il simbolo del serpente, legato al Genius, che tanto ritorna nelle rappresentazioni parietali nell’area archeologica di Pompei, in contesti simbiotici tanto romani quanto isiaci e dionisiaci, secondo un’interpretazione sia storico – religiosa sia tradizionale, testimonia quanto gli Antichi fossero consapevoli di come le raffigurazioni esprimessero la conoscenza del mondo astrale nella sua triplice gerarchizzazione ctonia, sottile e mediana, e solarizzata, secondo la triplice espressione romana riportata da Apuleio (4) del demone personale trasfigurato in Larva, Mani o Genio (Lare vittorioso e divinizzato). Riprendendo quasi la funzione basale e trasfigurante dell’orientale Kundalini, il potere essenziale dell’uomo ha una possibilità di mutare la propria pelle spirituale similmente ad una serpe, discendendo negli Inferi quanto ascendendo presso i cieli olimpici, la stessa serpe che Enea vide durante il sacrificio per il padre Anchise (5), Genio della stirpe, del luogo e del Nume occulto androginico, Sive Mas, Sive Foemina:

Il motivo profondo per cui tutte queste divinità venivano spesso rappresentate come serpenti, ha a che fare con alcune caratteristiche di questi rettili: anzitutto la periodica muda della pelle, che richiama la morte e la rigenerazione nell’alternarsi delle generazioni, quindi il carattere fortemente tellurico dei serpenti, che vivono negli anfratti e sono immaginati come custodi di tesori nascosti e dotati di poteri oracolari, come le Sibille e i sacerdoti di Apollo” (6).

La seconda parte del saggio di Alessandro Orlandi, inoltre, è dedicata alla risoluzione di tre enigmi che lo stesso autore si pone:

“1) Nelle grandi Tradizioni spirituali dell’umanità, qual è il ruolo della Tradizione e cosa viene trasmesso attraverso l’iniziazione, posto che di autentica iniziazione si possa parlare?
2) Possiamo ancora parlare di realtà della Tradizione e dell’Iniziazione nel XXI secolo?
3) Cosa è cambiato nel modo di intendere Tradizione e Iniziazione dai tempi degli antichi culti misterici ai nostri giorni?” (7).

La risposta che l’autore offre ai propri lettori è di notevole importanza e può, secondo il nostro parere, essere sintetizzata in modo unitario: la Tradizione non può essere intesa come trasmissione di un sapere erudito né l’Iniziazione essere intesa come l’ingresso ad un dato collegio sacerdotale o filiazione iniziatica, essendo la prima il risveglio e la donazione di una potestà interiore che determina, tramite la disciplina iniziatica, una verticalità concreta nell’interiorità del myste. Il risveglio del Genius si esplicita essere l’autorità tramite la quale il pontefice romano, quanto il teurgo, quanto il mago rinascimentale e l’ermetista possono essere definiti “creatori di déi” (8).

Nel ricollegamento ad un eggregore ed all’acquisizione di una seconda vista spirituale, pertanto, l’Orlandi rintraccia l’autentica adesione alla Tradizione ed all’Iniziazione, così come espresse nella Religio di Roma o nei Misteri, ponendo tale requisiti come irriducibili per il riconoscimento di una via autenticamente regolare, nell’ambito della decadenza moderna, giustamente stigmatizzata, del neospiritualismo, quale palude di sette, di logge, di pontefici autoreferenziali, in cui è ancora possibile riconoscere l’accesso dal visibile all’Invisibile:

…il ruolo della Tradizione e dell’Iniziazione è quello di essere una porta tra il tempo degli uomini e quello immutabile del divino, tra il Kronos, come lo chiamavano i greci, il tempo ordinario della quotidianità, e l’Aiòn, il tempo degli dèi, una porta tra il visibile e l’invisibile” (9).

La risposta finale che questo affascinante libro offre ai suoi lettori risulta, in conclusione, essere, tra le più audaci e poco scontate. Ciò che conta è davvero poco la filosofia o l’arcaismo più o meno accentuato di certe società più o meno segrete, quanto la possibilità che una prassi sapienziale sappia realizzare autenticamente e pragmaticamente un profondo processo di metanoia, di ritrovamento noetico, cioè di carpire ove si trovi la chiave che apra la porta di Giano che consenta, senza scorciatoie erudite, misticheggianti oppure vagamente religiose, di risvegliare il Nume o il Genius occultato in noi:

…se comprendi precisamente che il tuo spirito, nel fodero di carne, è suscettibile di ogni miglioramento, fino a diventar come divinità dell’Olimpo e Nume maggiore, puoi attendere ad entrare in rapporto colle nature che sono più in alto che le divinità dei cieli” (10).

Note:

1 – Servio, commento alle Georgiche di Virgilio, 1, 302;
2 – Luca Valentini, Il Lar Victor e la sublimazione dei Mani:i Numina nella Sapienza Ermetica Romana, in Politica Romana n. 10, Lucca 2018, p. 89ss;
3 – Alessandro Orlandi, Genius Familiaris, Genius Loci, Eggregori e forme pensiero, Stamperia del Valentino, Napoli 2019, p. 11;
4 – Apuleio, Il demone di Socrate, XV;
5 – Virgilio, Eneide, 5, 90;
6 – Alessandro Orlandi, op. cit., p. 37;
7 – Alessandro Orlandi, op. cit., p. 55;
8 – Alessandro Orlandi, op. cit., p. 58;
9 – Alessandro Orlandi, op. cit., p. 75-6;
10 – Giuliano Kremmerz, Il Mondo Secreto ne La Scienza dei Magi, vol. I, Edizioni Mediterranee, Roma 2003, p. 114.

Luca Valentini

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